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Strage di Bologna, dopo tante condanne c'è ancora chi cerca verità alternative

Oggi, nel corso della commemorazione della Strage alla stazione di Bologna, nel 45esimo anniversario, è stata contestata la rappresentante del governo, la ministra dell'Università, Anna Maria Bernini

Discussione aperta, a destra, sulla ricerca della verità per la strage di Bologna. La sostanziale adesione della "destra di governo" alla presa d'atto che la verità giudiziaria definitiva sancisce una strage fascista con responsabilità di esponenti missini non piega la resistenza dei "cercatori di verità alternative". E coglie nel segno una contraddizione fondamentale Massimiliano Mazzanti, il giornalista responsabile del gruppo bolognese di Indipendenza, quando segnala l'incongruenza di settori minori di FdI che polemizzano con il responsabile dell'Associazione vittime, l'ex parlamentare dem. Paolo Bolognesi, accusandolo di strumentalizzazione politica. 

Mazzanti: ma i Fratelli d'Italia non cercano la verità

L’appello a Ignazio La Russa lanciato da quattro colleghi, impegnati da anni nella ricerca della verità sulla Strage di Bologna, ovviamente, resterà senza risposta. L’ipocrisia e la vigliaccheria morale della così detta “destra di governo” è tale da non consentire “scatti d’orgoglio” e nemmeno – come chiedono Valerio Cutonilli, Gabriele Paradisi e Paolo Pelizzaro, ai quali si è unito l’avvocato Valter Biscotti – “coerenza nell’infamia”.

Come si legge in queste ore, alcuni esponenti minori di Fratelli d’Italia polemizzano col presidente dell’associazione familiari delle vittime del 2 agosto, Paolo Bolognesi, accusandolo di “strumentalizzare politicamente” i più recenti verdetti, quelli emessi al termine dei processi a carico di Gilberto Cavallini e Paolo Bellini. Mai come in questa occasione, però, l’accusa contro il noto esponente dei Ds di Bologna è infondata: egli, infatti, si limita – per quanto coi toni sgradevolissimi che gli sono abituali – a trarre le logiche conseguenze di quei due enunciati della magistratura che, grosso modo, attestano esattamente ciò che egli ripete in ogni dove.

Bolognesi non strumentalizza alcunché: sono stati i giudici di Bologna e della Cassazione a scrivere una delle pagine – anzi, per la verità, 6000 e passa – più vergognose della storia giudiziaria italiana. E il rispetto che è dovuto, in uno stato di diritto, per gli esiti definitivi di un processo, non impone certo né di condividerne il risultato e men che meno le motivazioni, con cui è stata comminata una condanna o accordata un’assoluzione. I giudici sono uomini e possono sbagliare, anche se il loro errore non sempre è sanzionabile.

Di contro, Fratelli d’Italia ha deciso di condividerne l’impianto fondamentale del teorema che è stato elaborato – lungo l’arco di 40 anni e passa -, nelle aule di giustizia nostrane e che pretende di certificare la “matrice fascista” della Strage di Bologna. Anzi, di più: la collaborazione del Movimento sociale – il cui simbolo accampa in quello del partito di Giorgia Meloni – all’ideazione dell’attentato e alla protezione degli esecutori. Dunque, dove sarebbe la strumentalizzazione da parte di Bolognesi? Semmai, come sostiene l’esponente del Pd, è per lo meno grottesco che la premier, se è convinta come il presidente del Senato, di questa tremenda verità, agghindi la confezione del suo prodotto elettorale con quello che non potrebbe che essere, allora, un “marchio d’infamia”. LEGGI TUTTO Mazzanti

L'appello al presidente del Senato


Signor Presidente La Russa,

a scrivere questa lettera aperta sono quattro cittadini italiani (due avvocati e due giornalisti) impegnati da decenni nella ricerca della verità sulla strage di Bologna del 2 agosto 1980. Le loro pubblicazioni trovano apprezzamento in quei segmenti dell’opinione pubblica che – nel rispetto formale delle sentenze passate in giudicato – nutrono forti perplessità sulla ricostruzione giudiziaria dell’atto terroristico più grave nella storia della nostra Repubblica. Ricostruzione giudiziaria che ascrive le responsabilità materiali dell’eccidio al terrorismo nero e che, per effetto del recente passaggio in giudicato della sentenza di condanna a carico di Paolo Bellini, individua il movente in un’ampia strategia eversiva di matrice piduista che, attraverso le stragi indiscriminate, mirava a colpire il Partito Comunista italiano e l’ordinamento democratico per instaurare in Italia un regime autoritario. Di tale strategia eversiva, evidentemente fallita, sarebbero stati parte non trascurabile alcuni esponenti di rilievo del Movimento Sociale italiano. Tra questi – sempre secondo quanto risulta nella sentenza di primo grado relativa al cosiddetto “processo mandanti” – spiccherebbe l’onorevole Mario Tedeschi (direttore del settimanale “Il Borghese” e parlamentare della “Fiamma” per ben due legislature) e l’allora senatore Franco Mariani, nato a Novellara (Reggio Emilia), eletto nella regione Emilia Romagna e in carica dal maggio 1972 al luglio 1976. All’esito di questo processo, conclusosi con la conferma delle condanne da parte della Corte di Cassazione il 1° luglio scorso, il MSI viene di fatto identificato nel partito delle “stragi” durante gli anni della strategia della tensione. LEGGI TUTTO Appello

(umt) Al di là della polemica politica da segnalare anche l'intervento di Gabriele Adinolfi, il leader di Terza Posizione vittima di alcuni depistaggi, che insiste sul ruolo dell'Orchestra rossa

Adinolfi: 45 anni di mistificazione

Stazione di Bologna, 2 agosto 1980.

Ormai, se non fosse tragica, la “verità” su Bologna sarebbe ridicola.
Siamo a cinque condannati (uno dei quali spacciato per fascista ma di tutt’altra matrice e percorso). In termini giuridici non ci sarebbero nemmeno gli elementi per giustificare un rinvio a giudizio per gli altri quattro, figurarsi una sentenza di colpevolezza, né esistono elementi per condannare quest’ultimo, Paolo Bellini.

Le sentenze hanno travolto ogni garanzia. Gilberto Cavallini processato per due volte alla faccia del “ne bis in idem”, Luigi Ciavardini condannato come “mandante” (a 17 anni) dei suoi capi di allora perché la Cassazione aveva escluso che fosse stato lui l’esecutore, veste in cui era stato misteriosamente condannato in precedenza. La Mambro che per non farsi notare si sarebbe vestita da tirolese. Fioravanti che avrebbe fatto capire con una battuta al collaboratore di giustizia Sparti che c’entrava qualcosa. Lo Sparti, per questa “confessione” beneficiò di una liberazione miracolosa benché sia sua moglie che suo figlio, che dovevano essere presenti all’incontro con Fioravanti così come da lui stesso raccontato, abbiano provato che esso non ebbe luogo in quanto la famiglia per intero si trovava altrove. Senza contare che la frase incriminata – e palesemente inventata – “hai visto che botto?” non si sa per quale motivo dovrebbe corrispondere ad una confessione visto che si tratta di una pura constatazione che potrebbe essere stata fatta da chiunque avesse ascoltato il telegiornale.

Lo stesso Bellini – che è figura viscida, insana, un malfattore, collaboratore dei servizi, invischiato in una serie di delitti impuniti – ha subito una condanna (che alla fine non sconterà) su basi assurde.
Lo si è riconosciuto presente alla stazione di Bologna quel giorno, e ciò da una fotografia nella quale la ex moglie, che non è in rapporti propriamente amichevoli con lui, lo avrebbe riconosciuto da una collanina.
La condanna emessa nei suoi confronti stabilisce che Bellini avrebbe parcheggiato l’auto con la nipotina dentro ad attenderlo, sarebbe andato a commettere la strage, sarebbe quindi tornato a prendere la bambina e, in seguito, si sarebbe nuovamente recato sul luogo della strage, così, per farsi notare…
Essere sul luogo, peraltro, non significa automaticamente essere invischiato nell’attentato, tant’è che tra i candidati alla paternità di quella foto c’è pure un agente che partecipò per tutta la giornata ai soccorsi.  LEGGI TUTTO Adinolfi

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