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E' Marra il brigatista in albergo a Bologna il 1° agosto 1980. Franceschini: uscì dalle Br nel 1975

(umt) Ed ecco spuntare il nome del "brigatista" presente a Bologna la notte del 1° agosto, in un albergo vicino a quello in cui ha alloggiato Tomas Kram, il militante della "banda Carlos" indagato per la strage alla Stazione. Lo fa Gian Marco Chiocci, sul "Giornale".
Le coincidenze cominciano a essere troppe. All'indomani della rivelazione del Giornale sulla presenza di un presunto brigatista rosso in un albergo dirimpetto la stazione di Bologna la notte precedente la strage del 2 agosto, si materializza il nome di quel «simpatizzante»: si tratta di Francesco Marra, personaggio controverso, al centro di violentissime polemiche col fondatore storico della formazione della stella a cinque punte, Alberto Franceschini (nella foto). La conferma arriva direttamente dal deputato Enzo Raisi di Fli, che da anni si batte per far emergere la verità vera sulla bomba e per far riaprire un caso ormai chiuso da una sentenza a dir poco discutibile che ha mandato all'ergastolo gli ex Nar Valerio Fioravanti, Francesca Mambro e Luigi Ciavardini. Le nuove indagini puntano prepotentemente alla rete del terrorista Carlos, legato ai palestinesi, che avrebbe compiuto la strage come ritorsione all'arresto in Italia del leader del Fplp Abu Saleh e di alcuni autonomi legati a quest'ultimo. Due dei capi di questa rete, «Separat», attualmente indagati a Bologna - Thomas Kram e Krista Margot Frohlich - la notte prima dell'esplosione avevano dormito in un hotel a due passi dalla stazione, proprio come quel «simpatizzante». Che, come detto, ha finalmente un nome. «L'uomo legato alle Br al quale avete fatto riferimento nell'articolo di oggi (ieri, ndr) è Francesco Marra. Abbiamo scoperto con immensa fatica che venne interrogato nel 1981 dalla Digos perché come gli uomini di Carlos risultò tra gli ospiti di un albergo vicinissimo la stazione. L'Antiterrorismo dell'epoca - continua - fece una ricerca negli hotel della città nei giorni dell'attacco cercando chi avesse precedenti penali. Spuntò fuori lui e nel telex della questura lo si descrive come “esponente di estrema sinistra e simpatizzante Br”. Lui, a verbale, spiegò di essere stato a Bologna per turismo, in compagnia di una ragazza». Lui, Marra, ha sempre negato la sua appartenza alle Br, ammettendo solo di conoscere Franceschini.
Chiocci si mantiene prudente, parlando di simpatizzante, ma in un'intervista al "Diario" Franceschini descrive dettagliatamente le attività di Marra come militante delle Br. Militanza che a suo dire si sarebbe conclusa alla vigilia dell'evasione di Curcio da Casale Monferrato. Il che conferma il nostro dubbio espresso ieri, alle prime indiscrezioni. Nel 1980 un brigatista non poteva dormire in albergo. Un ex, ovviamente, sì :
«Marra e altri - secondo Franceschini - la notte del 25 aprile 1972 bruciano le auto di alcuni fascisti, a Quarto Oggiaro e al Lorenteggio. Poi Franco partecipa ad alcune rapine per finanziare le Br. Nell’autunno 1972 compie la sua prima azione armata importante: con me e altri compagni irrompe nella sede dell’Ucid, l’associazione dei dirigenti cristiani, dove sequestriamo, leghiamo e fotografiamo i presenti. Nel ’74 Marra partecipa all’assalto armato alla sede dei Comitati di Rinascita Democratica di Edgardo Sogno. Ma la sua azione più importante resta il sequestro Sossi. Io in quell’azione ho avuto un ruolo di dirigente, ero quello che interrogava il prigioniero, come Mario Moretti fece poi per Aldo Moro. Nel gruppo che partecipa al sequestro Sossi, composto da 19 persone, avevamo voluto inserire tre “proletari”: Maurizio Ferrari, Alfredo Bonavita e Francesco Marra. Marra, il “compagno Rocco”, è quello che materialmente afferra Sossi nel momento del sequestro e lo caccia sul furgone. È, come sempre, uno dei più estremisti, dei più violenti. Poi Marra partecipa alla preparazione dell’azione per liberare Curcio dal carcere di Casale Monferrato. Non prende parte all’azione, il 17 febbraio 1975, perché proprio allora esce dalle Br. Era normale, per noi, in quegli anni, che qualcuno dicesse: non me la sento più, voglio uscire, torno alla mia vita. È successo a decine e decine di compagni. Molti uscivano, molti entravano»
. 
Contro le ipotesi di infiltrazione di Marra, avanzata da Franceschini nel libro scritto con Giovanni Fasanella e rilanciata da Sergio Flamigni (che parla di un parà che si iscrive nel 1971 al Pci per preparare il terreno: in realtà Marra proviene dai ranghi dei "pionieri"), si pronuncia Marco Clementi nella sua "Storia delle Br"
Prima di proseguire nella ricostruzione di questa vicenda, al fine di chiarire ogni possibile dubbio al riguardo, è necessario affrontare un problema sollevato diverse volte nel passato da Franceschini, anche di fronte alla Commissione di inchiesta parlamentare e riproposto poi nel libro scritto assieme a Fasanella, nonché da Giorgio Galli in "Piombo Rosso", secondo il quale l'azione Sossi, chiamata in codice dalle B.R. 'operazione girasole' si sarebbe svolta sotto il controllo dei servizi; come prova di questa affermazione Galli rimanda alle dichiarazioni di Franceschini, che sostiene l'infiltrazione di uno dei brigatisti che parteciparono materialmente al sequestro del giudice, Francesco Marra (detto 'Rocco') (3). Sempre secondo Galli, Marra avrebbe rivelato al Sid l'ubicazione della prigione di Sossi, e il generale Vito Miceli, capo del Servizio, aveva preparato un piano che doveva servire a coinvolgere anche il Partito comunista italiano; esso prevedeva che l'ex comandante partigiano e militante del P.C.I. Giambattista Lazagna fosse rapito, ucciso e lasciato cadavere nella villa dove era tenuto Sossi (ucciso anche lui nel corso dell'irruzione) per farlo poi passare come il capo delle B.R. (4).
Per quanto riguarda il piano di Miceli, non esistono prove a favore o contro, se non il racconto del generale Gianadelio Maletti, riportato dallo stesso Galli. Non si può dire, dunque, nulla di certo, tranne che avanzare una riflessione: il piano non fu realizzato e la circostanza costituisce, in mancanza di altro, una prova del fatto che o non fosse mai esistito, o fosse impossibile da realizzare, forse per la mancata individuazione della prigione del popolo. Del resto, e questa è una cosa ripetuta sempre da tutti i protagonisti,nessuno, tranne Franceschini, Bertolazzi e Cagol, conosceva l'ubicazione della prigione del popolo, neanche Curcio e Moretti; proprio per questo erano stati formati due gruppi per l'azione, uno che prelevava e l'altro che prendeva in consegna l'ostaggio. Come avrebbe potuto, quindi, un eventuale infiltrato afferente al primo gruppo raccontare della prigione?
Chi scrive si è occupato in dettaglio della ricostruzione della vicenda riguardante le dichiarazioni di Franceschini a proposito di Marra e dunque si rimanda il lettore eventualmente interessato a quelle pagine. Qui è bene invece riportare brevemente le conclusioni del ragionamento e cioè che l'infiltrazione di Marra non solo non risulta dimostrata da nessun documento o atto processuale, ma è stata sempre smentita da tutti i protagonisti, compreso un politico bene informato dei fatti come l'ex ministro degli Interni Paolo Emilio Taviani, che ha affermato nel suo libro di memorie: «Si è parlato recentemente di un certo Marra detto Rocco che sarebbe stato infiltrato nelle B.R. dai carabinieri durante il sequestro Sossi. Non è vero. Ricordo che, al tempo del sequestro Sossi, Santillo mi parlò di un certo Rocco definendolo un balordo di cui le B.R. si servivano per tentare di ingannare i carabinieri. Successivamente il generale Dalla Chiesa mi confermò l'informazione». Secondo il colonnello Cagnazzo, inoltre, una seria infiltrazione nelle Brigate rosse era relativamente facile a livello ideologico, ma praticamente impossibile a livello pratico: «avevamo dei carabinieri che parlavano e pensavano in brigatese dopo anni che studiavano volantini, documenti, risoluzioni strategiche e frequentavano l'area sovversiva. Ma poi arrivava lo sbarramento invalicabile, la prova delle armi, dell'attentato. A un nostro carabiniere non potevamo chiedere di sparare su qualcuno per poter entrare nelle B.R. Il solo luogo in cui gli infiltrati erano esenti dalla prova delle armi era la prigione». Questa spiegazione appare poco convincente: non esisteva, infatti, alcuna 'prova del fuoco' per gli aspiranti brigatisti che, è bene ripeterlo, non erano una società segreta. Molti brigatisti, infatti, non hanno mai sparato un colpo contro persone. Il reclutamento, invece, avveniva su altri parametri, come la lunga conoscenza del candidato e la verifica del suo affidamento all'interno della normale lotta di fabbrica. L'aspirante brigatista, insomma, doveva essersi già conquistato una certa fiducia da parte del movimento ben prima di aderire alle B.R. Una ulteriore prova di questo consiste nel fatto che allorché tali criteri furono disattesi, come nel caso di Silvano Girotto o di Renato Longo (il primo avrebbe fatto arrestare Curcio e Franceschini e il secondo Moretti conf. infra), fu possibile l'infiltrazione. Secondo le dichiarazioni del primo pentito Patrizio Peci, solo in un caso i carabinieri riuscirono a infiltrare un elemento nelle B.R. direttamente dalla fabbrica; si trattò di un militante del P.C.I. che condusse le forze dell'ordine alla colonna torinese e all'arresto proprio di Peci e Rocco Micaletto (conf. infra).
Paradossalmente, conferma questo ragionamento proprio quanto dichiarato da Silvano Girotto di fronte alla Commissione parlamentare d'inchiesta, sebbene possa sembrare condizionato da una certa tendenza al protagonismo:
"No non ho conosciuto Francesco Marra. E' possibile che abbia letto il suo nome nel corso di questi anni, ma non mi è rimasto impresso. L'immagine della mia azione di infiltrato è che ho bussato alla porta, i brigatisti mi hanno aperto e al posto mio sono entrati i carabinieri; nelle Brigate rosse non ci sono stato proprio, ma ci ho parlato. Nei tre colloqui - perché di questo si tratta - non ho avuto la sensazione di altri infiltrati.Tenderei forse ad escluderlo vedendo come pendevano dalle mie labbra e dalle mie iniziative i carabinieri. Tutto, dal primo all'ultimo passo, il modo, il quando, è stato deciso da me. Nessuno tra i carabinieri era in grado di consigliarmi di fare qualcosa e non potevano fare altro che dirmi di stare attento. Nel vedere quanto i carabinieri dipendessero totalmente da me posso presumere che non ci fossero altri infiltrati, ma questa è una mia considerazione" .
Alla fine dell'analisi della documentazione disponibile, le prove a favore di una possibile infiltrazione durante il sequestro Sossi appaiono inesistenti e si può sostenere con una certa ragionevolezza che l'azione non venne favorita da nessun apparato dello Stato.


2 commenti:

  1. La notizia non è inedita.
    Roberto Bartali nel saggio collettaneo "Il sequestro di verità" (Kaos 2008) nella nota 57 a pagina 42 scrive: Marra "era in transito alla stazione ferroviaria di Bologna la mattina del 2 agosto 1980, quando una bomba provocò 85 morti e 200 feriti". Nella stessa nota Bartali ricorda anche che Lintrami (altro militante di Quarto Oggiaro come Marra) era a Brescia il giorno della strage...

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  2. Lo so, Paradisi: ne discutevamo proprio ieri con lui nella pagina fb di Fasanella (un altro che ha parlato, a lungo, di Marra e del suo ruolo ambiguo). Mi pare evidente che niente è inedito ma che in questi giorni si stiano annodando (a torto o a ragione) diversi fili spezzati in una fase che mi sembra di evidente accelerazione verso il "botto" giudiziario. Come è noto, il mio punto di vista è che la ricerca delle verità sui misteri d'Italia è un'impresa disperata. Il che non mi impedisce di seguire con attenzione - e riferire con onestà (il che significa anche riconoscere i propri personali endorsement)- quanto si muove su questo fronte: ed è tanto.
    Del resto, io non ho bisogno di nessuna pista nuova per sapere che i tre dei Nar non sono colpevoli...

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