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Sentenza di Brescia, la parola passa agli storici

Continua sulla stampa il dibattito dopo la sentenza (scontata) sulla strage di Brescia. Oggi pubblico due interventi "contrapposti": Miguel Gotor, dalle colonne del Sole 24 ore, attacca come qualunquista la posizione di chi "se la prende con lo Stato" per l'impunità congenita che invece attribuisce all'interferenza di "altri poteri istituzionali". Aldo Giannuli, dal suo blog, invece, non potendo entrare nel merito (è consulente d'accusa) riflette amaramente sui dispositivi del ceto giudiziario.
La questione, a mio giudizio, non è nominalistica: strage di Stato sì, strage di Stato no. Ma è ormai chiaro, per restare al giudizio storico, che le stragi del 1974 si innescano nel contesto delle ultime manovre dell'oltranzismo atlantico, come giustamente sottolinea Gotor. Parliamo di uno scenario internazionale in cui i santuari reazionari mediterranei sono in dissoluzione mentre gli Stati Uniti tra fine della guerra del Vietnam, crisi del Watergate e accordi di Helsinki in vista si accingono a voltare pagina. Ma la leadership dell'oltranzismo atlantico è tutta rigorosamente, gloriosamente antifascista: da Sogno a Pacciardi a Fumagalli sono tutti eroi medagliati della Resistenza. Ed è quello che profeticamente annunciava Pasolini, nello scritto corsaro citato anche qui, distinguendo la strage fascista del 1969 dalle stragi antifasciste del '74.
Troppo facile sparare sullo stato di Miguel GotorL'Italia è il paese delle stragi, delle stragi impunite. L'opinione pubblica ormai lo sa e vive, sospesa tra indifferenza e rassegnazione, la conclusione dell'ennesimo processo senza colpevoli, quello di Brescia, mentre lo scoramento e l'indignazione recintano come un filo spinato i cuori, le menti e i ricordi dei parenti delle vittime e dei superstiti di quella violenza efferata ancora una volta senza giustizia: sete che non trova ristoro.
La vita repubblicana è stata segnata da due cicli stragisti che hanno unito il nord e il sud della penisola in modi e tempi diversi, ma che sono scoppiati quando era in corso un cambiamento nella cittadella del potere italiano. Nel nostro paese, il compromesso si fonda sempre su un atto violento che, nel definire nuovi equilibri, li solidifica, li condiziona e li limita, seguendo un processo di scomposizione e ricomposizione, di rigenerazione e di restaurazione, che procede con chirurgica efficacia.
Il primo ciclo stragista, tra il 1969 e il 1974, ha colpito nel triangolo Milano-Brescia-Bologna all'indomani del biennio studentesco e operaio '68-69 per soffocare nel sangue e nella paura quella stagione di impegno civile così da condizionare il corso della democrazia italiana e "destabilizzare per stabilizzare" in senso moderato il paese. La matrice è stata neofascista e una parte degli apparati dello stato ha operato con un preciso indirizzo politico, quello di attribuire le responsabilità alla sinistra e al mondo anarchico; in seguito ha depistato per evitare l'individuazione dei veri responsabili. I mandanti sono rimasti senza volto, anche se vanno ricercati dentro la logica della guerra fredda e i settori più radicali dell'oltranzismo atlantico che hanno potuto contare, come base di azione e di protezione, sulla disponibilità della Spagna franchista e della Grecia dei colonnelli.
Il meccanismo è sempre lo stesso da piazza Fontana in poi: quando va bene si condanna una ruota dell'ingranaggio, ma non si riesce mai a penalizzare l'intera catena di comando. Gli esecutori materiali si raggiungono solo quando sono rei confessi come il neofascista Vincenzo Vinciguerra, arrestati in fragranza di reato come Gianfranco Bertoli, oppure rimangono feriti nel tentativo di piazzare una bomba come il militante di Ordine Nuovo Nico Azzi, che, insieme all'ordigno, si apprestava a lasciare in bella vista delle copie di Lotta continua.
Il secondo ciclo di bombe è deflagrato tra il maggio 1992 e il luglio 1993 all'indomani del vuoto di potere aperto da Tangentopoli. In questo caso la matrice è stata mafiosa, con depistaggi in corso di accertamento giudiziario volti a occultare i rapporti tra pezzi della politica e Cosa Nostra e i termini di una trattativa segreta tra i due ambiti. I mandanti e le finalità di quest'azione stragista restano oscuri ed è facile prevedere che tali rimarranno, anche se l'ambientazione e le finalità sembrano avere un respiro tutto italiano. Alle spalle di quell'esplosione vi era una lunga scia di cadaveri eccellenti: dall'avvocato Ambrosoli, al prefetto Dalla Chiesa, ai giudici Terranova, Costa, Ciaccio-Montalto, Caccia, Chinnici, Giacomelli, Saetta, Livatino, Scopelliti, Falcone e Borsellino.
Perché questa impunità congenita? In primo luogo, l'impunità conferma che, dove ci sono di mezzo altri poteri istituzionali, l'autorità giudiziaria ha difficoltà a raggiungere un risultato complessivo in tempi tollerabili ed è costretta a indagare senza condannare per prove "impunite" perché ci sono, ma restano contraddittorie e non sufficienti. Eppure vogliamo essere chiari: non esiste oggi espressione più abusata e, nello stesso tempo, disimpegnata e furbastra della formula "strage di stato". Prendersela con lo "stato" significa dire tutto e niente, sostanzialmente sparare nel mucchio per continuare a proteggere i veri responsabili, oppure ergersi a rappresentanti del sentimento di disaffezione degli italiani per la cosa pubblica così da vellicare in modo consensuale umori qualunquistici e antipolitici ampiamente diffusi, e certo non da oggi, fra gli intellettuali e gli strati popolari della penisola. È ormai una forma di civismo incivile.
Qualche giorno fa il magistrato Guido Salvini ha invitato ad ascoltare sullo stragismo l'agente dei servizi segreti Gianadelio Maletti, responsabile dell'ufficio D del Sid dal 1971 al 1975. In realtà, gli italiani di buona volontà lo possono già fare leggendo il suo libro intervista Piazza Fontana, noi sapevamo, ove si fanno i nomi di uomini politici e presidenti del Consiglio che sapevano e hanno sottovalutato, sapevano e hanno lasciato fare, sapevano e hanno voltato la testa dall'altra parte, sapevano e pensavano di poter piegare quella strategia a loro favore: altro che strage di stato! C'è qualcosa di profondo e di antico che riguarda i rapporti tra le classi dirigenti e il paese: con le parole del suo tempo lo spiegò bene Gramsci quando notò che «il "sovversivismo" popolare è correlativo al "sovversivismo" dall'alto, cioè al non essere mai esistito un "dominio della legge", ma solo una politica di arbitrii e di cricca personale o di gruppo». Non da oggi il potere italiano (non la politica e basta) è tanto più forte quanto più riesce a interpretare questa doppia spinta in senso ricattatorio e stabilizzante.
«Io so i nomi di coloro che, tra una Messa e l'altra, hanno dato le disposizioni e assicurato la protezione politica. Ma non ho le prove. Non ho nemmeno indizi» scriveva Pasolini nel 1974. Noi sappiamo 36 anni dopo e ormai, anche grazie all'azione della magistratura e delle commissioni d'inchiesta, abbiamo le prove. La giustizia ha fatto il possibile, ora la parola passa agli storici e al dovere della memoria civile di conservare se stessa grazie all'associazionismo diffuso, la parte migliore di questo paese.
Se questo articolo fosse un fiore, lo vorrei offrire oggi al presidente dell'Associazione caduti di Piazza della Loggia Manlio Milani, ai suoi occhi chiari e pazienti di cittadino per bene. Sua moglie Livia aveva 32 anni quella mattina di maggio: e lo porterei con lui davanti alla sua tomba perché sappia che 36 anni dopo non è solo.

6 commenti:

  1. Gli storici ufficiali che tra l'altro vengono ingaggiati come consulenti dai magistrati inquirenti sulle stragi, sono tutti ideologicamente schierati;solo qualche giornalista va contro corrente. E' curioso che comunque gli storici di regime facciano da consulenti ai soliti noti inquirenti, arciconvinti entrambi della validità delle piste nere.Magari dopo aver letto il libro di Furio Jesi "Cultura di Destra".Si parte dal presupposto errato, cioè che gli esecutori materiali sono solo i neofascisti;mentre i mandanti sono altri, è il gioco è fatto.Passi per i mandanti, ma non per gli esecutori.Montagne di verbali, centinaia di testimoni escussi, decine di anni di inchieste, riproducono il solito esito, non c'è uno straccio di prova che regga alla fine! Lo storico di regime sentenzia nel suo blog;non c'è un testimonio che abbia scorto l'autore materiale di una strage, ecco perché vengono assolti.Falso, per la madre di tutte le stragi, quella di piazza Fontana, in realtà un teste era stato trovato ed era il tassinaro Rolandi; ma siccome aveva riconosciuto un bombarolo anarchico e non un neofascista, la pista viene dichiarata non credibile e archiviata.Anche se poi venne successivamente convalidata dalle Brigate Rosse.Ma non basta lo storico di regime sentenzia, che alla fine dei conti i magistrati, sono refrattari ad incriminare i poliziotti, con i quali collaborano quotidianamente. Falso, perché i poliziotti Luigi Calabresi e Marcello Guida vennero incriminati per il protrarsi del fermo giudiziario dell'anarchico Pinelli. Con consulenti tecnici simili non si va che da una sola parte, indovinate in quale direzione? T.V.

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  2. Per quanto riguarda Maletti conta di più la testimonianza resa in videoconferenza al processo sulla strage di Brescia piena di non so e non ricordo o quello che dice nel libro uscito pochi giorni prima della sua deposizione?

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  3. @anonimo, che parla di "regime": anche commentare nell'anonimato è molto di "regime".

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  4. Carancini, t.v. è il nuovo eteronimo di epiphanius ma è la stessa testa

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  5. UMT, dice un proverbio popolare che la curiosità è femmina e per fortuna noi non lo siamo;senza dimenticare che non deve guardare il dito che indica la luna. Saluti revisionisti ad entrambi. Temistocle Vaccarella.

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