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L'idea non è morta ma ... io non mi sento troppo bene

Marco Petrelli è già noto ai lettori di questo blog. Seppure esponente di una microscopica realtà politica, il nucleo degli autonomi nazionalisti di una città di provincia come Terni,è capace di suscitare grandi controversie, come la polemica con il militante antispecista piemontese sulla titolarità del brand politico. Oggi mi sottopone questa sua riflessione "alta" sulla crisi attuale dela politica e dell'impegno. Un po' mi commuove la devozione che la fascisteria ternana rivolge a uno dei suoi più illustri concittadini ma devo correggere Marco: Scalzone nello scrivere il testo di Stato e Padroni pensava al partito dell'insurrezione che è esattamente il contrario della pratica bolscevica della conquista del Palazzo di Inverno. E comunque sul piano intellettuale il riferimento è a Brecht, le cui citazioni innervano il testo e non certo a Stalin.


Il partito come alienazione di Marco Petrelli
Berto Ricci nel cuore, Stalin nella testa

“Non si può essere buoni soldati in una guerra marcia alla base”.
Alcuni di voi ricorderanno il famoso film di Kevin Reynolds “Belva di Guerra”, dal quale è tratta la citazione. Nella pellicola l’idealista soldato Kovarchenko attacca, con queste dure parole, il fanatico sergente, responsabile di uccisioni indiscriminate e distruzioni di villaggi nell’Afganistan lacerato dall’invasione russa.
Era il 1988 e il mondo assisteva ad un nuovo Viet Nam, dal quale stavolta usciva malridotta l’Unione Sovietica, destinata ad implodere nel giro di pochi anni.
Potrà sembrare assurdo cominciare questa riflessione dall’Afganistan degli anni Ottanta, eppure è proprio dalle montagne del Panshir che prende forma questo mio pensiero.
In primo luogo, sarò felice se alcuni lettori andranno a vedersi il film o si documenteranno su una campagna militare durata dieci anni, costata migliaia di morti e rimossa dalla memoria collettiva insieme agli eventi bellici delle Falkland, di Granada e di Corea; in secondo luogo di un po’ di marcio (e di un po’di ‘sovietico’) dobbiamo parlare.
Ieri sera mi è capitato di ascoltare l’inno di Potere Operaio. Un messaggio duro, forte, parole decise e contenuti allucinanti. Un inno che sicuramente sarà rimasto impresso nella mente di chi, in quegli anni, ha visto sfilare cortei di militanti infuriati, che lanciavano nell’aria un “via dalle linee/prendiamo  il fucile, forza compagni alla guerra civile”.
Nell’inno c’è un continuo riferimento al Partito: esso è forza, collettività, strumento di vittoria ma anche “padre-padrone” (Viva il Partito Rivoluzione), attraverso e per esso ci si batte, senza il Partito non si va da nessuna parte. E’ il Partito che decide le strategie e sceglie chi andrà in prima linea, chi finirà ammazzato o a marcire in una sordida cella, chi invece diverrà cavallo vincente della tanto agognata rivoluzione. Da P.O. all’attuale estrema destra, passando per i centristi e le ali moderate, questo astratto concetto di collettività politica non è mai stato abbandonato. In  faccia a proclami, retorica, idealismi vari il Partito è l’alienazione del militante politico, alienazione che trova fine ultimo nel cancellare e calpestare il valore del singolo, le sue prospettive ed idee, in funzione di un apparato interno che deve essere mantenuto in piedi mediante il tacito ed ubbidiente lavoro della base.
L’ ultra destra pretende, oggi, di recuperare gli entusiasmi di Fiume, le energie del ‘diciannovismo’, l’anarchia dei Ricci e dei Gallian, scadendo nel riproporre sempre lo stesso prodotto: un Partito ultra gerarchico, antidemocratico, incapace di ascoltare poiché i suoi dirigenti, tra superbia e ignoranza, preferiscono un numeroso ‘popolo bue’, a pochi elementi preparati e acculturati. (leggi, col linguaggio di altri tempi, una vera Aristocrazia rivoluzionaria).
Il tutto in spregio a ciò che la stessa Costituzione indica, ovvero il dovere di partiti e movimenti di educare i militanti ai valori della Costituzione stessa, in primis il rispetto e la tolleranza. Invece, i principi motori della vita sezione paiono essere la capacità di cambiare casacca  .
Per decenni abbiamo accusato l’estrema sinistra di stalinismo:
quella loro assoluta intolleranza ci ha spinti a considerarli una sorta diStasi che all’università e nelle scuole ci impediva di esprimerci. Sovente, non ce ne siamo accorti ma è così, la Stasi ci aspettava in sezione, pronta a colpirci nel caso in cui fossimo usciti dal seminato, da una linea non condivisa presa da chi si trovava anche un palmo sopra di noi.
L’epurazione, una volta condotta con il colpo alla nuca o il ‘trasferimento’ nei campi di lavoro, assume oggi connotati non violenti ma subdoli, viscidi: colpire la minoranza interna screditandola, facendo leva sulla base restante (credulona e pronta a incapace di dire no) o su piccoli feudatari locali, impegnati nella loro giornata a tenere informato lo ‘Stato Maggiore’ anche su quante volte si recano al gabinetto.
Perché dibattere quando si può eliminare la contro parte con accuse di tradimento? Chi è rimasto nella politica militante ha assistito e assiste a questa pratica fruttuosa. Fruttuosa per chi mercifica le idee in funzione di un tornaconto personale, per chi cela la propria incapacità scaricando la colpa sul ‘nemico’, accusato di essere troppo intransigente e non democratico.
Una forma di stalinismo nero, di epurazione neofascista, già comparsa a cavallo tra gli anni ’70 e ’80, quando l’MSI di Almirante abbandonava le sezioni ‘ribelli’ del FdG e del Fuan, preferendo un taglio netto al civile confronto.
Seguo ora l’intervista ad Alessandra Colla nei Colori del nero: la donna destinata a curare i camerati? E l’uomo? Ancora peggio. Una macchina: manifestazione,volantino, botte, partecipazione alla campagna elettorale. Un marchingegno quando ha una tessera in tasca, un numero quando è simpatizzante, ‘massa’ (gli esterni) a cui si pretende di dare a bere qualsiasi cosa.
Non esiste un movimento politico, o un’associazione culturale (moda del momento), che si sottragga a questa logica. La verità è che Kovarchenko aveva ragione: non si può essere buoni soldati in una guerra marcia alla base. Aggiungo che non si possa nemmeno sperare di cambiare la Società affidandosi ai ‘masaniello’ tutto Predappio e nostalgia. Forse sto mondo è finito. L’idea non è morta, ma il carico di carognate, di schifo e di letame che le è stato lanciato addosso l’ha resa inerme ormai e difficilmente perseguibile. Idea nella quale ancora in molti crediamo, ma che subisce lo stupro continuo e indiscriminato di burocrati di partito, opportunisti, sfruttatori pronti a scappare con la ‘cassa’ alla prima occasione. Oltre che stalinismo anche la vecchia, bastarda disonestà dell’ambiente, pagata in primo luogo dagli idealisti e dai più giovani.  

3 commenti:

  1. Non so se sono riuscito bene a capire " il tenore " dell'intervento di Marco, pur tuttavia credo di aver colto una critica profonda sulla metodologia della lotta politica.
    Marco in sostanza vorrebbe de-strutturare la forma partito gerarchizzata, sia dalla tradizione marxista-leninista sia dalla tradizione neo-fascista, per ricreare il " movente movimentista " che quando nasce è privo di legami ed impacci ideologici e per questo risulta essere rivoluzionario ed efficace per natura .

    La riflessione è profonda e richiederebbe non un blog ma un convegno di tre giorni, per capire oggi cosa serve " per rigenerare movimentismo e rivoluzione " .

    Ma in una cosa Marco a colto nel segno ... Se c'è una malattia infantile che colpisce la destra radicale o le sue ambizioni movimentiste e il non risucire a capire come " si lavora per staff " cioè su Idee e non su " Persone " ...

    Il paradosso nasce dal fatto che tutti gli studi di organizzazione aziendale, che non negano la figura della leadership mettono in evidenza che senza squadra efficace il leader è nullo e soprattutto che piu' squadre efficaci con leader che lavorano in staff creano " le vere storie di successo ".

    Questo metodo di lavoro la sinistra lo conosce, lo conosce bene, magari gli mancano "i prodotti vincenti" cioè le idee . Al contrario la destra radicale ( erede di Spengler e Nietzsche e quindi PADRONA ASSOLUTA DELL 'IDEA VINCENTE ) nel metodo di raggiungere l'obbiettivo degrada, si perde nello scontro tra " false leadership ", nella guerra del pollaio, per vedere chi c'è l'ha piu' lungo di un cm, ed infine nella inutile attesa dell'Uomo della Provvidenza, che poi alla fine potrebbe essere anche la parodia di un VERO CAPO MILITARE ( vedi l'infatuazione Berlusconiana ).

    Quindi 10 e lode a Marco e alla Sua esperienza di Autonomo Nazionalista, che ha centrato uno dei punti chiave della perenne crisi destro-radicale o destro-terminale ...

    Devo dire che dopo trentatreanni di contributi versati alla causa , io rivendico sempre il fatto di aver lavorato trasversalmente sui progetti e sulle idee, e mai per i gruppi e tantomeno per gli uomini.

    Un saluto

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  2. Complimenti a Marco Petrelli per questo ottimo articolo, che sostanzialmente condivido.
    Marco Petrelli ha iniziato da questo mese a collaborare con la rivista "Novum Imperium - Identità, Tradizione, Rivoluzione", da me fondata, e il prossimo numero, in uscita a Novembre, ospiterà un suo validissimo articolo sul quale non anticipo niente.

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  3. Ringrazio tutti per i complimenti, lusingato del 10 e lode di Mancinelli,la cui canzone, 'Generazione 78', è ospite fissa dello stereo in macchina. La riflessione, come avrete compreso, nasce dalla mia breve (ma in fondo) intensa militanza. Dai quattro anni tra AU-Fuan e CPI ho tratto le considerazioni di cui sopra. Mancaun ritorno all'individuo in funzione della Collettivià. Riporto le parole di un articolo del Tarchi comparso su 'Il Foglio' Aprile 2010:

    [...]"Misero destino, malgrado gli strepiti plaudenti dei sostenitori più irriducibili, tuttora incapaci di affrancarsi da quel complesso del “capo-che-ha-sempre-ragione” che più fascista non si potrebbe immaginare, per un fenomeno storico a cui nemmeno i più aspri critici e i più tenaci avversari hanno mai negato una tragica e magari funesta grandiosità".

    Applicabile non solo a berlusconiani e nazional-.conservatori, ma a quasi tutti gli ambienti di questa strana destra radicale.

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