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12 dicembre, il saggio di Grispigni contro l'abuso di "strategia della tensione"


 “Strategia della tensione” è una formula nata in occasione della strage di piazza Fontana, anche se rifiutata con indignate reazioni da gran parte dell’informazione e delle forze politiche dell’epoca. Negli anni successivi, segnati da stragi ricorrenti, è entrata a far parte del panorama linguistico nazionale. Ormai, quando si tratta di parlare di fatti terribili e oscuri, appare come una facile soluzione capace di descrivere uno specifico avvenimento ma anche di rimandare alla catena di “misteri italiani” che caratterizzerebbe la storia nazionale. Il mese scorso è andato in stampa "Strategia della tensione. Utilità e danno di un concetto abusato" di Marco Grispigni. L'agile testo della Villa (116 pagine in sedicesimi), ripercorre le tappe dell’uso e dell’abuso della fortunata formula, rifiutando una narrazione che tende a ridurre la storia dell’Italia repubblicana a un susseguirsi di trame orchestrate dalle stesse menti, nazionali e internazionali.

Nell'introduzione Grispigni parte proprio dall'uso estensivo del termine, adottato dal Dizionario della storia dell'Enciclopedia Treccani:

Strategia eversiva basata principalmente su una serie preordinata e ben congegnata di atti terroristici, volti a creare in Italia uno stato di tensione e una paura diffusa nella popolazione, tali da far giustificare o addirittura auspicare svolte di tipo autoritario. L’espressione fu coniata dal settimanale inglese The Observer, nel dicembre 1969, all’indomani della strage di piazza Fontana, generalmente considerata l’avvio della s. della t., sebbene alcuni studiosi ne retrodatino l’inizio alla strage di Portella della Ginestra (1947) o al cd. piano Solo del generale De Lorenzo (1964). La bomba di piazza Fontana costituì la risposta di parte delle forze più reazionarie della società italiana, di gruppi neofascisti, ma probabilmente anche di settori deviati degli apparati di sicurezza dello Stato, non privi di complicità e legami internazionali, alla forte ondata di lotte sociali del 1968-69 e all’avanzata anche elettorale del Partito comunista italiano. L’arma stragista fu usata ancora nel 1970 (strage di Gioia Tauro), nel 1973 (strage della questura di Milano), nel 1974, all’indomani della vittoria progressista nel referendum sul divorzio (strage dell’Italicus, strage di piazza della Loggia), e ancora nel 1980 (strage di Bologna), ma non fu l’unica espressione della s. della t., la quale passò anche attraverso l’organizzazione di strutture segrete, in alcuni casi paramilitari e comunque eversive (Rosa dei Venti, Nuclei di difesa dello Stato, loggia P2 ecc.), i collegamenti internazionali (le strutture Gladio o Stay-behind), la progettazione e la minaccia di colpi di Stato (il piano Solo del 1964, il tentato golpe Borghese del 1970), e infine la sistematica infiltrazione nei movimenti di massa e nelle organizzazioni extraparlamentari, comprese quelle di sinistra, al fine di innalzare il livello dello scontro.

Ora, a prescindere dal fatto che si dà per acquisito ciò che non lo è (la sistematica infiltrazione dei movimenti non è per nulla dimostrata e prevale abbondantemente l'opinione contraria) in questo modo si finisce a inglobare tutta la storia della Prima repubblica nel dispiegamento della strategia della tensione, partendo da Portella delle Ginestre e finendo alla campagna dei corleonesi nell'estate 1993 contro i monumenti. Questo libro ha il merito di fare pulizia di tante forzature storiografiche e giornalistiche. 

Marco Grispigni, archivista e studioso dei movimenti sociali e politici degli anni Sessanta e Settanta del Novecento, ha dedicato a questo tema diversi saggi. Fra le sue pubblicazioni ricordiamo: Quella sera a Milano era caldo. La stagione dei movimenti e la violenza politica (Manifestolibri, 2016, tradotto in francese e spagnolo), Il 1968 raccontato a ragazze e ragazzi (Manifestolibri, 2018), Quando gli operai volevano tutto (Manifestolibri, 2019). 

  


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