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Strage di Acca Larenzia : per non dimenticare

di Roberto Buonasorte 

Il 7 di gennaio per ciascuno di noi rappresenta una data drammatica. Per molti è stata quella dello spartiacque, per alcuni quella del non ritorno, il via verso la lotta armata.
In quegli anni il bersaglio-quello della sezione missina-era sin troppo facile per i nostri nemici, erano luoghi ben visibili, frequentati nella maggior parte dei casi da gente semplice; esse, spesso, si trovavano nei quartieri più popolari e i nostri militanti erano orgogliosi di interpretare quella politica autenticamente sociale che era il tratto identificativo di una storia, una comunità, una generazione.
È per questo che spesso venivano colpite proprio quelle sezioni e i loro militanti di periferia, esattamente come accadde per il rogo di Primavalle; i compagni, radical chic già allora, mal sopportavano quella fiaccola tricolore che si batteva nei quartieri rivendicando il diritto, ad esempio, ad avere un parco pubblico da sottrarre alle speculazioni edilizie oppure, ancora, quel movimento giovanile che faceva breccia tra i ragazzi proprio perché interprete di un'azione interclassista e popolare. Rivoluzionaria.
Si, eravamo orgogliosamente il Movimento Sociale Italiano.
Con il passare degli anni la tensione, fortunatamente, è andata scemando, i partiti tradizionali hanno subito una trasformazione e ci si è avviati stancamente verso una fase post ideologica dove non ci sono più i comunisti, la Lega non grida più "Roma ladrona!" perché il nemico ormai risiede a Bruxelles, l'immigrazione clandestina ci rende sempre più insicuri e la moneta unica, che doveva rappresentare la panacea per tutti i mali, si è trasformata invece nell'incubo quotidiano che sta portando solo morte e disperazione.

Ma per tutti noi, per i nostri figli e i figli di quest'ultimi quelle date devono rimanere bene impresse nelle nostre menti: il 7 di gennaio come il 16 aprile, come il 16 giugno, come il 12 marzo, come il 9 febbraio, come il 5 ottobre e come tutte le altre date della nostra Memoria. E i nostri fratelli Franco, Francesco e Stefano, così come Virgilio e Stefano, Francesco, Angelo, Paolo, Nanni e tutti gli altri di quella lista troppo lunga che conosciamo dolorosamente a memoria.
Nostri fratelli, nostro sangue, nostri camerati.

La cosa di cui andiamo orgogliosi è quella di disporre di questo nostro Giornale d'Italia, e di una redazione che-esattamente come facevano i ragazzi di quegli anni quando si recavano in sezione-lavorano affinché ogni giorno il quotidiano esca e solo dopo si preoccupano se a fine mese ci saranno i quattro spicci di rimborso spese.
Ed è stato proprio il direttore Francesco Storace a pretendere, quando ci siamo gettati in quest'avventura editoriale, che ad ogni ricorrenza, il sacrificio dei nostri martiri venisse adeguatamente ricordato.
E lo facciamo grazie a questo foglio che per scelta, come accadeva per il nostro partito, non attinge ai numerosi fondi pubblici messi a disposizione dal Governo per l'editoria.
Si tira a campare grazie all'aiuto di tanta gente perbene: imprenditori e professionisti, semplici cittadini e Istituzioni (nonostante qualche poveretto d'animo e senza scrupoli vorrebbe vederci "morti").
Sappiano, lor signori, che non ci spaventavano le pallottole di allora, figurarsi se ci intimoriamo di fronte a qualche sciacallo che presenta interrogazioni o altri che passano veline fasulle ai giornaloni, quelli si al servizio di lobby e potentati trasversali.
Ci saremo ancora, anche il 7 gennaio del 2018, così come nelle altre date, e poi nel 2019, nel 2020, 2021... a raccontare queste nostre storie, di amore e militanza, sacrificio e onestà, da tramandare alle future generazioni.
Di Padre in figlio, per non dimenticare.

Fonte Il Giornale d'Italia

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