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La storia di Marco Di Vittorio/2: I dirigenti del Msi? All'80% vigliacconi

Marco Di Vittorio, morto di tumore dopo una strenua battaglia, è stato uno dei protagonisti della guerriglia nera. Accusato di alcuni gravi episodi (l'incursione alla sezione Esquilino del Pci, l'omicidio Zini) è stato nel primo caso condannato nel secondo assolto. Ma per una volta, superando la mia maniacalità cronachistica e compilativa, invece di ricostruirne le gesta attraverso la loro ipostatizzazione giudiziaria, vi restituirò la sua lunga testimonianza su quegli anni. Uno dei tanti frutti preziosi dello straordinario lavoro di Nicola Rao, in "Il piombo e la celtica". Questi due brani sull'allontanamento dalla sezione martire di Prati e sul burrascoso rapporto con il Msi sono tratti da pag. 172 e 173 (Sperling & Kupfer, 2008):

L'ESPULSIONE DA PRATI - Dopo un po' che frequentavamo la sezione di via Ottaviano alcuni dirigenti del Msi compilarono una sorta di lista di proscrizione. Un elenco di persone in odore di eversione,l che venne spedita, per conoscenza, a Milano; e il pm Spataro firmò una serie di comunicazioni giudiziarie per ricostituzione del partito fascista contro il nostro gruppo. Così venimmo espulsi dal partito, pur non essendo iscritti. Insomma, non avremmo dovuto più entrare in sezione, ma poi facevamo comunque come ci pareva. Ma ormai l'aria a Prati era diventata irrespirabile , era diventato un commissariato: come uscivi dalla sede, avevi la polizia lì davanti, che presidiava e ti controllava in continuazione. In quel periodo al Fuan avevano messo in piedi questa struttura e da lì uno si muoveva, partiva e agiva. Lì era più tranquillo e si era più liberi di muoversi. Così decidemmo di trasferirci in via Siena.
I RAPPORTI COL MSI - Il crinale era tra chi blaterava e chi agiva. Un sacco di gente mi ha detto: "Il Msi vi ha mandato allo sbaraglio". Ma non c'è cosa più falsa di questa, perché allo sbaraglio a me non mi ci ha mai mandato nessuno, anche se sono sempre stato convinto che dentro il partito parecchi abbiano fatto i pesci in barile. La verità è che a molti facevamo comodo. La dirigenza era composta, per un buon 80 percento, da una massa di vigliaconi, che alla fine scendeva in piazza per chiedere la "doppia" pena di morte per noi di destra. A differenza dei compagni, che aiutavano i propri detenuti con soccorso rosso, fornendo gli avvocati gratis.
Secondo me, per esempio, le folli accuse contro Valerio e Francesca per la strage di Bologna avrebbero potuto costituire l'occasione di riscattarsi, per i dirigenti della destra italiana. Avrebbero potuto dire: "Certo, hanno fatto cose brutte, ma non fanno le stragi". Ma porca vacca, lo sanno pure i sassi che 'sti ragazzi non c'entrano niente con quella strage ... E invece li abbandoni in balia degli eventi? Ma muoviti, no? Vedi che sono accuse campate in aria: ma prendi una posizione, cavolo. Anche perché, quando ci sono stati problemi, e di mjezo c'erano pure le suddette persone, la faccia, la testa e le gambe ce le abbiamo messe noi,  e alcuni sono persino morti per difendere lor signori... Gente che è stata e che è al governo che ci telefonava da Sommacampagna: abbiamo i compagni qua fuori, aiutateci, venite. Allora andavi e partivi. Sprangate in facia, schizzi di sangue, denti che saltavano. Allora sì che andavamo bene. Poi dopo "chi ti conosce, "ammazzateli tutti", racolta di firme per la "doppia" pena di morte contro di noi. Questa è la caratura di certi personaggi. Anche se c'erano delle eccezioni, come Alemanno, per esempio. Lui era un bravo ragazzo, che si è sempre tenuto fuori dalle azioni armate, ma se c'era da scontrarsi con i compagni non si tirava indietro. Altri invece facevano "al lupo al lupo" ...
(1-continua)

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