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Ludwig, una storia finita e mai chiarita-1

E' dell'altro giorno la notizia che si sta per concludere la vicenda giudiziaria di Ludwig, la banda di squilibrati che ha insanguinato il Nord-est tra fine anni 70 e primi anni 80, inseguendo un sogno precoce di pulizia etnica che si è poi ampiamente diffuso seppure in forme meno virulente. Uno dei due condannati, Marco Furlan, chiede che sia dichiarato concluso il periodo di libertà vigilata e gli sia restituita la piena libertà dopo una condanna a 27 anni di carcere. E', dal punto di vista concreto, una notizia di scarso rilievo ma ha avuto ampio risalto di stampa. Perché la vicenda della prima e unica banda che in Italia ha praticato forme esplicite di terrorismo rituale ha lasciato ampie zone d'ombra, a partire dalla mancata identificazione del terzo uomo (ma ce ne dovrebbe essere almeno un quarto). E quindi raccontiamolo questa storia, usando come al solito, il testo della prima edizione di Fascisteria.

Furio Jesi, studioso delle culture della decadenza, in un saggio sul neofascismo sacro ipotizza che alcune stragi potrebbero essere ricon­dotte a una “pedagogia dell’atto inutile”, interna a un percorso ini­ziatico: “La nostra impressione è che queste farne­ticazioni abbiano una parte non trascurabile nelle attività ter­roristiche degli ultimi anni. Evidentemente le bombe e le stragi hanno avuto ben altra fun­zione nella vita po­litica del paese. Ma è tutt’altro che da escludere questo: che gente mirante a parte­cipare al mondo attuale ‘persino nelle forme più parossistiche’ avendo dinanzi agli occhi il modello delle SS e il miraggio di una razza della Tradizione da ottenere me­diante l’imposizione di compiti inu­tili, sia stata armata e adoperata da altri per fini molto meno metafisici”. Di un aberrante esercizio della vio­lenza, dalle caratteristiche spiccatamente ri­tuali, si è resa protagonista una minuscola setta neonazista, Ludwig, fondata a Verona ma at­tiva in Veneto e poi in Lombardia e a Monaco di Baviera dal 1977 al 1984, entrata in “sonno” dopo l’arre­sto di due militanti e tornata alla ribalta con la cattura di uno dei due “serial killer”, fuggito anni prima dal soggiorno obbligato. E’ il primo gruppo terrori­stico italiano in cui l’ispirazione magico–religiosa sembra prevalere sull’approccio ideo­logico, un altro dei tanti primati di Verona, una realtà periferica che ha an­ticipato tante tendenze e vi­cende nazionali. A Verona infatti nasce, con gli arresti di Massagrande, Besutti e altri due militanti, l’inchie­sta nazionale contro Ordine nuovo e con la cattura di Amos Spiazzi viene alla ribalta l’organizza­zione di sicu­rezza NATO. Con la denuncia per asso­ciazione a delinquere del gruppo dirigente delle Brigate giallo­blù, composto in gran parte da militanti del Fronte della Gioventù, è affrontato per la prima volta un pro­blema di criminalità organizzata la violenza dei tifosi di cal­cio. A Verona, infine, con qualche anno d’anticipo su Roma e Milano, gli ultrà skinhead danno nuovo ossi­geno attivistico all’estrema destra. È durata poco più di quattro anni la fuga di Marco Furlan, dal gennaio 1991 al maggio 1995. Lo hanno sorpreso sul luogo di lavoro, un autonoleggio nell’affollatissimo aeroporto di Herakleion, nell’isola di Creta, dove era stata assunto da qualche mese per l’ottima conoscenza di diverse lingue. Le modalità della sua latitanza (il documento d’identità malamente trasfor­mato in Marco Eurlani, il rifugio in una af­follata loca­lità turistica dove per quattro mesi all’anno sbarcano ogni giorni decine di charter dall’Italia) sembrereb­bero con­fermare che dietro la banda non c’erano protezioni. Ha avuto sfor­tuna, Furlan, o ha semplice­mente pec­cato d’eccesso di sicurezza se è vera la storia che la polizia ha raccontato: un turista veronese resta colpito da quella faccia che ha visto da qualche parte, la moglie gli suggerisce di scat­tarle una foto ricordo mentre lei e la bambina si appoggiano al bancone dell’autonoleggio, informano la polizia al ri­torno, dalla conferma del riconoscimento scatta il blitz. E appena finito in prigione, al capo della polizia di Herakleion Furlan ha con­fessato i delitti da lui commessi, cosa che non aveva mai fatto in Italia, nean­che quando, non reggendo più il carcere, aveva tentato ripetutamente il suicidio. Riaprendo clamorosa­mente il caso: tra le sue am­missioni c’è quella dell’esistenza del “terzo uomo” che tanti testi­moni hanno vi­sto agire sui luoghi dei delitti della banda che gli inquirenti credevano di aver smantellato con l’arresto di Furlan e del suo amico del cuore Wolfgang Abel, bloccati mentre tentavano di appiccare il fuoco a una discoteca di Castiglione dello Stiviere, durante il veglione di Carnevale nel 1984. Furlan si giustifica con la polizia greca invocando la giovanissima età. Avevano co­stituito Ludwig ancora minorenni, per ripulire l’Italia da mafia e droga. Il primo at­tentato era stato compiuto nel campo nomadi e rivendicato soltanto tre anni dopo, spe­cificando che erano stati usati dei fiaschi per trasportare la ben­zina. Il gruppo si era disciolto dopo il loro arresto. Le stesse conclusioni del processo avevano lasciato aperte molte questioni sull’organizzazione che era convinta di avere Dio dalla sua parte e rivendicava i de­litti con vo­lantini scritti con caratteri gotici e firmati “Gott mit uns–Ludwig”. La sen­tenza definitiva condanna i due studenti modello a ventisette anni di carcere e a tre anni di casa di cura, per il par­ziale vizio di mente, ritenendoli colpevoli sol­tanto degli ultimi cinque atten­tati, mentre al­trettanti restavano impuniti.
Il 25 agosto 1977 – è il debutto confessato da Furlan – lo zingaro Guerrino Spi­nelli muore nel rogo della sua auto, parcheggiata in un campo no­madi a Verona. Prima di morire la vittima parlerà di un commando di tre persone. Il 19 di­cembre 1978 Luciano Stefanato, un cameriere omosessuale, è ba­stonato e accoltel­lato a morte a Padova. Un anno dopo, il 12 dicembre, è la volta di un tossicodipendente di Venezia, Claudio Costa, ucciso a coltellate. I testi­moni parlano di quattro uomini. Il 20 dicembre 1980 è un uomo solo ad accanirsi contro Maria Alice Baretta, una prostituta vicentina, mas­sacrata a colpi di accetta e di mar­tello. Passano pochi mesi e il 24 maggio 1981 la morte viene con il fuoco. Ludwig incendia una ca­samatta abbandonata a San Giorgio, luogo di rifugio di tossicomani della perife­ria veronese, che usano quelle qu­attro mura sgarrupate per bucarsi in pace. Quella notte ci resta a dor­mire uno sbandato, Luca Martinotti: morirà carbonizzato. È l’ultimo at­tentato che resterà impunito. Un anno dopo, il 20 luglio un commando composto da tre persone (il terzo uomo è de­scritto con la barba e il cappellino) massacra due frati, Mario Lovato e Gio­vanbattista Pigato, che passeggiano nei pressi del convento di Monte Berico nel Vicentino, usando una mazza da meccanico. Sei mesi dopo, il 26 febbraio, nel mi­rino della banda, che nelle rivendi­cazioni accentua il delirio mistico–religioso, è ancora un sacerdote, il trentino padre Armando Biason. Parti­colarmente efferato il rituale omicida: il cranio è sfondato con un punteruolo al quale è fis­sato un croci­fisso. Gli strumenti sono stati comprati a Bressanone da una persona che corrispon­de al­l’identikit del terzo uomo di Monte Berico. L’azione della banda si fa più intensa. Passano solo tre mesi e Ludwig fa un salto di qualità, dal terrorismo selettivo alla strage. Il 14 maggio nel rogo del cinema a luci rosse Eros di Milano perdono la vita sei spettatori. La cassiera dichiarerà al processo di aver ven­duto a Furlan tre bi­glietti. Nel gennaio del 1984 Ludwig espatria. Nel rogo della discoteca Liverpool di Monaco, la città di Abel, resta gravemente ustionata una guardarobiera. Morirà dopo una lenta agonia, quando i suoi assassini sono già in galera. La sera di martedì grasso finisce la folle corsa. Travestiti da Pierrot, Furlan e Abel entrano con due taniche nella discoteca Melamara di Castiglione dello Sti­viere e, dopo aver sparso la benzina, appiccano con un ce­rino antivento il fuoco alla moquette mentre nel locale ci sono circa quattrocento ragazzi. Per fortuna il materiale è ignifugo. Bloccato, Furlan si difende: volevamo solo fare uno scherzo. L’autista che li ha ac­compagnati sul luogo dell’attentato fa perdere le tracce. (1-continua)
Qui puoi leggere la seconda parte.

1 commento:

  1. Cosa ne pensi delle tesi di Jesi sulla "pedagogia dell'atto inutile", vedendo le facce che ancora oggi fanno Freda e soci quando sentono il nome del germanista, viene da pensare che Jesi abbia visto giusto.

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