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A Roma più froci per tutti. Chi glielo spiega a Sarri?



di Marika Poletti

Ormai è di cinque mesi fa la partita Napoli-Inter il cui risultato non si ricorda nessuno ma che ha invaso per giorni tutti i telegiornali, passando dalla cronaca sportiva allo scandalo politico. Più che delle reti gonfiate da un pallone, ci si ricorda, infatti, lo scontro tra Sarri e Mancini.
«Mi ha dato del frocio, del finocchio, si deve vergognare. Uno come lui -lamenta Roberto Mancini- non dovrebbe più entrare in uno stadio. Sarri è un razzista, fa male sentire certe frasi da un collega di sessant’anni..» e da lì, settimane di polemiche sui giornali.
Ma, furbo come una faina, il mondo LGBTQI -che, per chi non lo sapesse sta per: lesbico, gay, bisessuale, trans, queer, intrasexual- ha preso la palla al balzo per andare a tirare la giacchetta al Governo il quale, tra i fumi del ddl Cirinnà e della sempre verde proposta di legge Scalfarotto, ha imposto al CONI di aggiungere l’omofobia tra le pratiche da condannare.
Così Giovanni Malagò, che del Comitato Olimpico Nazionale Italiano è il Presidente, dichiara di aver ricevuto indicazioni dalla Presidenza del Consiglio e che ad inizio luglio qualunque atteggiamento interpretabile come omofobo verrà severamente penalizzato in ambito sportivo. Sarebbe molto bello sapere se egual riprovazione sociale e disciplinare destano anche le altre forme di discriminazione o, più in generale, le offese. Detta in altre parole: si potrà tranquillamente continuare a dare del cornuto all’arbitro, insultare la madre di un calciatore od offendere la stazza di un dirigente ma guai a metterne in dubbio le scelte sessuali.
Secondo questo nuovo galateo del linguaggio imposto alla società e, quindi, anche al calcio, la parola “frocio” è bandita.
Senza soffermarsi oltre sugli assurdi logici di limitare la pretesa del rispetto solo per alcune categorie, è da notare che il vocabolario non solo verrà edulcorato in senso oggettivo -alcune parole non potranno più essere usate- ma anche con lente soggettiva -dipende tutto da chi quelle parole utilizza. Mentre Sarri viene messo in croce e costretto alla pubblica abiura, i gay possono sfilare nelle vie delle nostre città vestiti con i soli rimasugli delle piume delle figuranti del Carnevale di Rio con lo striscione “Siamo tutte froci”.
Quando ti imbatti nella locandina, pensi ad un fotomontaggio, ad una burla di qualcuno. Invece è bastata una brevissima ricerca per capire che quel manifestino elettorale -così obbrobrioso nella scelta della grafica, dello stile e dell’atteggiamento ancora prima che dello slogan- è autentico.
E così, nel filone della perversione linguistica, si incanala anche Andrea Maccarrone, candidato alle amministrative di domenica con la lista “Sinistra x Roma”. Dopo essersi presentato in Senato durante la discussione del ddl Cirinnà intento a baciare il suo amico, dopo aver sfilato nudo per la città di Roma, l’ex presidente dell’Associazione gay Mario Mieli, lancia la sua candidatura con uno slogan eloquente: “A Roma più froci, meno croci”.
Che si fa, ora? Condanniamo per omofobia anche il Maccarrone? E lo facciamo perché ha utilizzato la parola “frocio” o perché, per meri fini di visibilità, livella l’immagine del mondo omosessuale a quello che lui pensa di rappresentare, di certo non composto in toto da lustrini sbrilluccicosi, pose effemminate ed insulti al fiele.

Aspettiamo che, con la solita solerzia, qualcuno intervenga per condannare questo manifesto fortemente discriminatorio ed offensivo. Chiunque: dall’amante dei trash-gay D’Urso all’ufficio nazionale antidiscrimazioni, UNAR, ed anche la zelante magistratura.
Perché altrimenti condannare l’ultimo dei tifosi in curva e non uno che dà stampata rappresentazione della discriminazione?

https://laspadadidamocle.com/2016/06/03/a-roma-piu-froci-per-tutti-chi-glielo-spiega-a-sarri/

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