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Il golpe Borghese tra storia e leggenda: 2. 1969, l'anno delle bombe

(umt) Il golpe Borghese è un tema che ho più volte affrontato nella mia produzione saggistica, inserendolo sempre in un contesto più ampio, delle manovre del cosiddetto "partito americano". Il recente volume sul "Golpe inglese", di cui abbiamo cominciato a occuparci nei giorni scorsi, confuta sostanzialmente questa vulgata, che è anche la "narrazione" che ha ispirato l'ultima tornata di inchieste giudiziarie sulle stragi del quinquennio nero (1969-74). In attesa di entrare nel merito delle questioni sollevate da Fasanella e Cereghino, vi ripropongo, in tre parti, il capitolo sul Fronte nazionale e il golpe Borghese pubblicato nel mio libro "Naufraghi. Da Mussolini alla Mussolini. 60 anni di storia della destra radicale" (Immaginapoli, 2005). Qui potete leggere la prima parte. Qui la terza.
Il riferimento alla strage di piazza Fontana – che si consumerà il 12 dicembre – è evidente. Del resto il servizio segreto si è infiltrato negli ambienti protagonisti dell’escalation terroristica. Un nucleo di area ordinovista attivo in Veneto e che fa capo all’avvocato padovano Franco “Giorgio” Freda e all’editore trevigiano Giovanni Ventura ha avviato una campagna di attentati che da Padova (contro lo studio del rettore ebreo dell’Università) si è estesa a Milano (Fiera Campionaria e Stazione centrale il 25 aprile: inizialmente attribuiti ad ambienti anarchici collegati all’“editore guerrigliero” Giangiacomo Feltrinelli), a Torino (fallito a maggio al palazzo di Giustizia) a tutt’Italia (otto bombe sui treni la notte tra l’8 e il 9 agosto). Freda, animatore del GRUPPO DI AR e di iniziative antisraelitiche (è il primo a diffondere in Italia i temi del revisionismo olocaustico e a promuovere attività di solidarietà con la Resistenza palestinese) è in stretto contatto con Giannettini, uno dei giornalisti neofascisti a busta paga dei servizi segreti, esperto di “guerra rivoluzionaria”. Questi, a sua volta, si scambia informazioni sull’ultrasinistra con Ventura e in due rapporti al SID, nel mese di maggio, segnala che 
è in corso una manovra della destra politica e finanziaria italiana, con la connivenza dei servizi segreti americani, per affrontare il centro-sinistra mediante una serie di attentati terroristici per favorire un governo forte sostenuto dai militari.
Note identiche sui gruppi maoisti finiscono nelle veline del SID e nell’archivio della “cellula nera veneta” che si spinge molto avanti nell’elaborazione di un progetto complesso di unità rivoluzionaria. Partigiani stalinisti sono coinvolti in un ambiguo gioco degli specchi (l’arsenale del gruppo sarà trovato nella soffitta di un dirigente provinciale socialista). L’organizzazione marxista-leninista accusata di essere stato infiltrata dai neofascisti menerà vanto di aver smascherato il tentativo. Le tesi espresse in una conferenza stampa (maggio 1971) dall’ufficio di presidenza del PCD’I(M-L) saranno rilanciate da Secchia, il “grande vecchio” dell’ortodossia comunista italiana, ormai emarginato nel PCI:
Le organizzazioni eversive di destra sono mosse dall’imperialismo statunitense e coperte da parte dei partiti parlamentari di destra, della struttura economica di destra del Paese e dallo stesso apparato dello Stato borghese, ma non con lo scopo di rovesciare il sistema sociale vigente, bensì rafforzarlo su posizioni che consentano al sistema e al suo vertice capitalista di raggiungere livelli più alti di profitto, di competitività e di maggiore sfruttamento attraverso una loro maggiore stabilità e sicurezza.
La frazione LINEA ROSSA dei marxisti-leninisti esprime per la prima volta l’ipotesi che la “strategia della tensione” punti invece alla “destabilizzazione per stabilizzare”, un’interpretazione che la pubblicistica corrente attribuisce a Vinciguerra. In realtà la questione del rapporto tra estrema destra rivoluzionaria e frange staliniste dell’ultrasinistra è più complessa, perché qualche “compagno” crede alla sincerità della conversione dell’editore trevigiano, così come altri avevano accettato di buon grado la svolta maoista di Mutti e Orsi. Le ipotesi avanzate nel volume Gli attentati e lo scioglimento del Parlamento, pubblicato nell’estate 1970 da Ventura e scritto dai militanti marxisti-leninisti Elio Franzin e Mario Quaranta scagionano la “cellula nera veneta” dalla responsabilità della strage:
Il SID è estraneo agli attentati nel senso che non ha avuto precedenti informazioni utili alla prevenzione e al controllo di simili attività criminose [...] la strage di Milano l’ha organizzata e portata a termini con propri uomini la CIA.
Concorre però a indirizzare le indagini sulla strage verso la pista padovana il socio di Ventura: Alberto Sartori, medaglia d’argento della Resistenza, amico del conte Loredan. Il partigiano depone spontaneamente che l’editore ha documenti riservati. Un personaggio interessante, Sartori: negli anni ’50 è controllato dal SIFAR come presunto membro della GLADIO ROSSA, l’apparato clandestino di sicurezza comunista, negli anni ’60 è espulso dal PCI come sospetto agente britannico fin dai tempi della Resistenza.
Trentacinque anni dopo, in un pamphlet ispirato dall’assurdità dell’ultima sentenza su Piazza Fontana (Freda e Ventura, già assolti definitivamente, sono en passant dichiarati colpevoli della strage) una giovanissima autrice delle Edizioni di Ar rivendica l’integrità rivoluzionaria del piccolo gruppo veneto:
Perché D’Ambrosio, virtuoso dell’ipotesi non si pose mai l’interrogativo: non poteva essere Giannettini l’infiltrato del gruppo di sediziosi entro i servizi segreti? Bastava rovesciare gli equilibri della questione. Non i ribaldi della reazione, i nazifascisti, ma gli uomini stessi dello Stato impiegati da questi come strumenti.
Un tentativo luciferino che Freda pagherà duramente (una condanna a 15 anni quasi interamente scontati per associazione sovversiva e per gli attentati della primavera-estate 1969). Intanto gli 60 apparati di sicurezza, puntualmente aggiornati da tanti militari e civili coinvolti nel piano golpista, seguono da vicino l’attività del FRONTE. Le adesioni sono scrupolosamente schedate. Anche un moderato come il direttore del Borghese, Mario Tedeschi, legato a filo doppio a Umberto Federico D’Amato, referente americano nei servizi segreti “civili”, riscopre i giovanili furori della militanza nei FAR e così da un lato promuove i GRUPPI D’AZIONE NAZIONALE per sviluppare dal basso l’unità del fronte anticomunista, dall’altra esalta il bello della violenza:
alle bombe senza sangue noi preferiamo le beffe sanguinose. Ormai chi vuole fare dell’anticomunismo sul serio deve porsi fuori dal sistema e contro il regime.
A fine ottobre un comizio di Borghese a Reggio Calabria dà il via a una campagna di attentati. Centinaia di missini si dimettono (via raccomandata: a futura memoria) per organizzarsi fuori dal partito allo scopo di “reagire” alle provocazioni dei “rossi”: la manovalanza messa a disposizione degli apparati dello Stato, per cautela, figura come fuoruscita. Nelle stesse settimane, i partigiani bianchi si muovono sul piano militare col patrocinio esplicito di Pacciardi e un più prudente sostegno della destra DC. La cabina di regia è assicurata dai socialdemocratici che partecipando alla maggioranza possono condizionare i giochi politici. (2 - continua) 

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