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L'ultimo saluto a Tonino Fiore, Avanguardia ti ricorda


Oggi ricorre il sesto anno della morte di Tonino Fiore, uno dei capi militari di Avanguardia Nazionale, il responsabile dell'addestramento dei quadri, notoriamente il più severo tra le organizzazioni politiche degli anni 60-70.

Mario Michele Merlino,
che per un periodo con Tonino Fiore ha costituito una coppia "tradizionale" orientale (il bramino ed il guerriero) dedicò, post mortem una commovente lettera intitolata L'ultimo saluto a Tonino Fiore, Avanguardia ti ricorda
che pubblichiamo per intero. Qui invece potete leggere il pezzo che all'epoca gli dedicò questo blog

L'ultimo saluto a Tonino Fiore, Avanguardia ti ricorda

di Mario Michele Merlino

Nella mattina di mercoledì 7 luglio, nella sua Bari, se n’è andato Tonino Fiore.
Non per pudore evito pronunciare la parola morte. E’ che pensarlo avvolto nel nulla mi sembra indecente e servile. Per chi ha condiviso le battaglie, l’entusiasmo, l’irridente follia, rimane viva presenza. Era ed è il comandante Antony Flower come egli stesso si definiva. Titolo questo che era passato doverosamente a Peppe Dimitri che fu, tra i tanti giovani, alla sua scuola. Perché Tonino seppe addestrare i militanti di Avanguardia e, successivamente, quelli che lo cercavano, magari per guadagnare qualche lira come comparse. E li addestrava, simile a monaco Zen, con gesti e parole capaci di liberarli dalla logica borghese e conformista. Imprevedibile. Da vent’anni combatteva, solitario, con il male che lo devastava dentro e che ti consente solo di sforzarti a ben vivere quanto ti rimane e di saper ben morire. Entrambi modi di cui Tonino è stato fedele testimone di se stesso. Un ricordo personale: un ricordo di tutti e per tutti. Valle Giulia, 1 marzo ’68, nella foto divenuta ormai storica egli è di profilo, con un bastone, forse l’asse di una panchina, a pochi passi da me. In quei giorni eravamo un tandem affiatato, il guerriero e il filosofo, come amava ripetere. E ancora: immortalato nel saluto romano sulla scalinata di Legge, 1970 credo, circondato da guardie in borghese e in divisa. Con una giacca a quadretti che mia madre gli aveva regalato e per vincere la sua ritrosia: “Tanto a Mario non serve” (ero già a Regina Coeli). I compagni lo definirono “un sottoproletario” nell’accezione dispregiativa mediata da Marx. Era, invece, una questione di stile. E tanto basta.
Nella mente e nel cuore il nostro Presente.

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