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Quegli incontri segretissimi tra Almirante e Berlinguer


(G.p) Quegli incontri segretissimi tra Giorgio Almirante ed Enrico Berlinguer, cosi titola sul quotidiano torinese La Stampa  Fabio Martini, informando i lettori circa incontri avvenuti in gran segreto, tra i leader carismatici del PCI e del MSI che condividono una comune preoccupazione: che il terrorismo brigatista e quello neofascista potessero infangare la credibilità dei due storici partiti dell'Italia Repubblicana.
Gli incontri Berlinguer Almirante, sono descritti, con maggiori dettagli nel libro Destra senza veli di Adalberto Badaloni, che racconta la storia del Movimento Sociale Italiano dalla sua fondazione ai giorni nostri caratterizzati dalla diaspora a destra.
Un interessante articolo: unico neo aver definito i Campi Hobbit, (non centri) come delle pure e semplice vacanze militanti e non per quello che realmente furono cioè manifestazioni culturali dove si elaboravano tesi politiche movimentiste più vicine alla realtà che circondava la giovane destra.


Sul finire degli anni Settanta, in gran segreto, Enrico Berlinguer e Giorgio Almirante – leader carismatici del Pci e dell’Msi - iniziarono ad incontrarsi: di solito il venerdì all’imbrunire, quando alla Camera dei deputati non circolava più nessuno, perché se si fosse saputo che quei due usavano parlarsi, la notizia avrebbe fatto scandalo. Militanti ed elettori del Pci e dell’Msi non avrebbero capito. Erano anni nei quali i parlamentari comunisti e missini non prendevano un caffè insieme neanche per cortesia e invece, ad un certo punto, i due leader cominciarono a vedersi. 
Siamo nel 1978-79 e personaggi così diversi si trovavano a condividere una comune preoccupazione: che il terrorismo brigatista e quello neofascista potessero infangare la credibilità di due partiti, Pci e Msi. Insidiando entrambe le denominazioni: le Br erano comuniste, i terroristi di estrema destra erano neo-fascisti. I due leader decisero di scambiarsi idee e informazioni utili ad entrambi. Perché negli anni Settanta, dopo aver tenuto per decenni nel proprio grembo spinte opposte, i due partiti si trovarono a fare i conti con la propria storia: per il Pci i brigatisti appartenevano all’ “album di famiglia”, come scrisse Rossana Rossanda; per l’Msi alcuni terroristi che sparavano per strada erano stati in “famiglia” sino a pochi mesi prima. 

Tremila nomi

Gli incontri Berlinguer-Almirante sono tra i tantissimi episodi editi, inediti o poco conosciuti, contenuti nel libro “Destra senza veli”, scritto da Adalberto Baldoni (giornalista e scrittore di destra atipico, da sempre fuori dagli schemi), sulla storia dell’Msi e poi di An, fino all’attuale diaspora. Settecento pagine, un indice che comprende oltre tremila nomi (impresa da Guinness dei primati), il libro dà soddisfazione a chiunque voglia ritrovare dettagli e senso di una storia politica, soprattutto per una caratteristica: della lunga e vivacissima storia missina Baldoni non nasconde nulla, contribuendo a restituire l’originalità di una vicenda che ha coinvolto milioni di persone, ma è stata totalmente ignorata dalla stragrande maggioranza degli italiani, di più generazioni.
Al netto di tante teste calde, di tanti picchiatori violenti e di qualche avventuriero, il libro - come scrive Gennaro Malgieri in una vibrante introduzione – racconta ”la storia di una passione civile come poche altre se ne sono viste”, perché ”la politica era davvero bella una volta”, “ci si incanagliva, affettuosamente e anche rancorosamente, girando attorno a tattiche e strategie”, tra militanti e dirigenti nostalgici di una storia autoritaria ma immersi in un contesto democratico che li induceva a ”confronti e scontri, lacerazioni, non di rado amori”, con le idee che ”illuminavano vite raminghe e soddisfatte ed accendevano giornali, libri, precarie case editrici”.


“Rosso e nero”
E proprio alla vivacissima produzione di cultura politica che fermentò in quel mondo ostracizzato e ghettizzato, il libro di Baldoni (edito dalla editrice Fergen, dei fratelli Gennaccari) dedica alcune delle pagine più originali. In quell’area politica fermentarono riviste, gruppi dai nomi bizzarri, il primo e irriverente “Bagaglino”, le vacanze militanti dei Centri Hobbit, il gruppo sportivo Fiamma, una miriade di radio, un giornale come il “Secolo d’Italia” fucina di bravi giornalisti ma anche di futuri politici, da Fini a Gasparri, da Urso a Storace. Appartengono a quel fermento anche iniziative originalissime e trasversali. Come il locale pop “Rosso e nero”, fondato nel 1966 dallo stesso Baldoni. Criticato dagli ambienti più conservatori dell’Msi, sull’onda di un grande successo, il locale (presto ribattezzato “Dioniso”) era frequentato anche da giovani di sinistra: sui muri l’immagine di Che Guevara si mischia a quella croce celtica, si esibiscono personaggi come Lucio Dalla, gruppi come l’Equipe 84, i Nomadi, i Pooh.


La foto simbolo del Sessantotto 
Quella breve stagione di mischiamento destra-sinistra nella comune contestazione del “sistema” culmina nel Sessantotto: le prime occupazioni universitarie vedono protagonisti giovani di entrambe le parti politiche. Al punto che una delle foto-simbolo di quella stagione – quella che coglie un gruppo di ragazzi sulla scalinata di Valle Giulia a Roma – non ritrae, come comunemente si immagina, giovani di sinistra ma invece di destra, alcuni dei quali faranno parlare di loro, per diversi motivi: Stefano Delle Chiaie, Adriano Tilgher, Mario Michele Merlino, Guido Paglia. Nel libro si ripercorrono tutti i passaggi della storia delle destra italiana con un’attenzione ai personaggi più incisivi: i leader (Romualdi, Michelini, Almirante, Rauti, Fini) ma anche personalità che per le idealità e l’esempio hanno lasciato un’impronta: Mirko e Marzio Tremaglia, Beppe Niccolai, Teodoro Buontempo, Pinuccio Tatarella, Tomaso Staiti di Cuddia.
 Una storia, quella della destra italiana, finita nella diaspora. Una chiave per capire quella storia e una coesione persa forse per sempre, la offre Gennaro Malgieri: la destra si è dispersa perché caduta in azzardi politicisti, che hanno finito per perderla come comunità, perché, ”questa era la sua forza: una comunità di destino”, nella quale "i principii dell’autorità, della gerarchia, il culto della memoria storica e del primato della politica, della lealtà e della fedeltà valevano più di ogni altra considerazione”.

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