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Omicidio Calore/15 - La banda Giuliani e il sequestro di Aleandri/6

Si avvia a conclusione, nel quadro dello speciale dedicato all'omicidio di Sergio Calore, la pubblicazione della storia di "Costruiamo l'azione", estratta dal mio volume "Guerrieri" (Immaginapoli, 2005).
Qui la 
prima, la seconda, la terza, la quarta e la quinta parte.


 Nello sbandamento generale, tra arresti subiti e stragi mancate, si arriva alla fusione tra la rete militare superstite e la banda che fa capo alla personalità carismatica di Egidio Giuliani. Una realtà organizzativa complessa, autonoma ma al tempo stesso organica al discorso strategico di Cla. Questi è un militante di vecchia data, cresciuto nel circolo Nuova Europa di via Noto, un baluardo dell’attivismo missino a Roma sud, la prima realtà ad adottare il simbolo della croce celtica. Le reti di Giuliani sono variegate: spaziano dai vecchi integralisti di Europa civiltà impicciati con la massoneria e i servizi segreti (affitterà dei locali dal vecchio parlamentare della destra dc Agostino Greggi) ai fuoriusciti delle Brigate rosse, che in quei mesi stanno costruendo il Movimento comunista rivoluzionario. Dà vita a un’agenzia di servizi, specializzata nella logistica della clandestinità: chiunque ha bisogno di documenti falsi, targhe “pezzottate”, pezzi di ricambio per le armi sa di potersi affidare con sicurezza  a Giuliani, che ci tiene a promuovere un proprio nucleo operativo e iniziative comuni con diverse “batterie” e gruppi di fuoco. 

Della sua banda fanno parte anche antifascisti, come Hassemer. Tramite un commilitone di sinistra, Marcello Sandrani, entra in contatto con Roberto Martelli, subentrato al vertice del servizio d’ordine di Avanguardia comunista dopo l’arresto di Panzieri e poi tra i fondatori delle Unità comuniste combattenti. Armando Colantoni gli porta in dote il rapporto con il morucciano Antonio Ginestra e altri esponenti dei Comitati comunisti dell’area sud di Roma, Spadoni e Graziani.
La base del gruppo è nel casale sulla Casilina, dove Colantoni e la sua compagna Paola Centi gestiscono una serigrafia. Mentre alcuni militanti, pur di origini di destra, come Marco Guerra, condividono un percorso di oltrepassamento degli steccati, altri quadri neofascisti, come Luca Onesti (anche lui proviene da Nuova Europa) e tale Alvarito, decidono di allontanarsi dal gruppo. 
La svolta a sinistra però non funziona: i compagni sono interessati alla potenza logistica dei “fascisti” ma ne diffidano politicamente. Perciò l’aggregazione si dissolve ad aprile 1980 e l’arsenale è risistemato dallo stesso Giuliani nel deposito di Onano (Viterbo) ed in quello ubicato nel locale di Lungotevere Sangallo di sua pertinenza. Tutta interna alla destra è invece la batteria di Aprilia che ha curato la fuga di Freda dal confino. Anche loro sono in possesso di un notevole arsenale sepolto a Torvajanica, nel giardino di casa di un militante. 
L’unica azione di rilievo attribuita a questo gruppo –per cui in appello sarà negata la sussistenza della banda armata - è la fallita rapina di Merano ai danni del gioielliere Arturo Jochner (21 ottobre 1980), con la quale si voleva ripetere l’impresa riuscita con il gioielliere libico Fadlun. Con un gruppo di Latina, invece gli scambi di armi ed esplosivo talvolta prevedevano il pagamento in contanti.  Il progetto politico di Giuliani lo racconta ai giudici il “pentito” Guerra:  
“ Ho conosciuto Egidio Giuliani e Luca Onesti nel 1974-75 presso il Msi di via Noto. Intorno al 1976 mi allontanai dagli ambienti del Msi per dissidi di carattere ideologico e per ragioni personali. Nel luglio-agosto 1978 venni avvicinato da Giuliani, da Armando Colantoni e da Luca Onesti. Ad un certo punto Giuliani mi prese in disparte facendomi presente che era sua intenzione dar vita a più gruppi tra loro autonomi ma pur sempre collegati sul piano operativo al fine di rendere più incisiva la lotta politica. Mi fece presente che era sua intenzione collocarsi in un’area di “autonomia fascista”, disancorata da qualsiasi movimento più o meno ufficiale quali Ordine nuovo e Avanguardia nazionale. Mi disse in sostanza che occorreva realizzare due fasi di lotta: una strumentale, volta a finanziare i diversi gruppi anche con azioni delittuose e a procacciare documenti falsi; l’altra più squisitamente politica, senza per altro fornirmi precisazioni circa quest’ultima fase che doveva essere chiaramente di carattere rivoluzionario.”

  All’alba di domenica 3 dicembre 1978 due persone armate di pistole, abbigliati con camici da lavoro irrompono nel centro di calcolo della motorizzazione civile e immobilizzano i due tecnici dell’Honeywell che sono al lavoro. Aprono a un terzo complice che sopraggiunge disarmato e insieme si impossessano di migliaia di moduli per patente e carte di circolazione, allontanano i dipendenti e danno fuoco ai computer. Il basista dell’assalto è proprio Egidio Giuliani, che quella mattina è in servizio. L’operazione si è resa necessaria per occultare un precedente furto di documenti ma l’impatto politico dell’attentato è assai rilevante. I danni superano i dieci miliardi di lire. Per mesi la produzione delle patenti subisce un forte rallentamento. La rivendicazione rientra perfettamente nei canoni strategici di Cla. E’ usata una sigla di sinistra, Movimento armato antimperialista ma un simbolo (una mano che impugna un mitra) già pubblicato sul giornale. A entrare in azione è il gruppo di fuoco di Torvajanica. Al processo, Giuliani rivendicando la promozione dell’attentato ne spiega il senso politico: l’attacco ai computer si collocava in una strategia di lotta allo Stato, alle sue istituzioni e all’organizzazione di controllo della gente. 
Del resto in Costruiamo l’azione, la rivendicazione politica è esplicita:   “Non sono deficienti, sono luridi servi di questo sistema. Su questi episodi di provocazione se ne inseriscono altri che con criminale determinazione perseguono lo scopo di far riesplodere la violenza a doppio segno. E mentre lo Stato si vede colpire direttamente, mentre le scorte vengono attaccate e i calcolatori bruciati, ecco che muore Zini, che fa ricordare Rossi, Ciavatta e tutti gli altri macellati da questa logica che ancora ostinatamente si tenta di contrabbandare per rivoluzione. E non muoiono più poliziotti e i bei calcolatori lucidi marciano a tutto vapore schedando e preparando il Cile”.
 E’ questa l’occasione, per Calore ed Aleandri, di mettere il cappello sull’iniziativa e al tempo stesso prendere le distanze dal “mucchio selvaggio” dei Nar che  “vanno ad ammazzare uno qualsiasi davanti ad una sezione … assaltano una radio politica, ma dopo che all’interno sono rimaste solo donne …  figli di questa logica strumentale … 4 impotenti frustrati che si masturbano con le loro pistole, attaccando, gli eroi, donne o ragazzini indifesi". [Cla V]
  Per gli investigatori si tratta dell’atto fondativo di una autonoma banda armata attiva fino al maggio 1981, con la caduta del covo di Torvajanica, un mese dopo l’arresto di Giuliani. Ma per i giudici dalla primavera 1980, Giuliani ha continuato a lavorare in proprio, forte di un rapporto quasi esclusivo con il gruppo più forte dello spontaneismo armato, la banda Fioravanti-Cavallini. Tutto il suo arsenale confluisce in un box sulla Prenestina dove per qualche mese, nell'estate 1980, trovano ricetto anche le armi dei “sette pazzi” . Il rapporto tra Egidio e Gigi si è consolidato nell’autunno del 1979, quando il latitante milanese gli ha assicurato un maggior ricavo per il riciclaggio dell’oro e dei gioielli rapinati a un grossista di preziosi libico, piazzandoli  nel giro dei malavitosi veneti. Mordechai Fadlum è sequestrato in casa con la famiglia, l’8 ottobre. I banditi – ad agire sono almeno in sei – si recano una prima volta con le chiavi nel deposito di Santa Maria Maggiore ma non riescono ad entrare, tornano per riprendersi il titolare e questa volta aprono la cassaforte. Non riescono a portarsi via tutto e rinunciano a un miliardo di bottino, asportando centocinquanta chili di oro e preziosi per un valore di 4 miliardi. Con l’ingente quota personale Giuliani ha rinforzato la sua struttura logistica acquistando, oltre a una macchina stampante offset per la falsificazione di documenti, un'agenzia pubblicitaria (Adp) per la cui gestione costituisce una società commerciale composta dagli stessi soggetti del gruppo che ruota intorno a Colantoni. Intanto le prima attività unitarie, tra quel che resta del braccio armato di Cla e la banda Giuliani, sono di accumulo: la messa in comune della logistica, una rapina con formazione mista, alla banca del Mattatoio. Dieci persone in campo per rimediare 65 milioni, il 21 agosto. 

Il sequestro Aleandri

 Ma anche la nuova aggregazione non trova il tempo di stabilizzarsi. A settembre,  per un borsone di armi della banda della Magliana disperso, Paolo Aleandri è sequestrato e tenuto prigioniero in un covo di Acilia per  giorni sotto minaccia di morte  finché i suoi camerati lo riscattano, dando altre armi in cambio. L’incidente è il prodotto di una rete logistica che ricalca la struttura organizzativa: aperta e con livello sovrapposti di comando. Semerari, dopo il disastro dei Gruppi di azione ordinovista di Concutelli, teorizza infatti l’inutilità di un’autonoma organizzazione militare e l’uso della malavita per le neces¬sarie attività illegali. Nel quadro di questa logica di scambio di favori con la camorra, a insaputa di Aleandri, De Felice e Semerari prelevano un fucile a pompa e una pistola che mandano a Napoli, da Pupetta Maresca. Quando il boss chiede la restituzione, il “capettto” può solo traccheggiare.
  Le armi date in cambio sono due Mab modificati artigianalmente, con un calcio corto metallico, per permettere l’impugnatura manuale e non a spalla. Uno sarà ritrovato nel corso dell’operazione “terrore sui treni”, l’altro nell'armeria del ministero della Sanità, il deposito della banda della Magliana aperto ai “guerriglieri” neri. L’episodio si accavalla a una situazione di tensione tra Aleandri e il resto della banda. Gli chiedono conto dell’uso personale dell’arsenale collettivo, lo condannano alla mite “pena” dell’esilio: appena liberato, se ne deve tornare al paesello della Sabinia dove era cresciuto (Poggio Mirteto) alla scuola di De Felice Talmente terrorizzato che quando un paio di anni dopo viene arrestato e decise di collaborare con i giudici racconta di tutto, ma non il primo sequestro, su cui farà piena luce solo dieci anni dopo l’autore materiale, Maurizio “Crispino” Abbatino, anche egli pentito. La reticenza non serve solo a millantare una volontaria desistenza dalla lotta armata. Anzi: ingenerosamente riferì che il sequestro, per dissensi politici, era opera dei suoi camerati che invece lo avevano tolto dagli impicci. 
Aleandri racconta al dibattimento per la strage di Bologna: “Ho conosciuto Franco Giuseppucci, il boss della Magliana perché nei discorsi che stanno a cavallo tra il momento della mia frequentazione di De Felice e Semerari e la creazione di Costruiamo l'Azione si era già posto il problema di accedere a fonti di finanziamento, io non avevo nessuna esperienza e il professor Semerari che aveva un rapporto professionale con Giuseppucci perché faceva delle perizie, me lo presentò... Giuseppucci mi affidò un sacco molto alto di armi che erano sue. Io portai queste armi da Italo Iannilli a Tivoli..a lcune persone del gruppo si recarono lì prelevando varie armi e Italo Iannilli non percepì o non ricordò che questa non era la nostra dotazione di armi. Io mi trovai perciò nella condizione di trovare questo sacco depauperato del suo contenuto e per questo subii il primo sequestro della mia storia ad opera del gruppo di Giuseppucci...".

La versione di Aleandri

L'implosione del gruppo    

Per esemplificare l’ossessione di Fachini per il controllo gerarchico i “pentiti” riferiscono che pretendeva che non ci fossero rapporti diretti tra i militanti romani e veneti neanche per la distribuzione del giornale
   Secondo Calore “Signorelli ha gestito tutte le iniziative e tutti i fallimenti. Ciò non toglie che riuscisse a presentare sempre la posizione come una mossa tattica. Ma in realtà non esisteva più una linea, o meglio non è mai esistita una linea politica”.
   Da febbraio, facendo ruotare sei o sette militanti, è partita una metodica campagna di assalti alle piccole banche dell’area tiburtina, con cadenza meno che mensile: il primo febbraio alla Cassa di risparmio di Roma a Marcellina (21 milioni di bottino); il 2 marzo al Monte Paschi di Siena di Tivoli (circa 14 milioni), il 29 marzo il Banco di S. Spirito a Bagni di Tivoli (circa 23 milioni), il 6 aprile alla Cassa di risparmio di Roma a Vitinia. Finché il 30 aprile ci scappa il morto, un vigilante della Banca Tiberina a Villalba di Guidonia,  Domenico Danieli, colpito numerose volte da Iannilli Tra le armi è usato anche un M12.

La forte dotazione militare

   Particolarmente potente la dotazione militare sequestrata in quattro diversi depositi. Al Prenestino (affittato da un conoscente della moglie  con la scusa di fonderci soldatini di piombo) sono recuperati un bazooka, 15 pistole cal. 9 e 45, due mitra Thompson, fucili a pompa e cannemozze, tre Fal e.altre mitragliette, bombe a mano, microspie, migliaia di munizioni e un miliardo di gioielli, numeroso materiale logistico ed esplosivo per 50 chili,. A Torvajanica sono sequestrati 5 mitra, tre pistole, 150 chili di esplosivo, inneschi, fucili e munizioni. Sono arrestati Fabio Zanini, Marco Guerra, Luca Onesti, Paola Centi, Stefania Piermarini. Nei depositi  di Tuscolano e Grottaferrata ci sono cinque mitra, tre fucili a pompa e due automatici, sette pistole, duecentocinquanta cartucce cal.38.    Per Cristiano Fioravanti “Valerio non si fidava dei delinquenti comuni tipo Sparti e si rivolgeva per documenti a Giuliani, tramite Cavallini; del pari il Giuliani era depositario delle armi del gruppo nell'estate nel 1980, essendovi difficoltà logistiche per mancanza di sedi fisse “.
(6-continua)

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