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Quando lo Stato uccide: un libro sulle vittime delle forze dell'ordine

E' da ieri in libreria "Quando lo Stato uccide" di Alessia Lai e Tommaso Della Longa, edito da Castelvecchi. Un libro inchiesta sulle vittime della violenza poliziesca, una ventina negli ultimi dieci anni. Ho chiesto ad Alessia, che è una collega redattrice di Rinascita, una breve nota di presentazione del volume che raccomando caldamente.
Nella terra di nessuno di Alessia Lai 
Ci ho messo un po’ a scrivere questa introduzione, o come la vogliamo chiamare. Questo “qualcosa” che dia l’idea di quel che si troverà nel libro. Soprattutto per scaramanzia ho voluto aspettare di averlo tra le mani, “in carta e inchiostro”, quasi non mi pareva vero. Dopo mesi di lavoro e una lunga attesa il 15 marzo il libro “Quando lo Stato uccide” è arrivato in libreria.
Si tratta di un libro-inchiesta sugli abusi commessi nel nostro Paese da chi veste la divisa. Ma non si tratta di un semplice elenco di misfatti, come nemmeno vuol essere una specie di dossier “a senso unico” sui crimini commessi da poliziotti o carabinieri. Così abbiamo voluto (il mio coautore, Tommaso Della Longa, ed io) approfondire la questione delineando prima di tutto il quadro giuridico, italiano e anche europeo, nel quale operano oggigiorno le forze dell’ordine, le leggi che permettono l’uso delle armi a chi ci deve proteggere. Le forze dell’ordine, nel nostro Paese (e in Europa), agiscono all’interno di un quadro legislativo “a maglie larghe” che, ieri per gli anni di piombo, oggi per il cosiddetto terrorismo internazionale, assegna un potere discrezionale che purtroppo, in alcuni casi, apre la strada a eccessi pericolosi. Poi li abbiamo intervistati, poliziotti e carabinieri. Non sarebbe stato serio né corretto fare un’inchiesta sugli abusi commessi dalle forze dell’ordine senza interpellare chi veste la divisa. E poi abbiamo cercato di mettere uno dietro l’altro i casi dei morti ammazzati degli ulti 10 anni. Ne abbiamo contati quindici, esclusi i quattro casi più “famosi” di Carlo Giuliani, Federico Aldrovandi, Gabriele Sandri e Stefano Cucchi, ai quali abbiamo dedicato un capitolo ognuno.
Chi può usare un’arma o comunque dispone di un potere coercitivo concessogli da un ruolo istituzionale, dovrebbe saper essere sempre nel giusto, irreprensibile, incorruttibile, equilibrato. Purtroppo - siamo tutti esseri umani, è vero - a volte non succede. Ci può stare: non è facile stabilire quel che giusto e quel che non lo è. Ma c’è una vasta zona grigia nella quale la legittimità dell’uso delle armi o di strumenti e pratiche coercitive sfuma nell’eccesso, la legittima difesa nell’omicidio. Una terra di nessuno legale e morale nella quale in certi casi si può insinuare il tentativo di insabbiamento. In cui ha la meglio la tendenza a permettere allo “spirito di corpo” di prevaricare la giustizia. A volte non è nemmeno necessario cercare di insabbiare casi scabrosi, basta un “non luogo a procedere” o un’archiviazione. In questi casi la giustizia ha la g minuscola, soprattutto perché va contro la Costituzione, per la quale tutti i cittadini sono uguali di fronte alla legge. Per troppi magistrati, infatti, chi veste una divisa è “più uguale degli altri”.

9 commenti:

  1. Io reputo che bisogna operare dei distinguo: i morti ammazzati non sono tutti eguali.Sicuramente i morti per o con motivazioni politiche, se militanti della sinistra oltranzista, hanno sicuramente più tutele da parte dei magistrati, forze dell'ordine, ma soprattutto dai mass media, che sono in larga parte influenzati dalla sinistra moderata o estrema, in questi casi non fa molta differenza. Quindi gli autori sono perseguiti e scoperti con più facilità.Sul versante opposto vige il criminale assunto che siccome la violenza per definizione è fascista, si tratta o di faide interne all'aerea neofascista,oppure chi compie crimini è, con un solito luogo comune duro a morire, un fascista camuffato, o al massimo un compagno che sbaglia (ma sempre compagno rimane)lo si guarda con un occhio di benevolenza o di tacita omertà ideologica.Discorso analogo vale per i morti di matrice comune; solo se i morti hanno una famiglia ben determinata del tipo quella di Aldrovandi o Cucchi, solo allora la vittima è tutelata. Gitani,extracomunitari, malati mentali, non hanno nessuna tutela e sono esposti ad ogni tipo di sopruso. Ho fatto una disanima onesta senza che prevalesse né pregiudizi, né benevolenze, spero che la pensiate come me. T.V.

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  2. Mi ricorda tanto quanto successe a un ragazzino che girava con i writer nel comasco, per la cronaca non mori':

    http://www.brianzapopolare.it/sezioni/societa/20060331_como_giovane_fucilato.htm

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  3. Nel libro abbiamo parlato anche di lui: Rumesh Raigama Achrige. E'l'unico caso che abbiamo citato in cui la vittima è sopravvissuta, ma le lesioni erano talmente gravi (un colpo di pistola alla testa), così come le conseguenze, che non abbiamo potuto esimerci dal raccontralo.
    Alessia

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  4. Alessia, comunque leggendo la tua replica acida, mi dai l'impressione che tu nutra, a prescindere, un giudizio negativo.In tutto il mondo accadono fatti del genere, anche da parte della tanto decantata polizia londinese.Chi porta delle armi è soggetto ad abusarne, per svariati motivi, spesso l'agente delle forze dell'ordine, che spara è un non professionista (Spaccarotella docet)o peggio un ottenebrato dalla paura che dilaga anche per colpa dei mass media, che enfatizzano la cronaca nera, portando soggetti armati a far ricorso alle armi anche quando non è il caso.Concludo confermando comunque che tali episodi di solito hanno un epilogo giudiziario serio per chi abusa delle armi; fatta eccezione per alcuni giustizieri di militanti missini, durante gli anni di piombo, liquidati anche loro con un colpo alla testa, ma si sa "che uccidere un fascista non è reato"!Infatti attendono ancora giustizia! T.V.

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  5. ETV la faziosità ti ottunde la capacità di giudizio.
    Sono rimasti impuniti l'omicidio di
    Franco Serantini, anarchici, lasciato spegnere in cella dopo un pestaggio devastante
    Roberto Franceschi, militante del Movimento studentesco della Statale,
    Fabrizio Ceruso, militante autonomo, durante lo sgombero delle case occupate a San Basilio
    Pietro Bruno, Lotta continua, colpito alla nuca dopo un lancio di molotov contro l'ambasciata dello Zaire
    Mario Salvi, militante autonomo, colpito alla nuca mentre scappava dopo un lancio di molotov al ministero della Giustizia ...
    e ce ne sono parecchi altri
    Piantala con sto vittimismo colpevolizzante che è stucchevole
    PS: Credo che ti siano sfuggite le repliche di Olivier Mathieu al post sul negazionismo in cui tu e Adinolfi litigavate sulla sua figura ....

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  6. Ottimo Tassinari (e aggiungerei: in che senso la replica di Alessia Lai sarebbe "acida"?).

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  7. A chi se lo ricorda (e anche a chi non se lo ricorda o non lo conosce): "Sparare a vista", di Camilla Cederna, Feltrinelli, 1975. Un piccolo classico da ristampare.

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  8. UMT, ho recepito il finale della polemica molto interessante tra i due personaggi chiamati in causa sul tuo blog; l'epilogo mi era effettivamente sfuggito,io non ho nulla da replicare.Invito tutti a leggere ed acquistare i libri di un vero e proprio talento letterario, poco conosciuto nella penisola e forse anche nell'esagono.Per quanto riguarda Alessia acidissima, replico citando il grande timoniere della Cina popolare, Mao Tse Tung:"ci sono morti che pesano come piume, altri come montagne"!Aggiungo che ognuno piange i propri di morti; io piango i reprobi,i maledetti, i perdenti, dei tempi moderni, gli altri vengono "santificati" quasi ogni giorno, Verbano docet! T.V.

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  9. Ma quale era la parte "acidissima" del commento della Lai? Ti consiglio di leggere il libro "Quando lo stato uccide" (equilibrato e ben fatto) e poi riparlarne...non esistono morti di serie a e serie b nell'inchiesta...esiste solo un quadro della situazione della violenza delle forze dell'ordine a dir poco inquietante....

    Saluti a tutti!

    Giovanni

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