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Più forte del fuoco. L'autobiografia di un ordinovista siciliano


 L’autobiografia di un militante di Ordine Nuovo che si racconta attraverso tantissime esperienze vissute da protagonista. Una narrazione che si svolge per lo più nella città nera, Catania, chiamata così per l’impensabile successo elettorale del MSI nel 1971. Un ragazzo di buona famiglia che, attraverso gli anni della militanza giovanile si ritrova in ultimo ad affrontare la dura esperienza del carcere. Il tutto attraverso le tematiche di quei tempi, gli scontri con gli avversari, le battaglie studentesche, le occupazioni, le manifestazioni per Jan Palach, i moti di Reggio Calabria, il nuovo corso dentro il Movimento, e lo scioglimento dello stesso con le sue disastrose conseguenze. Di contro, anche le passioni, la musica e la bellezza di una gioventù vissuta per tenere alti degli ideali.
Un libro che fa luce sugli anni Settanta e sulle dinamiche generazionali che la storiografia ufficiale ha seppellito sotto la triste denominazione di Anni di piombo. A seguire uno degli episodi più intensi ...
Francesco Rovella, Più forte del fuoco, Edizioni Settimo Sigillo. 

"Ah, siete voi i fascisti...". Quella protesta disperata alle Murate

Alle prime luci eravamo già svegli. L’umidità di quel posto allagato ci era entrata dentro le ossa, non riuscivamo nemmeno ad alzarci. Eravamo in pessime condizioni, all’estremo limite della sopportazione e della pazzia. Avemmo la sensazione di non avere più niente da perdere. In quel cavolo di cella non era possibile starci nemmeno un altro solo giorno. Nello stanzino del bagno alla turca c’erano un paio di bottiglie vuote. Le spaccammo con cura e ci armammo dei vetri rotti e affilati. Aspettammo in silenzio, non era necessario nemmeno fare un piano. Avremmo agito d’istinto e in qualche modo saremmo usciti da quell’incubo, tanto peggio di così come eravamo ridotti non era possibile. Quando si arriva al limite, niente ti fa più paura. La morte l’avevamo vista in faccia la sera prima, era già un miracolo essere ancora vivi.

Sentimmo dei passi nel corridoio e nascondemmo in tasca i cocci di vetro. Arrivò un secondino molto giovane con i carrello e il contenitore del latte.

“Avete visto – disse – tocca a me portarvi la colazione. Dall’altro lato hanno saputo che siete qua e sono già in rivolta perché vogliono venire a farvi la pelle, il direttore dice che non può venire nemmeno un lavorante; dobbiamo pensarci noi guardie”.

“Beh? Che vi prende? Vi hanno tagliato anche la lingua?” 

“No, sai e che con quest’acqua per terra siamo troppo intorpiditi…dai, aprici un po’, facci sgranchire, tanto nel corridoi non c’è nessuno” 

“ E va be’, solo cinque minuti però”

Non fece in tempo nemmeno ad aprire completamente la porta. Gli saltammo addosso e lo sequestrammo con la bottiglia rotta alla gola. “Forza andiamo, non fiatare. Si va dal direttore”.

Dopo il corridoio arrivammo ad un altro cancello. Dall’altro lato c’era un'altra guardia, un graduato anziano che ben conoscevamo perché era uno dei più duri, ma non ebbe il tempo di capire subito quello che stava succedendo. Riuscimmo a tirare per il bavero anche lui e gli intimammo di aprire il cancello con la minaccia di sgozzare il suo collega. Avrebbe potuto divincolarsi facilmente e lasciarci al di là del cancello senza che noi potessimo far niente oltre che dar seguito alla nostra minaccia. Ci guardò negli occhi, noi eravamo completamente pazzi e lui lo capì. Era un bastardo, ma di esperienza ne aveva tanta.

Passarono degli attimi interminabili e pieni di tensione, poi prese la chiave la infilò nella serratura e aprì.

“Calma ragazzi, non fate sciocchezze, va bene andiamo dal direttore, ma niente pazzie” e si avviò così in fretta e determinato che non ci fu nemmeno il bisogno di sequestrarlo o minacciarlo. Attraversammo il cortile in gruppo tra le guardie che si voltavano sbigottite: Il ragazzo era ancora sotto sequestro con il vetro alla gola. L’appuntato entrò senza bussare. Noi lo seguimmo dentro, liberammo la giovane guardia e ci chiudemmo la porta alle spalle tutti e sei dentro la stanza. Il Direttore fece come per protestare per quell’incursione del capo guardia con quello strano seguito di detenuti.

A quel punto circondammo il suo tavolo mettendoci tutti assieme i cocci di vetro nelle nostre rispettive gole.

“Vogliamo essere trasferiti, e subito. Non torneremo in nessuna cella siamo pronti a tagliarci la gola e la taglieremo anche a te. Usciremo tutti vivi solo se organizzi immediatamente le nostre scorte per il carcere di Perugia”.

La faccia del direttore divenne bianca come un cero.  “Ah - disse con un filo di voce più perfida che spaventata - siete voi, i fascisti. Forse è davvero meglio che ve ne andiate, così quegli altri in sezione si calmano. Di questa storia ne ho piene le tasche”.

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