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Il libro di Rao/2 - Savasta: Acca Larentia la fece la brigata di Torre Spaccata

Una cerimonia commemorativa della strage (Repubblica.it)

Fascinazione ha dedicato ampio spazio al libro inchiesta di Valerio Cutonilli e Luca Valentinotti sulla strage di Acca Larentia. La loro tesi era che la strage fosse da attribuire alla frazione dei Comitati comunisti che faceva capo a Luigi Rosati, con una responsabilità diretta dei nuclei dell'Alberone e dei Castelli Romani. Di diverso avviso il pentito Antonio Savasta, che ha fornito una lunga testimonianza a Nicola Rao per il suo "Colpo al cuore". L'ex br, all'epoca militante delle brigate Universitaria e Centocelle, racconta un'altra storia. Eccola.

Il forte nucleo della Brigata Torre Spaccata [era composto da] Marina e Stefano Petrella, Luigi Novelli, Francesco Piccioni, Remo Pancelli, Marcello Capuano, Giulio Cacciotti.
A differenza della maggior parte dei militanti, che provenivano da Potere Operaio, quelli di Torre Spaccata erano ex attivisti di Viva il Comunismo [un gruppo marxista-leninista la cui maggioranza aveva dato vita ad Avanguardia comunista insieme ai militanti di 'Il comunista', guidati da Franco Russo e Piero Bernocchi, ndb] e poi avevano dato vita al Cococin, Comitato Comunista di Cinecittà. Noi eravamo entrati nelle Br prima di loro, perché il capo del loro gruppo pretendeva di entrare nell’organizzazione con un ruolo, mentre noi non ponemmo condizioni ed entrammo dall’ultimo gradino dell’organizzazione, senza creare problemi. Tra la fine del 1977 e l’inizio del 1978, da un lato, come brigata Universitaria, seguivamo le mosse di Moro dentro l’università, dall’altro, nell’ambito della colonna romana, come Brigata Centocelle, assistemmo a un dibattito lungo ed estenuante. I compagni della Brigata Torre Spaccata chiesero alle altre brigate territoriali come pensavano di comportarsi con i fascisti del loro quartiere. In particolare ricordo di essere stato testimone di discussioni accese su questo punto.
Tutto nasceva dal fatto che per quelli di Torre Spaccata il problema principale della zona Tuscolano-Cinecittà era costituito non tanto e non soltanto dalla presenza e dal potere democristiani, ma dalla militanza dei fascisti. In pratica, chiedevano all’organizzazione una specie di placet per colpirli. Erano assolutamente determinati nel voler sparare ai fascisti di quella zona.
Il dibattito prima di un’azione era sempre generale e politico, non si scendeva mai nello specifico operativo e tecnico. In quelle settimane la nostra parola d’ordine era: portare l’attacco al cuore dello Stato. E i compagni di Torre Spaccata chiedevano: come si può declinare questa parola d’ordine nelle azioni quotidiane sul territorio? C’era chi – come i vertici delle Br, da Maurizio [Moretti] a Pecos [Morucci]–sosteneva che significasse semplicemente colpire i rappresentanti e i simboli della Dc o delle forze dell’ordine nei quartieri e chi – come quelli di Torre Spaccata – insisteva nel dire che i fascisti dalle loro parti si agitavano troppo ed erano troppo visibili e che quella era la loro priorità. E se, in una fase di propaganda armata di quartiere, colpire il potere significava, che so, bruciare l’auto di un consigliere circoscrizionale della Dc o di un carabiniere, o magari tirargli due colpi alle gambe, colpire i fascisti significava – e questo valeva per tutti noi – una sola cosa: annientarli. 
Il 7 gennaio 1978 ci fu la strage di Acca Larenzia, e il dibattito proseguì anche dopo quell’attacco. Persino in sede di direzione di colonna, come mi raccontarono Pecos e Claudio [Seghetti]. Nessuno mi disse mai esplicitamente chi aveva sparato ad Acca Larenzia, ma ho sempre avuto la convinzione, dopo quello che avevo sentito, che dietro quell’azione ci fossero i compagni della Brigata Torre Spaccata. Sicuramente fornirono copertura, armi, mezzi – un po’ come facemmo noi per i compagni del Cococe negli scontri del 12 marzo – ma probabilmente, in quel caso, alcuni di loro parteciparono anche personalmente all’attacco.
Qualche giorno dopo l’episodio di Acca Larenzia un compagno del Cococe passò in clandestinità. Gli chiesi esplicitamente se anche lui avesse partecipato all’attacco ai fascisti del Tuscolano, ma lui negò. Questo mi rafforzò nella convinzione che fu un’azione tutta interna agli ambienti del gruppo di Torre Spaccata.

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