Rauti story/22: dalla scissione del Mse all'espulsione dalla Fiamma tricolore del fondatore
L'ultima puntata della Rauti story, dalla scissione (effimera) del Movimento sociale europeo alla rottura con Romagnoli e l'espulsione del fondatore della Fiamma.
L’iniziativa
trainante, nel 1999, è la promozione, insieme a LEGA NORD e
altri gruppi neofascisti, di un referendum contro la legge
sull’immigrazione. In due settimane sono raccolte più di 300mila
firme. Il contributo del Caroccio è decisivo, con il maggior numero
di adesioni (80mila) nei santuari leghisti: Bergamo, Varese, Treviso
e Vicenza. Alle elezioni europee la FIAMMA elegge un
eurodeputato (con 500mila voti e l’1.6%). Nonostante l’ottimo
risultato nel Lazio (il 2.4%, record nazionale) per pochi decimi il
quoziente scatta al Sud e così va a Strasburgo il vicesegretario
nazionale, il napoletano Roberto Bigliardo, e non la favoritissima
Isabella Rauti, figlia del leader. Si conferma lo squilibrio
territoriale. Il peggiore
risultato
del Sud (l’1.8% di Calabria e Campania) supera il migliore del Nord
(l’1.6% del Friuli). La postazione di potere europeo, che offre
visibilità e risorse, aggrega la dissidenza. Rauti punta ancora
sull’orgoglio di partito: a fine settembre è approvata la sua
linea di partecipazione solitaria alle elezioni regionali. Dopo
l’ultima seduta del comitato centrale che ancora gli esprime
sostegno (a stretta maggioranza) – e solidarietà per le accuse
“calunniose” che lo vedono indagato per la strage di Brescia –
Rauti condanna le «perduranti e astiose polemiche interne»:
Non
intendo reprimere né il dibattito, né il dissenso e non dimentico
che dibattiti e dissensi ne ho suscitati tanti, nel corso della mia
lunga vita politica. Ma quello cui stiamo assistendo a opera di un
gruppo ristretto di dirigenti è un impasto inammissibile di insulti,
di diffamazioni – anche personali – di accuse inconsulte e
calunniose.
Il
“gruppo ristretto di dirigenti” convoca una seduta alternativa
del comitato centrale, il 24 ottobre, per destituire Rauti. Il primo
convegno organizzato dalla minoranza, a metà novembre, sul tema
Quale destra oltre il Polo conferma che il rientro nel gioco
politico della FIAMMA interessa tanto gli intellettuali di
area quanto i partiti del centrodestra (tutti rappresentati). I
dissidenti contestano la scelta di correre da soli alle regionali e
chiedono conto dei fondi pubblici, quasi tre miliardi gestiti dal
segretario-padrone, e in particolare dei costi di Linea, sei
milioni al giorno per diffondere trecento copie. Rauti, seguendo il
rituale delle scissioni gruppuscolari, a sua volta espelle Sabatini,
che aveva riunito il CC nonostante le ripetute diffide, e il sindaco
di Chieti, Cucullo, che si era distinto negli attacchi personali,
mentre l’“estremo appello” unitario cade nel vuoto. Il
congresso straordinario con quattrocento delegati sancisce nel
gennaio 2000 la scissione.
La
scelta elettorale aperturista affolla il parterre con numerosi
ambasciatori del POLO, da Rotondi a Tajani, da Storace a
Buontempo. Partecipano numerose delegazioni straniere con
eurodeputati (francesi, fiamminghi, greci) tra cui Jean Marie Le Pen.
I principali animatori della fuga dalla FIAMMA sono Bigliardo,
l’ex
deputato
Clemente Manco, presidente della camera penale di Brindisi, Cospito,
il milanese Marco Valle (i due autori delle tesi congressuali) e
Cucullo, il sindaco di Chieti sfiduciato dai consiglieri inviperiti
per la sua nuova linea politica. Tra i protagonisti del congresso c’è
la direzione di Rinascita, con Ugo Gaudenzi e Paolo Emiliani,
usciti con il FRONTE NAZIONALE ma già distaccatisi da
Tilgher. La spaccatura si consuma fra gli insulti. Bigliardo parla di
Rauti come di «un uomo frastornato che non capisce la nuova
realtà». Su Orientamenti Cospito gli scarica addosso
tutte le responsabilità, a partire dai favoritismi per la figlia:
Tra le cause che hanno tarpato le ali al movimento che pure
all’indomani del congresso di Fiuggi e della svolta liberista di AN
sembrava destinato ad imporsi come l’unica forza di opposizione,
non si può non rinvenire una gestione eccessivamente verticistica e
deludente che soprattutto negli ultimi due anni ha sembrato
trasformare il MSFT nel partito personale di Pino Rauti. (…) E
questo spiega come mai, nonostante l’enorme spazio politico
disponibile anche in seguito alla crisi interna di AN, la nave della
FIAMMA – per usare un’espressione cara a Rauti – non sia ancora
riuscita a uscire dalla bottiglia. Certo, in occasione delle recenti
elezioni europee il partito è cresciuto, passando dallo 0,9% della
media nazionale a l’1,6 abbondante, ma l’obiettivo di portare a
Strasburgo qualcosa di più di un unico deputato, non è stato
raggiunto. (...) Al Centro il risultato è mancato per soli
28.000 suffragi
che
non sono arrivati anche a causa degli errori e delle manchevolezze
di
chi ha gestito il partito in prima persona.
Segretario
del MOVIMENTO SOCIALE EUROPEO è nominato Bigliardo,
presidente Manco. Gli uffici romani dell’Europarlamento ospitano la
sede nazionale. Il comitato centrale, presieduto da Sabatini, è
composto da 60 membri. Tre i segnali forti contro le tendenze
accentratrici di Rauti: l’abolizione del coordinamento femminile
(retto nella FIAMMA da Isabella), la destinazione del 70% del
finanziamento alle federazioni e l’elezione locale dei
coordinatori. Il movimento ha vita breve perché nell’arco di pochi
mesi, dopo un irrilevante sostegno al centrodestra nelle elezioni
regionali, Bigliardo rientra in ALLEANZA NAZIONALE e il
gruppo, persa la battaglia per il controllo del simbolo, si disgrega.
In
questa fase nel MSFT acquista peso un giovane ricercatore
universitario di geografia, Luca Romagnoli, militante in gioventù
nella sezione Prati: secondo i soliti maligni il suo principale
titolo è di essere il nuovo compagno di Isabella. Dimostrerà poi di
avere qualche talento. Ad ogni buon conto Rauti blinda la segreteria
affidandogli il coordinamento del Lazio e lo strategico ufficio
tesseramento (nonostante le scissioni a catena sono 15mila gli
iscritti). L’organizzazione tocca al fedelissimo Giangastone
Romani, la cultura a Giuseppe Incardona. Tra i quadri storici
mantengono incarichi nazionali Diego Balistreri, Marcantonio
Bezicheri, Alberto Rossi, Ulrico Roberto e Giancarlo Cartocci.
Sono
commissariate 21 federazioni provinciali. Il riavvicinamento al FN di
Tilgher, con un parziale accordo elettorale alle regionali del 2000 e
poi un impegno alla fusione preso a ottobre al secondo congresso di
Chianciano (e disatteso) è l’ennesimo giro di valzer di Rauti, la
cui scelta strategica è di riposizionarsi nel centrodestra. Gli
accordi locali per il sostegno della FIAMMA assicurano alla
CASA DELLE LIBERTÀ l’Abruzzo e la Calabria (in Campania e
Basilicata è troppo netto il vantaggio dell’ULIVO),
concorrendo così alle dimissioni del premier Massimo D’Alema che
accelerano la crisi del centrosinistra. Nella primavera 2001
l’alleanza elettorale con Berlusconi porta a un’ulteriore
scrematura. Si dimettono il presidente onorario Manlio Sargenti,
«ultimo rappresentante vivente dell’organismo statuale della
Repubblica sociale» e il presidente del comitato centrale
Stelvio Dal Piaz con il nutrito gruppo aretino che fa capo a Maurizio
Canosci, per aderire al processo costituente che ruota intorno al
FRONTE NAZIONALE: Non intendiamo più entrare nel merito
delle scelte di Rauti e della dirigenza che l’ha seguito nella
folle corsa all’eutanasia del MOVIMENTO SOCIALE: tutto quello che
c’era da scrivere e dire prima che la realtà amara si delineasse
noi l’avevamo scritto e detto. Da questo momento in avanti dunque
la FIAMMA TRICOLORE nelle persone di Rauti e dei dirigenti
corresponsabili sono da trattarsi come nemici così come iniziammo a
trattare, nella nostra lotta politica giornaliera, da nemici gli
“anali” di Fini dopo Fiuggi nel 1995.
La
desistenza assicurerà un collegio senatoriale in Sicilia e il
finanziamento pubblico al partito ma il risultato nazionale è
inquietante: solo l’1% al Senato (mentre FRONTE
e FORZA
NUOVA raggiungono separati
un irrisorio 0.4%). Nel congresso del 2002 Rauti passa il
testimone al genero, Romagnoli, che, dopo la rottura personale con
Isabella, si autonomizza consolidando nel tempo la sua leadership.
Mentre lo scontro nell’area si focalizza sulla capacità di
assicurare quell’unificazione che tutti mettono al primo posto
dell’agenda politica, il neosegretario trova uno sponsor
prestigioso in Le Pen che ha appena umiliato la sinistra francese
escludendola dal ballottaggio presidenziale. Il leader del FRONT
NATIONAL impone due discriminanti personali: i principali
“avversari” di Romagnoli, Rauti e Tilgher – che in precedenti
occasioni si sono rivelati inaffidabili – non possono partecipare
al «cartello elettorale europeo [comune di] tutte le forze
nazional-popolari».
L’appello,
preparato in un incontro tra Le Pen e Romagnoli a Nizza in occasione
del congresso del FRONT NATIONAL, nell’aprile 2003, è
pubblicato a fine luglio da Linea e solletica i settori più
antagonisti della destra radicale, con una sapiente miscela di
antiamericanismo, populismo e socialismo nazionale. Garante del
comitato promotore è un intellettuale non schierato, Alberto B.
Mariantoni. Il primo incontro è fissato in un’altra sede “aperta”,
l’UNIVERSITÀ D’ESTATE, promossa in una cascina del
Lodigiano da Graziani jr., Murelli e Adinolfi. Il 12 settembre,
Romagnoli e Bruno Gollinisch si incontrano a Piacenza e inaugurano
insieme l’UDE. L’irruzione a novembre di Alessandra Mussolini
sulla scena movimenta i giochi. Romagnoli, scavalcando il comitato
unitario a cui avevano aderito piccoli gruppi e personalità
autorevoli, chiude l’accordo con la “nipote”, Tilgher e Fiore,
mettendo
le
mani avanti: lista unitaria per le Europee ma in sede locale restano
validi gli accordi già presi con il centrodestra. Sarà il pretesto
per la rottura. A chi gli contesta la difficoltà di una campagna
elettorale con un duplice schieramento, Romagnoli replica piccato:
«Io ho un partito a cui rendere conto, non sono un
ras».
Già da settembre, infatti, Rauti con il campano Bruno e il pugliese
Incardona organizza un giro nelle federazioni lombarde, interessate
alle intese con il POLO, e suscita una levata di scudi contro
il progetto unitario.
Ai
primi di febbraio, incassato il sì del comitato centrale alla lista
unitaria, Romagnoli va allo scontro finale. Invocando l’impropria
gestione dei fondi pubblici e il controllo familistico sulla società
editrice di Linea espelle Rauti che con poche centinaia di
seguaci dà vita al MOVIMENTO
ITALIA SOCIALE. Il MIS si
schiera subito nella CASA
DELLE LIBERTÀ, caratterizzandosi nella sigla e nel simbolo
come
operazione di disturbo. Il cartello unitario abortisce comunque:
adducendo il pretesto degli accordi locali con il POLO,
Romagnoli
è
escluso. Invertendo una tendenza pluriennale alla diaspora (è
impossibile ricostruire nel dettaglio la quotidiana fuoriuscita di
quadri locali, che si trasferiscono in blocco in altri gruppi
oppure danno vita a COMUNITÀ MILITANTI che restano ben
radicate sul territorio: è il caso, tra gli altri, di Como,
di Piacenza, di Tivoli e di Ostia) ora il partito diventa
attrattivo. Aderiscono BASE AUTONOMA,
gli
ex di MP transitati in FORZA NUOVA, che portano in dote il
“santuario” di Acca Larentia, e il leader del VENETO FRONTE
SKINHEAD Piero Puschiavo. Il gruppo romano mantiene una propria
struttura interna al partito: la GIOVINE ITALIA ne costituisce
la “componente giovane, socialista e nazionale”. Grazie
all’elezione di Bigliardo, la FIAMMA evita le forche della
raccolta delle firme e un omeopatico 0.7% basta a mandare Romagnoli a
Strasburgo. (...)
Alle
elezioni politiche del 2006 è proprio la FIAMMA ad allearsi
per prima con il centrodestra pur continuando a rimarcare il
carattere tecnico e strumentale dell’intesa, imposta dalla nuova
legge proporzionalista in favore del quale aveva votato il suo
senatore, Antonio Serena, l’ex leghista veneto espulso dal gruppo
di AN per aver diffuso un video per la grazia a Priebke, alla vigilia
del viaggio di Fini a Gerusalemme. Così continua a manifestarsi una
certa intransigenza dottrinaria e politica: la difesa delle tesi
radicalmente anti-israeliane del presidente iraniano espone Romagnoli
al fuoco incrociato dei mass media, finché una risposta reticente e
goffa in tv, a Ballarò, rischia di far saltare l’accordo
elettorale perché il leader della FIAMMA sembra avvalorare
tesi riduzioniste sulla Shoa. È così costretto a una imbarazzante
retromarcia. Lo aiuta a superare l’empasse l’anomala
figura di
Mario
Cohen, un ebreo fascista, amico di Evola, perseguitato dalle leggi
razziali ma volontario a Salò. Più radicale è la difesa di
Puschiavo, deciso nel rivendicare un’identità non antisemita ma
antisionista e nel chiedere la libertà per Priebke: Sulle camere
a gas Romagnoli ha detto cose legittime. Ribadisce tesi che stanno
discutendo anche gli storici. Poi, per me, quella è storia
marginale, mi importa poco.
Nella
polemica scende in campo Rauti che attacca inopinatamente l’ex
delfino come “uno squallido personaggio che anche oggi ha
dimostrato quali siano le sue idee”. Un modo aspro di regolare
i conti per l’espulsione dal partito che aveva fondato ma anche il
tentativo di inserire un cuneo affinché il suo MIS sia preferito da
Berlusconi come alleato per rastrellare i voti dell’estrema destra.
Ad accentuare la nuova linea sociale e popolare, sono candidati –
in seguito ad un accordo con il movimento delle occupazioni a scopo
abitativo (OSA) e con il COORDINAMENTO PER IL MUTUO SOCIALE –
Gianluca Iannone e Simone De Stefano, il cantante e il grafico degli
Zetazeroalfa, animatori di CASA POUND: per poche
migliaia di voti, lo 0.6% (il miglior risultato è raggiunto nel
Lazio con l’1%, quasi lo stesso del cartello mussoliniano), non
basta a far scattare
i
resti.
La
FIAMMA, irrobustita dalla vivacità movimentista delle
occupazioni non conformi, riparte con rinnovata energia sul terreno
della lotta sociale. Ma basta poco a far scattare la maledizione del
“doppio comando”: tra un vertice che subisce l’irresistibile
attrazione del “salotto buono” della politica e una base che con
i suoi dirigenti combattivi, Boccacci, Castellino, Iannone, De
Stefano, resta abbarbicata all’intransigenza. Così, subito dopo la
grande manifestazione del centrodestra il 2 dicembre 2006, in cui la
FIAMMA si guadagna una grande visibilità mediatica, con
due
enormi striscioni – “Anticomunisti sempre” e “Mutuo sociale”
– e le tante bandiere nere sventolate sotto il palco, mentre
infuria l’offensiva di FORZA NUOVA che accusa i
fratelli-coltelli di cedimento alle sirene berlusconiane, un nuovo
infelice passaggio televisivo di Romagnoli da Mentana, a Matrix,
innesta l’ennesimo
regolamento
di conti interno. La sua adesione ai feticci del politically
correct (banalizzazione della scelta di Salò, netta condanna
delle posizioni negazioniste rilanciate dal meeting promosso
dal regime di Teheran) suscita la reazione risentita dei quadri,
subito formalizzata dal solito comunicato intransigente di Boccacci.
Ma la successiva intervista in cui il segretario conferma la
disponibilità ad aderire alla CASA DELLE LIBERTÀ dimostra
che l’urgenza di legittimazione è altrettanto, se non più, forte
della spinta identitaria.
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