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E' morta Silvana, la mamma di Stefano Recchioni.

Questa mattina è volata in cielo Silvana Recchioni, mamma di Stefano, una delle  tre vittime di Acca Larentia. L'annuncio sulla pagina Facebook dell vicepresidente della Camera dei deputati Fabio Rampelli di Fratelli d' Italia.

 "Lo Stato italiano, ha aggiunto Rampelli, non è stato capace di darle giustizia per quel colpo di arma da fuoco che uccise suo figlio, sparato da un carabiniere ad altezza d'uomo tra i ragazzi che accorsero sul luogo da tutta Roma l'8 gennaio 1978. Disperati e increduli si ammassarono sul posto dell'eccidio dove il giorno prima si consumò l'efferata azione terroristica migliaia di persone. Due ragazzi di destra neanche ventenni che uscivano da una sede del Msi, Franco Bigonzetti e Francesco Ciavatta, furono colpiti a morte dalla mitraglietta Scorpion con cui poi sarebbe stata eseguita la Strage di Via Fani per il rapimento di Aldo Moro. Le forze dell'ordine non riuscirono a gestire la piazza e Stefano Recchioni fu concentrato in piena testa da un colpo di pistola, andando in coma e morendo 24 ore dopo. Silvana, mamma riservata e schiva, artista raffinata e specializzata nella raffigurazione di angeli, non si mise mai in mostra e ha convissuto con il suo dolore per oltre 40 anni. Tra le sue opere l'altorilievo in bronzo che corona la tomba a terra presso il cimitero del Verano, che custodisce le spoglie di Stefano e del padre. Riproduce il caos di quel giorno: la folla, i celerini, il figlio in fin di vita. Le esequie si terranno mercoledì 19 alle ore 12 nella Basilica di Santa Maria degli Angeli, in piazza Esedra". "L'auspicio è che quella giustizia negata possa ancora essere conquistata e assicurata alla storia".

Ps (umt) - Compie due errori Fabio Rampelli: quella Skorpion sparò ad Acca Larentia ma non uccise nessuno e fu utilizzata non a via Fani ma negli ultimi delitti delle Br-Pcc (Tarantelli, Conti e Ruffilli), dal 1985 al 1988. Questa "matita rossa" è in realtà solo il pretesto per rilanciare la commossa riflessione di Valerio Cutonilli:

Credo di aver compreso ben poche cose impiegando anni della mia vita nelle ricerche sui fatti di terrorismo, inclusi quelli occorsi il 7 gennaio 1978. Tra queste c'è di sicuro la consapevolezza che tutti noi, anche quando siamo ispirati da sentimenti nobili, non ci rendiamo conto che le nostre memorie politiche ed ideologiche per alcuni sono invece tragedie personali e familiari. Non ho mai conosciuto questa donna. Lei per scelta non ha mai voluto apparire pubblicamente, si è dignitosamente rifiutata di trasformare in una professione il suo dolore. Le uniche dichiarazioni, potrei sbagliarmi ma poco importa, risalgono alla sera di quel maledetto sabato di 44 anni fa. Arrivata all'ospedale San Giovanni, fu "interrogata" da qualcuno che non aveva ben chiara la linea di demarcazione tra il dovere informativo e lo sciacallaggio mediatico. Il figlio giaceva inerme con un proiettile conficcato nella testa. Ma il problema per questo qualcuno era sapere se lei condividesse le discutibili idee del ragazzo. Costui lo chiese proprio a lei che dispensava lo stesso amore materno a due fratelli che gli anni di piombo, ricchi di speranze e d'illusioni, avevano collocato sui versanti opposti. Donna colta e con la schiena dritta, rispose lanciando un monito agli adulti. Senza amore siamo finiti. Aveva ragione lei, dovremmo solo avere il coraggio di ricordarlo.

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