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Rauti story/21: Dalla scissione di Fiuggi alla rifondazione missina. E il leader disse: non moriremo berlusconiani

Volge al termine la storia di Rauti e della corrente ordinovista. Manca nei miei testi una riflessione sulla vicenda della conquista (e della rapida perdita) della segreteria del Msi, perché è un episodio tutto giocato dentro le dinamiche interne al partito, di cui non mi sono mai occupato. E veniamo quindi alla scissione di Fiuggi e alla ascesa e caduta della rinata Fiamma tricolore.
di Ugo Maria Tassinari
Quando, nel gennaio 1995, al congresso di Fiuggi, si completa il traghettamento nel salotto buono della politica italiana del MOVIMENTO SOCIALE ITALIANO rigenerato in ALLEANZA NAZIONALE, i missini sono appena tornati all’opposizione, grazie al “tradimento” di Bossi, ma il percorso è tracciato.
Gli unici a dare battaglia, in nome della continuità, sono due dirigenti agli antipodi: il “raffinato” Rauti e il “tozzo” Buontempo, un mito per la “base” romana. Una battaglia a termine: perché il secondo non intende togliere il disturbo mentre il primo organizza una scissione in cui non lo segue neanche il genero Alemanno. Molti hanno sottolineato la funzionalità di una riserva indiana “neofascista” al disegno politico di Fini e del gruppo dirigente di ALLEANZA NAZIONALE (una generazione cresciuta nel FDG degli anni Settanta: dal leader a Storace, da Gasparri a La Russa, da Urso ad Alemanno).
L’ultima a rilanciare la voce di un accordo sottobanco tra Rauti e Fini è Alessandra Mussolini, per poi ricondurre il suo movimento nella CASA DELLE LIBERTÀ. Così come per RIFONDAZIONE COMUNISTA, intorno alla figura carismatica che incarna la tradizione (lì Cossutta, qui Rauti) e piccoli nuclei di apparato, si aggregano centinaia di cani sciolti, di disillusi che avevano abbandonato la milizia negli orribili anni ’80. E il “grande vecchio” mette in guardia dai rischi del passatismo: Purtroppo non conosco i giovani della FIAMMA, non so perché indossino la camicia nera ma so che gli piace. Però avevo chiesto di non usarla, perché se le camicie verdi [della LEGA] sono una buffonata le camicie nere sono una cosa seria, con una storia, un significato. E usarle come manifestazioni di nostalgismo non lo accetto granché. E non mi piace che il partito rischi di essere preso come una sorta di museo delle cere. La cosa è molto semplice: abbiamo un’idea, sbagliata che sia è un’idea. E io personalmente ho una certezza: non ho lottato una vita per fare il servo di Berlusconi.
Ci metterà pochi anni a cambiare idea. A marzo Rauti presenta la FIAMMA TRICOLORE: 25mila adesioni (con solo 5 ex ordinovisti), un europarlamentare (lui), un deputato (Modesto Della Rosa), 106 consiglieri comunali, 72 circoscrizionali, 4 provinciali. Del gruppo dirigente fanno parte Giorgio Pisanò, che ben presto si distacca per rilanciare il suo FASCISMO E LIBERTÀ, Tomaso Staiti di Cuddia, l’ex comandante del controspionaggio e deputato missino Ambrogio Viviani, l’ex responsabile scuola del MSI, Silverio Bacci; Guido Mussolini, figlio di Vittorio; il principe Lillo Sforza Ruspoli; uno dei fondatori di LOTTA POPOLARE, Romolo Sabatini; il sindaco di Chieti Nicola Cucullo. Don Olindo del Donno, sacerdote ed ex deputato condanna le tentazioni luciferine di Fini. Alcuni degli intellettuali d’area più prestigiosi, da Enzo Erra a Piero Buscaroli, da Giano Accame a Gianfranco de Turris si rendono disponibili per dar vita a un «rinnovato schema organizzativo» del partito, in cui per la prima volta si delinea un modello in cui ha un ruolo rilevante un “cervello politico” costituito da un ristretto gruppo di elementi qualificati. Finisce per prevalere la determinazione di Rauti a mantenere il controllo di una più modesta macchina pur di non mettere in gioco la leadership. Le liste neomissine costeranno tre Regioni (Lazio, Marche e Molise) al POLO DELLA LIBERTÀ. Così un anno dopo i 49 collegi marginali vinti dall’ULIVO grazie al milione di voti strappati al POLO dalle liste della FIAMMA nel Centro-sud (con alcune punte clamorose: il 12,8 per cento a Crotone, il 7,2 a Latina, il 6,4 a Pozzuoli) saranno decisivi. Rauti può commentare soddisfatto: Se Prodi è capo del governo lo deve a noi. () Mi misero alla porta come un cane, Fisichella – la testa d’uovo di Fini – aveva detto: «Dobbiamo scrivere delle regole che rendano il collo della bottiglia così stretto che nemmeno Rauti ci possa passare». Me ne andai, con molta amarezza (...) Ora ne vedremo delle belle, dia retta a me, che di politica me ne intendo: valiamo almeno due milioni di voti e a quel Fini lì, uno che è sempre stato dietro una scrivania ma mai in mezzo alla gente, gli spezziamo la schiena.
L’occasione per l’intervista a Piervincenzi della Repubblica è una 'new entry' piena di fascino. Alessandra Mussolini, anche lei transfuga polemica di An, è in procinto di schierarsi con Rauti: “E noi la aspettiamo a braccia aperte, questa è casa sua, il suo cognome fa parte della nostra storia”, ammette il segretario, che anticipa un progetto: “Mi piacerebbe tanto averla a Roma contro Rutelli. Sarebbe un bel testa a testa”. La Mussolini interviene al congresso di Chianciano, nel novembre 1996, accolta senza entusiasmo e con qualche fischio dai 619 delegati. La modestia dell’offerta “politica” di Rauti, la segreteria femminile del movimento, la induce a innestare una rapidissima retromarcia.
Il programma della FIAMMA miscela sapientemente cavalli di battaglia della destra (sul piano istituzionale: abolizione del Senato e dei privilegi parlamentari, repubblica presidenziale; sull’ordine pubblico: lotta alla microcriminalità, inasprimento e certezza delle pene, pugno di ferro con i pedofili) e della sinistra (sul terreno economico: partecipazione agli utili dei lavoratori, salario d’ingresso per i giovani; in politica estera: antiamericana e filopalestinese).
Proprio quando il partito sembra prendere slancio, grazie anche alla disponibilità di un miliardario finanziamento pubblico (occasione di una clamorosa gaffe. Convinto che si trattasse solo di 100 milioni di lire, Rauti promette in diretta a Radio Radicale di devolvere i fondi alle famiglie degli agenti di polizia morti in servizio tranne rimangiarsi l’impegno quando scopre che la somma ha uno zero in più) maturato grazie alla fortuita elezione di un senatore in Sicilia (un accordo di desistenza tra il Polo e i radicali prevede la mancata presentazione di candidati del centrodestra in tre collegi del Senato (Milano, Roma, Siracusa) per assicurarne le elezioni. In Sicilia però l’eletta al precedente turno, un’esponente di AN si mette di traverso e favorisce la vittoria a sorpresa del rappresentante della FIAMMA, Caruso), il tradizionale spirito di scissione della “fascisteria” lo precipita in una crisi rovinosa. Testimone privilegiato, dal lontano osservatorio di Agrigento, un vecchio ordinovista, Antonino Amato: Sul Borghese, abbiamo letto una intervista di Tomaso Staiti di Cuddia che denunciava le “molte manchevolezze” del MSFT. Da quel momento è stato tutto un susseguirsi di notizie, lette sulla grossa stampa, che hanno demolito molte delle certezze che, arrancando, ci eravamo fatte di persona. (…) Tomaso Staiti di Cuddia e Adriano Tilgher (ed altri) hanno “autoconvocato”, in quel di Roma, alcuni iscritti del MSFT che, in una assemblea informale, hanno deciso di proporre: «l’abrogazione dello Statuto, l’azzeramento di tutte le cariche, con il conseguente scioglimento del Comitato centrale, la nomina di un organo dirigente collegiale provvisorio » (...) Domanda: le cose sono andate realmente così? Oppure qualcuno, profittando della buonafede di alcuni dei nostri, sta montando una manovra ai danni del MSFT? Noi speriamo che le cose non stiano esattamente così. Temiamo però che, purtroppo, le cose siano andate in questi stessi termini. Parola più, parola meno. E allora i conti non ci tornano.
I ribelli, il cui nucleo centrale è composto dagli ex avanguardisti transitati per la LEGA NAZIONALPOPOLARE, sono espulsi a luglio e a settembre danno vita al FRONTE NAZIONALE. Il pugno di ferro si abbatte anche contro i giovani che hanno i numi tutelari negli esuli londinesi, Fiore e Morsello. Il divieto di diffondere nelle sezioni il loro Foglio di lotta innesta un’altra scissione, che mette capo negli stessi giorni a FORZA NUOVA. Nel 1998 Rauti tenta la stretta organizzativa per resistere all’emorragia di quadri: ottiene dal comitato centrale i poteri disciplinari (fino all’espulsione), trasforma in quotidiano l’organo di partito Linea ma la soluzione societaria (quote intestate alla moglie) susciterà un ulteriore scontro politico-giudiziario. La resistenza alle tendenze accentratrici si estende. Il coordinatore toscano, Nicola Silvestri, si dimette. L’ex federale romano e animatore della scuola quadri, Nicola Cospito, un intellettuale raffinato ma popolare nella base, dà vita alla rivista Orientamenti.   

1 commento:

  1. Purtroppo Rauti non fu mai compreso appieno, in un partito pieno di somari e di asini.Gente che viveva navigando a vista, che cavalcava tutte le battaglie perse in partenza.Difensori di merce avariata del tipo anticomunismo viscerale, in un epoca in cui solo Rauti,ne aveva preconizzato la fine.Difensori dei bianchi di pelle, anche se erano a rimorchio di massoneria, Israele, degli USA. Rauti era troppo arguto il suo pensiero,troppo sagace,questo fu il suo dramma e il suo limite.Un vero fine intellettuale, incompreso dai più,che andavano in brodo di giuggiole dietro ad una autentica nullità come Fini. Rauti fu emarginato, criminalizzato,incarcerato, imputato in una serie di stragi, pur essendo riconosciuto estraneo, dopo anni di graticola mediatica, infine fu aggredito a colpi di martello da ignoti sotto casa.In questo egli ricorda un po' Evola, negli anni trenta,che era costretto a girare con la scorta, per sventare gli agguati degli squadristi di Mario Carli.In conclusione il suo dramma fu questo:invece di seguire la sua esortazione, che affermava che il miglior combattente è colui il quale si batte con cognizione di causa, i beoti nostalgici si perdevano dietro ad una sterile parodia dei rituali del ventennio, roba da curva sud,invocando la pena di morte,lo stato di polizia,la repressione, pagandone poi, per primi l'amaro conto finale, dissolvendo come neve al sole, un patrimonio di cinquanta anni di lotte e speranze.E' tempo di chiedere scusa a Rauti, siamo stati indegni di lui, ci siamo meritati Fini! T.V.

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