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Da Dugina al sabotaggio del Ponte. La Gladio ucraina non risponde a Washington

 LA GLADIO UCRAINA COLPISCE ANCORA – A COLPIRE IL PONTE SULLO STRETTO DI KERCH È STATA LA STESSA STRUTTURA SEGRETA CHE HA UCCISO DARIA DUGINA: UNA RETE “STAY BEHIND” CHE ORMAI AGISCE COME UN CENTRO DI POTERE PARALLELO, SENZA CONSULTARE GLI AMERICANI – CHI C’È AL COMANDO? NESSUNO LO SA, MA SI STANNO PRENDENDO MOLTE LIBERTÀ, FORSE TROPPE, CHE RISCHIANO DI INNESCARE UNA SPIRALE MOLTO PERICOLOSA PER TUTTI…


Così Dagospia oggi ci conferma nelle nostre rare certezze. Occam rules. Ad ammazzare Dugina e ora a sabotare il "ponte di Putin" sono stati gli ucraini, la frangia ultrà degli operativi dei servizi di Kiev. I tanti "troppo furbi" che avevano alzato il sopracciglio per l'improvvisa botta di vita dell'intelligence russa, dopo la figura di merda di essersi fatti mettere lo sputo sul naso dagli infiltrati, dovranno abbassare la superbia.
La chiamano Gladio, per richiamarne la fedeltà atlantista. Ma a differenza della nostra, che era ben prona ai desiderata americani, questi qua, nazisti delle terre nere, esaltati dall'andamento trionfale della controffensiva, sfuggono a ogni controllo. E quindi rischiano di incasinare la vita a lor signori ...
A ogni modo questa la ricostruzione di Gianluca De Feo per la Repubblica

UNA RETE "STAY BEHIND"
COME PER IL DELITTO DUGINA

E' stato un attacco di geometrica potenza, che potrebbe imprimere una svolta all'intero conflitto. Un colpo a triplice effetto propagandistico, politico e militare - inferto al cuore del Cremlino, senza preoccuparsi delle possibili ritorsioni. Anzi, cercando proprio di provocare l'ira di Vladimir Putin.
Non esistono certezze su chi abbia organizzato il raid del ponte di Kerch, ma i sospetti portano alla struttura segreta che ha ucciso Daria Dugina, la giovane figlia dell'ideologo putiniano. Questa rete stay behind ucraina ha dimostrato di sapersi muovere in profondità dietro le linee russe.
Nel raid contro il viadotto però sembra avere raggiunto un livello di ideazione ed esecuzione senza precedenti in Europa. Hanno portato un camion imbottito di esplosivo sull'infrastruttura più protetta, beffando i poliziotti addetti alle ispezioni. Hanno studiato il punto esatto dove farlo saltare in aria per ottenere i danni maggiori: proprio nel mezzo del viadotto, lontano dai pilastri.
In più c'è l'ipotesi che abbiano sincronizzato la corsa del veicolo con il movimento del convoglio ferroviario carico di carburante. Un blitz del genere richiede menti raffinatissime per coordinare esperti di demolizioni, vedette lungo il percorso, rifugi per uomini e materiali. Inoltre c'è l'elemento assolutamente eccezionale dell'autista morto nell'esplosione. Era un kamikaze? Oppure il guidatore non sapeva di trasportare l'ordigno, innescato da altri incursori con un telecomando?
I danni materiali sono rilevanti. Il traffico automobilistico tra Russia e Crimea è stato dimezzato. Più importanti però le condizioni del viadotto centrale con i binari, dove il rogo è proseguito per ore: le autorità di Mosca confidano di ripararlo in tempi brevi. Da ieri le difficoltà logistiche per le truppe russe sul fronte sud si sono aggravate. Il quartiere generale di Kiev potrebbe sfruttarle subito e aumentare la spinta verso Melitopol e Mariupol, terminali dell'unica ferrovia attiva: i ventimila soldati asserragliati a Kherson rischiano di restare senza rifornimenti né munizioni.
Questo prova che il ponte di Kerch è un obiettivo di rilevanza militare. Certo, ma è anche un simbolo - il sigillo di cemento all'annessione russa della Crimea - che la Gladio ucraina ha scelto di sfregiare nel giorno del compleanno di Putin. Perchè? Nessuno sa chi sia al comando della rete di sabotatori.
Pochi giorni fa il New York Times ha rivelato che la Casa Bianca non è stata avvisata dagli ucraini dell'attentato contro Daria Dugina: se avesse saputo, non l'avrebbe approvato perché «inutilmente escalatorio». Quindi a Kiev esiste un centro di potere parallelo che agisce senza consultare gli alleati: un'organizzazione così segreta ed efficiente da battere gli 007 di Russia e Stati Uniti.
Ha scatenato l'azione più clamorosa dopo che Biden aveva evocato l'Armageddon: il rischio che Putin usasse un'arma nucleare per non perdere la faccia davanti alle sconfitte sul campo. Il presidente americano ha citato l'unico momento in cui il mondo è arrivato vicino allo scontro atomico: la crisi dei missili di Cuba del 1962.
La vulgata del film "13 days" racconta che Kennedy faceva controllare dai suoi collaboratori i singoli piloti militari mandati in missione sull'isola: temeva che i vertici del Pentagono volessero arrivare a provocare la guerra totale. Oggi però non sappiamo se la campagna di attentati sia guidata dalle istituzioni di Kiev o sia opera delle "uova del drago" seminate in Russia dagli elementi neonazisti delle brigate Azov. Sappiamo solo che tanti, anche in ucraina, adesso temono la rappresaglia del Cremlino.

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