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Il fallimento politico di Gianfranco Fini: non aveva i mezzi per le sue ambizioni

(G.p) Il collega Cesare Maffi dalle colonne di Italia Oggi, quotidiano economico, giuridico e politico con un interessante articolo, che pubblichiamo per interno, descrive il fallimento politico dell'ex Presidente della Camera dei Deputati nonché ultimo presidente di Alleanza Nazionale,  indipendentemente dalla vicenda giudiziaria che l'ha investito con il cognato.

La nuova mazzata assestata a Gianfranco Fini induce a ripercorrere l'itinerario politico e personale di chi sembrava avere per sé l'avvenire ed è riuscito, in breve volgere di tempo, a distruggere se stesso e a cancellare dalla scena politica decine di esponenti di partito, suoi infelici seguaci. Tutto questo esula dalle accuse che gli sono mosse, per le quali vale la presunzione di non colpevolezza. Quand'anche i pesanti addebiti si mutassero un giorno in una condanna, nulla aggiungerebbero al fallimento di Fini, che è prima di tutto e sopra tutto un fallimento politico.
Dalla fondazione di An, per anni, Fini aveva molte risorse: un'immagine indiscutibilmente popolare; l'età, apprezzata nel culto giovanilistico sempre risorgente; doti oratorie forse non eccelse e alquanto almiranteggianti, tuttavia apprezzate nel desolato mondo d'inetti a parlare (e spesso pure a leggere) che popola il parlamento; l'assoluto dominio sul proprio partito, avente una base elettorale ampiamente sopra le due cifre; eccellenti rapporti con quasi l'intero mondo politico. Le sue ambizioni, di diventare il numero uno del centrodestra, erano comprensibili ma inappagabili a causa del peculiare ruolo di Silvio Berlusconi. Non sapendo placarle con una sana dose di realismo, commetteva errori su errori, come nelle europee del '99, quando inventò un'ineffabile alleanza con Mariotto Segni avendo l'obiettivo, ovviamente fallito, di superare Fi. Poi, dopo le politiche del 2008, diventato presidente della camera, per mesi e mesi fece il controcanto al Cav, fino alla scissione. La cronaca del suo piccolo partito fu, dal primo momento al tracollo elettorale, un susseguirsi di fallimenti, che rivisti oggi mostrano come il personaggio fosse molto inferiore a quanto appariva.
La vicenda della casa di Montecarlo fu da lui condotta nel peggiore dei modi. Attenzione: se anche fosse vera la sua dichiarata ignoranza sulla compravendita, Fini rivelò una totale incomprensione delle reazioni della gente allo scandalo. Rispose male, tardi, impropriamente: ne uscì con le ossa rotte. Anche ad ammettere che fosse stato, com'egli medesimo si è definito, un coglione nel non capire quel che capitava in famiglia, rivelò un'incapacità politica abissale.
In futuro, chiuso il processo che ormai intorta Fini, si potranno meglio valutare e capire le influenze che sul personaggio hanno avuto alcune donne, dalla prima moglie, Daniela Di Sotto, a Stefania Prestigiacomo, a Elisabetta Tulliani. Su quest'ultima restano memorabili alcuni ritratti di Vittorio Sgarbi, mentre sulle vicende finanziarie e maritali ha steso un brillante pezzo Giancarlo Perna. Allo stesso modo, bisognerà rivedere l'episodio delle accuse d'incapacità, perfino di malattia, che nel luglio 2005 Altero Matteoli, Ignazio La Russa e Maurizio Gasparri gli mossero in un noto caffè romano, accuse carpite da un cronista del quotidiano Il Tempo che le pubblicò, rivelando così all'esterrefatto Fini che cosa di lui pensassero i colonnelli. Nella storia politica italiana rimarrà unico il personaggio, precipitato per propria inettitudine dai livelli altissimi cui era giunto e incapace, per pesanti limiti anche di carattere, di raggiungerne altri ancor più elevati, cui puntava e di cui molti lo giudicavano capace.

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