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L'ascesa di Casa Pound: grazie Boschi


(G.p)La collega Luciana Grosso, dalle colonne del settimanale di moda e costume Vanity Fair intervista Davide Di Stefano, esponente di primo piano di Casa Pound, coordinatore nazionale di Sovranità e fratello di Simone, candidato sindaco a Roma, sulla ascesa di Casa Pound, capace di diventare, nel giro di pochi anni, da semplice gruppo di quartiere a Roma a partito radicato e strutturato su quasi tutto il territorio nazionale, capace di conquistare a Bolzano il 7 % dei consensi. Intervista che riportiamo fedelmente.


Le elezioni? Andranno bene, altroché». A esserne più che certo è Davide Di Stefano, esponente di CasaPound, coordinatore nazionale di "Sovranità" e fratello di Simone, candidato sindaco a Roma.
In realtà però il numero dei voti conterà poco, ma si tratterà comunque di un successo e segnerà il completamento della metamorfosi di CasaPound, da piccolo gruppo conosciuto solo a Roma a movimento nazionale vero, riconoscibile e riconosciuto.

«Nel 2011, a Roma, ci siamo candidati per la prima volta a un elezione e abbiamo portato a casa lo 0,8 e 13 mila voti - (in realtà i dati del Viminale dicono 0,5%, 7000 voti), dice Di Stefano - a questo giro vogliamo per lo meno raddoppiare e arrivare al 2% o anche di più».

Se le loro previsioni si rivelassero azzeccate, sarebbe un risultato clamoroso. Ancor più importante del 7% avuto a Bolzano alle scorse amministrative, perché il 2%, a Roma, sono circa 20 mila persone che votano quello che ad oggi è il gruppo che più apertamente si colloca nella frangia estrema della destra italiana e che più orgogliosamente richiama il fascismo, nei toni e nei temi.


Di Stefano cos’è successo? Come avete fatto a trasformarvi da quello che eravate un tempo, ossia una specie di ‘Leoncavallo di Destra’ in un movimento politico vero, con liste e candidati?
«Siamo nati come gruppo che voleva dare una casa agli italiani che non la avevano, per questo, nel 2003, occupammo una casa al quartiere Esquilino a Roma che diventò poi la nostra sede principale, Casa Pound. Ci troviamo tra la stazione Termini e Piazza Vittorio e in pratica, siamo diventati l’ambasciata di Italia in uno dei quartieri più multietnici di Roma»

E fin qui ci siamo. Ma la politica vera?

«Nel 2006 abbiamo aderito alla Fiamma Tricolore di Pino Rauti, il gruppo che, per intenderci, non quando Gianfranco Fini sciolse il Movimento Sociale Italiano, rifiutò di aderire ad Alleanza Nazionale. Siamo stati con loro per un po’ poi ci siamo accorti che certe logiche da partito vecchio stampo e certe burocrazie non ci assomigliavano, non facevano per noi, che siamo più concreti. 
Così nel 2008 abbiamo ripreso al nostra strada ed è nata Casa Pound Italia, che è un movimento politico e che corre alle elezioni».

E come vanno le cose?

«Bene. Altroché. Dal 2008 non abbiamo mai smesso di crescere: siamo presenti alle elezioni di città come Roma, Torino e Milano, dove appoggiamo la lista Mardegan, e ad oggi abbiamo circa 70 gruppi sparsi per tutta Italia e nessuno di questi è una sezione come la si intende nel senso classico, ma abbiamo pub, palestre, ristoranti, centri ricreativi. Insomma posti dove la gente va e dove può trovare qualcosa di vero, non solo chiacchiere».


Voi siete identificati, tradizionalmente, con la frangia più estrema della destra italiana, ‘i cattivi’, insomma….

«Siamo identificati come ‘i cattivi’ perché in Italia esiste una cultura che condanna aprioristicamente certe posizioni. Peccato per chi lo fa».


Però siete ancora fascisti senza se e senza ma, giusto?
«Sì e non abbiamo intenzione di rinnegare la nostra storia e le nostre posizioni e i nostri riferimenti culturali. Non vogliamo chiedere scusa a nessuno per quello che siamo».

Ma il vostro nome viene accostato a episodi di violenza
….
«Sì, ma a torto. Non siamo mai noi a cominciare. Abbiamo un modo di fare politica che è perentorio, questo sì. Ma siamo anche convinti che la violenza non faccia parte della politica e infatti le provocazioni, lo dicono le cronache, lo dicono i fatti, non sono mai nostre: ogni volte che facciamo una manifestazione, arriva sempre qualcuno dei centri sociali e della sinistra che ci fa una contro-manifestazione, e ci impedisce di svolgere le nostre attività. E noi di fronte alle provocazioni di certo non scappiamo».

Beh però provocate anche voi e forte: che senso hanno gli striscioni di pochi giorni fa a Parma, ‘La resistenza è una cagata pazzesca'?.
«Si è trattato non di una provocazione, ma di una parodia del film ‘Fantozzi’: abbiamo ripreso un passaggio molto famoso di un film per andare contro il dogma, ideologico e senza nessuna aderenza della realtà, della resistenza come fatta di soli eroi e martiri. Non è vero: i partigiani si macchiarono di crimini orrendi, solo che non lo dice nessuno e sono stati beatificati. Non è vero, non è giusto».

Il Ministro Boschi vi ha tirato in ballo nella campagna per il referendum, come paradigma di ogni male, dicendo che chi vota ‘No’ sta con voi. Vi ha dato fastidio?

«No, anzi. Ci ha fatto piacere. Perché pensiamo che sia meglio stare con noi che stare dentro Banca Etruria».
 E con l'apologia di fascismo come la mettiamo? E' reato in Italia, lo sapete, no?
«Sì che lo sappiamo. E sappiamo anche che è l'unico caso di reato di opinione che esiste ancora in Italia».
 E quindi come fate a essere fascisti senza essere apologeti?
«Facciamo quello che sentiamo giusto, e non rinneghiamo niente, né della figura di Mussolini nè della storia del Fascismo. Alcuni di noi hanno avuto condanne per aver fatto il saluto romano, altri sono stati assolti perchè è stato riconosciuto che in alcuni contesti, come la manifestazione che facciamo a Milano in memoria di Sergio Ramelli, il saluto ha senso. L'apologia è un reato dai confini labili: se dico che Latina è una bella città, cos'è? Ho fatto apologia

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