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Peppe Misso: non mi ascoltarono, finirono al macello.

Il quotidiano Il Roma, in esclusiva, pubblica i primi due stralci del nuovo libro di Giuseppe Misso: Il Chiarificatore che uscirà in edicola tra pochi giorni.
Politica, clan e interessi che si fondono e si confondono. E' il motivo centrale del nuovo libro di Giuseppe Misso, ex boss della Sanità e di Napoli che ha deciso di concedere al Roma di pubblicare alcuni stralci del suo libro edito da Le Parche Edizioni. Misso fu imputato nel processo per la strage di Natale come fornitore dell'esplosivo usato da Cosa nostra ma fu assolto insieme ai suoi più stretti collaboratori, Giulio Pirozzi, suo braccio destro militare, e Nino Galeota, "ministro delle finanze"

Fatti scortare, poi la strage.

... l'uccisione di Vito rappresentava un segnale inequivocabile che non si poteva e non si doveva sottovalutare,  e quantomeno ignorare, ma Giulio non lo capiva. Eppure l'avevo messo in guardia, durante la pausa del processo, attraverso le sbarre della gabbia in cui ero rinchiuso. Gli consigliai di non viaggiare in auto, di prendere il treno, di farsi scortare da persone armate. Niente. Non mi diede ascolto. Neanche a Nino diede ascolto. Si mise tranquillamente in auto con sua moglie, Nino e Antonietta e li portò diritti al macello.  
Quel maldestro giorno, un gruppo di assassini drogati  della cupola della camorra trucidarono mia moglie assieme al caro amico Nino Galati (ovvero Galeota) e ferirono gravemente lo stesso Giulio Pirotti (così nel testo: ma è Pirozzi) e sua moglie Rita. Sull'autostrada, all'altezza dello svincolo di Afragola, furono tamponati, speronati e bersagliati a raffiche di kalashnikov. L'urto violento li fece sbalzare fuori dall'auto in corsa. Nino morì sul colpo. Gli assassini si accanirono su Antonietta sfigurandole il volto a colpi d'arma da fuoco.  
Giulio e la moglie ebbero la fortuna di essere scaraventati in una zona di terreno coperto da una fitta vegetazione e scamparono alla morte. Sull'asfalto, assieme ai corpi martoriati, erano sparsi quei contenitori di plastica che servono per portare del cibo ai detenuti, e sulla biancheria sporca, che doveva essere lavata, si notavano chiazze di sangue. L'ultima raffigurazione di un amore fatto di dedizione e sacrificio. Il tutto era lì per terra, con l'auto capovolta, a simboleggiare una feroce vigliaccata. 
Fu un' azione spropositata per il numero di uomini e di mezzi impiegati. Le vittime erano disarmate, inermi. Un'azione orribile, tendente a consolidare il dominio della cupola camorristica sulla città di Napoli. Un'azione che doveva servire anche da monito: chi non voleva essere eliminato, doveva accettare di essere fagocitato.

Giuramento violato cosi arrivò la droga.

.. o Blà fremeva sulla sede quando all'improvviso puntò l'indice contro Stefano Savarini, e con virulenza disse : tu devi spiegare a tutti noi, perché hai infranto le regole del giuramento? Tu hai fatto vendere ai tuoi nipoti quintali di droga! Hai sempre fatto l'estorsione ai bottegai. Vuoi spiegarci perché facevi queste cose, che non potevi fare?
Stefano rimase spiazzato. Non si aspettava di essere preso in quel modo. Tirò giù la gamba accavallata e cerco di giustificarsi: anche tu vendi la droga.
Si ma io non ho giurato, non avevo l'età per farlo, ero troppo piccolo. Replicò immediatamente ad o blà.
Stefano aggirò l'argomento: è vero, ha ragione, ma anche Giulio faceva commercio di droga, cosi come lo fa tutt'ora tua nipote Maria, eppure giurò prima di me.
Vincenzo o' Picuozzo stava per intervenire in difesa della sorella ma Vittorio o blà lo fermò con la mano: "a me di Giulio e della nipote non m'interessa. Ti ricordo che mio fratello Tonino ha mantenuto sempre la parola! Ed è stato ucciso per difendere anche il tuo ideale!
Scese un silenzio tombale. Gli occhi di Vittorio Criscuolo sprizzavano lampi di collera. Sasà, che fino a quel momento andava avanti e indietro in stato di allerta con l'auricolare di un walkie talkie infilato nell'orecchio, per tenersi in contatto con Gennaro che giù nella zona fungeva da palo per avvertici in caso di irruzione della polizia, si fermò di colpo nel salone con aria preoccupata.
Pasquale o chiatto mi mandava rapide occhiate. Giacomo mi guardava con apprensione. Le facce degli altri erano contratte. Un mio cenno e Savarini era morto. Ma la mia voce divenne altrettante dura:  "Vittorio, adesso basta, non tornare più su questo argomento! Stefano Savarini merita tutto il nostro rispetto. Io l'ho perdonato, cosi come ho perdonato Giulio, dobbiamo andare avanti.... Non possiamo litigare tra noi.
Non potevo agire diversamente, avevo le mani legate per via del comportamento di Giulio. La questione perciò andava chiusa rapidamente, almeno per ora.
Mio nipote Emilio era di poche parole eppure si raschiò la gola con un paio di colpi di tosse e aggiunse: "stiamo in guerra, abbiamo il dovere di essere d'accordo tra noi.

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