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Occorsio jr.: Concutelli ha pagato più del dovuto

Vittorio Occorsio fu un grande magistrato italiano, ucciso negli anni di piombo dal terrorista neofascista Pierluigi Concutelli a colpi di mitra a causa delle sue inchieste sull'eversione nera, che avevano portato tra le altre cose allo scioglimento di Ordine Nuovo. Suo figlio Eugenio, storico giornalista specializzato in temi economici (per Il Sole 24 Ore, Repubblica, L'Espresso...), ha scritto un libro, recentemente ripubblicato con una nuova prefazione di circa 25 pagine, sulla storia di suo padre, della sua vita, le sue inchieste e la sua morte, il cui titolo è già molto chiaro sui contenuti: Non dimenticare, non odiare. Il sottotitolo è Storia di mio padre e di tuo nonno, perché la narrazione è rivolta al figlio di Eugenio, a sua volta chiamato Vittorio. 
Ho chiacchierato sul tema in esclusiva per Spraynews con Eugenio Occorsio, un'intervista e un incontro per me importante da tanti punti di vista: pure io a 20 anni come lui ho perso mio padre magistrato penale, e da alcuni anni, con un lavoro che nella conversazione privata che ha preceduto l'intervista ha suscitato l'interesse di Eugenio, mi sono occupato di studiare e raccontare giornalisticamente l'eversione degli anni di piombo, intervistando tra i molti anche un altro figlio di un protagonista di questa storia, cioè Rainaldo Graziani, il cui padre Clemente fu tra i fondatori di Ordine Nuovo portati da Vittorio Occorsio in tribunale e fatti condannare. 
Il tuo libro sulla figura di tuo padre nasce come risposta alla sofferenza di tuo figlio, quando l'assassino del nonno, Pierluigi Concutelli, fu scarcerato. Ci puoi spiegare cosa accadde? 
Tutto fu innescato da quello. Quando nel 2002 uscì per la prima volta Concutelli (che poi fu arrestato di nuovo), mio figlio, allora ventenne, reagì molto male arrivando a dire che per lui ci sarebbe voluta la pena di morte. Questo generò una riprovazione di noi genitori nei suoi confronti, perché a partire da mio padre nessuno nella nostra famiglia aveva mai covato simili sentimenti: lo sgridammo affettuosamente perché per noi la pena di morte, e pure l'ergastolo, non sono degni di una società civile. Questo episodio accese però una lampadina dentro di me: mi sentii in colpa, perché avevo lasciato che in questo ragazzo crescessero dei risentimenti, poi esasperati dai normali bollori dei 20 anni. Mi resi conto che gli avevo spiegato troppo poco della figura del nonno e del suo lascito di buon senso e garantismo: ribadisco che mio padre, come me, era addirittura per l'abolizione dell'ergastolo, figurarsi se mai la pena di morte sarebbe potuta entrare nei suoi pensieri. Tanto che arrivo a dirti che io sono sicuro che Concutelli abbia espiato quello che ha fatto: non sto parlando di perdono, discorso metafisico, ma della giusta pena materiale da scontare per un delitto, che lui ha scontato, facendo una trentina d'anni di carcerazione anche molto dura, di cui sei persino nei "braccetti", dove io troverei pesantissimo passare un giorno. Quindi diciamolo: quel tanto che doveva giustamente pagare lo ha pagato, giustizia è stata fatta, anzi, ha forse pagato fin di più di quello che sarebbe veramente giusto.
 Cominciai quindi a spiegare queste cose a mio figlio, che il desiderio di pena di morte è qualcosa di pazzesco, assurdo, da selvaggi; non è giustizia ma vendetta: occhio per occhio dente per dente. Tutte cose che non entrano nella cultura giuridica di questo paese ma soprattutto in quella che era di suo nonno, di cui lui credeva invece di voler difendere la memoria, ma che mai avrebbe condiviso un pensiero simile. 
Mio padre aveva a che fare con assassini e stragisti, ma non ha mai pensato nemmeno per loro ci volesse la pena di morte o l'ergastolo ostativo. Quindi, per fargli capire meglio tutto questo, ho scritto questo libro, che ha la forma di un lungo racconto orale sui processi di mio padre, che ha seguito il piano Solo, Piazza Fontana, il golpe Borghese, insomma tutti gli episodi meno edificanti di quegli anni tremendi: e infine Ordine Nuovo, che era un'associazione dedita ad attività squadristiche, a rapine di autofinanziamento. 
Ti racconto un episodio per farti capire il genere: quando nel 1969 Pino Rauti, che era il fondatore, decise di rientrare nel più moderato MSI sciogliendo il Centro Studi Ordine Nuovo, di cui non condivideva la piega rivoluzionaria stava prendendo, uno dei suoi co-fondatori, Elio Massagrande, per vendicarsi lo seguì assieme ad altri cinque o sei a San Lorenzo, un quartiere ai tempi molto malfamato di Roma, e lo presero a martellate. Nonostante ciò Rauti, quando andò all'ospedale, per spirito cameratesco disse che i responsabili dell'aggressione erano i compagni del collettivo via dei Volsci. Ecco, questo episodio penso faccia capire che tipo di persone erano, come ragionavano. Agivano da banditi ma con un loro particolare codice morale tribale, ai miei occhi assurdo. 
Avevano campi d'addestramento paramilitari per la guerriglia, andavano in Grecia dai Colonnelli ad imparare le tecniche d'infiltrazione e golpismo, compiaano azioni intimidatorie e via dicendo. Con questo non uccisero mai nessuno. Infatti quando mio padre li processò, furono condannati a pene basse, due, tre anni, solo per ricostruzione del Partito Fascista. 
Mio padre però pensava che questi fossero abbastanza pericolosi che, un po' come capita oggi con Forza Nuova – che però a mio avviso non ha per ora raggiunto livelli eversivi paragonabili, pur condannando io fermamente il criminale assalto alla CGIL -, valesse la pena di chiedere al Ministro degli Interni del tempo, Paolo Emilio Taviani, di metterli fuori legge, cosa che accadde. Una parte minoritaria di questi però, ben lontana dal mollare, si ricostituì come banda armata, entrando in clandestinità, guidati da questo tale Pierluigi Concutelli, personaggio autonominatosi comandante militare che aveva rapporti anche con Avanguardia Nazionale di Delle Chiaie e con ambienti dei servizi segreti ed eversivi di vari paesi, anche latinoamericani e spagnoli. Quindi mio padre mise in cantiere un altro processo, contro il ricostituito Ordine Nuovo, e a questo punto lo fermarono. Infatti: nel 1976 fu ucciso da Pierluigi Concutelli. 
Secondo te questo omicidio si può considerare un'azione autonoma del solo Concutelli e del suo piccolo gruppetto, o vedi dietro mandanti e connessioni con apparati dello stato deviati, servizi segreti anche stranieri, P2 , altri gruppi eversivi e similia? 
Questa è la domanda delle domande. Le sentenze come si suol dire si rispettano e hanno deciso che era stato il solo Concutelli, di sua iniziativa, con l'ausilio di due o tre complici e basta. Un personaggio isolato con gli occhi iniettati di sangue che aveva deciso di uccidere Occorsio, cosa alla quale anche altri capi fascisti si erano opposti o detti poi contrari, a partire da Clemente Graziani. Però dei dubbi ci sono. Delle Chiaie ad esempio una volta diede a Enzo Biagi una famosa intervista dalla sua latitanza sudamericana a Caracas, e quando gli fu chiesto cosa pensava dell'omicidio Occorsio, disse che non gli era dispiaciuto troppo. Insomma... i personaggi erano questi. Ma da ciò ad elaborare accuse precise ne corre. Poi dipende, se pensiamo che mio padre è stato fermato perché stava mettendo insieme i fili di un discorso molto più complesso, allora ci possono entrare dentro tutti, Delle Chiaie, i servizi segreti, la P2, perché bene o male con tutti questi aveva avuto a che fare, ad esempio aveva interrogato Gelli poco prima di morire, aveva indagato sia su P2 che su servizi deviati, soprattutto dopo Piazza Fontana dove le sue indagini furono depistate dalla gente degli Affari Riservati. 
Provarono a farlo fesso dandogli in mano prove false, ma mio padre fesso non era, e quasi subito cominciò a capire che cosa c'era dietro, le trame oscure di questo ambiente che voleva spingere il paese a destra, fermandone ogni processo di sviluppo, e che aveva diversi bracci armati nel mondo neofascista: questa gente ha realizzato diverse operazioni, tra cui Piazza Fontana, in cui provarono a dare la colpa agli anarchici per fermare la spinta progressista che era in corso nel paese. 
Quali furono le ipotesi di tuo padre su appunto Piazza Fontana? 
Lui all'inizio come noto accusò Valpreda perché un magistrato fa le indagini con gli strumenti che gli mette in mano la polizia, e in questo caso peggio ancora i servizi segreti, gli uffici del Viminale, che come detto sopra gli misero in mano prove false ma molto ben costruite. Valpreda poteva essere un colpevole credibile, aveva pure dei precedenti penali per rapine e cose simili, quindi il lavoro iniziale di mio padre fu vittima di un sistema fraudolento che non dipese da lui e che aveva creato un suo teorema per screditare la sinistra. Mentre però istruiva il processo, mio padre iniziò a rendersi conto della verità, tanto che quando concluse il rinvio a giudizio, con un documento che ancora ho a casa, scrisse che non era chiaro l'orientamento ideologico della strage, perché stranamente nel gruppo di anarchici c'erano personaggi che stavano evidentemente dall'altra parte, legati a Delle Chiaie e ai gruppi fascisti, come Mario Merlino. Quindi secondo lui c'era qualcosa che non andava. 
Va detto che mio padre, e questo è interessante, aveva molta fiducia nei dibattimenti. Tanto è vero che qualche anno prima c'era stato l'episodio del Sifar, in cui l'Espresso aveva fatto un articolo dicendo che c'era stato un tentativo di colpo di stato, e ne aveva svelato la preparazione che era stata negli anni precedenti: mio padre non poté far altro che rinviare a giudizio i giornalisti, ma nel corso del processo si rese conto che questi avevano scritto il vero, e lui trovò delle prove incredibili, come la lista delle persone che sarebbero state andate a prendere casa per casa, il campo paramilitare già pronto per ospitare i golpisti, così alla fine si convinse dell'innocenza dei giornalisti e della colpevolezza del Generale e chiese la di lui condanna. Quindi per lui il rinvio a giudizio era l'inizio, non la fine del lavoro, perché sapeva che nel processo la situazione si può ribaltare.
 Nella democrazia è così ed è giusto: il rinvio a giudizio non è una sentenza, è solo l'inizio di un cammino, il processo, in cui sentendo le testimonianze si cerca la verità, che può essere diversa da quello che ci si aspetta. Io credo che lui pensasse che con Piazza Fontana sarebbe successa la stessa cosa, che volesse muoversi così, ma questo purtroppo gli fu impedito, il processo fu bloccato grazie ad una serie infinita di trasferimenti. 
C'è un'altra cosa importante che voglio dire a proposito: mio padre tenne purtroppo in prigione Valpreda per tre anni, però a quell'epoca la legge diceva che un indagato per reati molto gravi come quello doveva essere per forza tenuto in carcere fino alla sentenza di primo grado: se lo avesse scarcerato, si sarebbe lui stesso macchiato di un reato. Proprio a seguito di questa storia le cose cambiarono: uscì infatti la Legge Valpreda, che limitò i tempi massimi della custodia cautelare. Ci tengo molto a dire questo perché va capito che mio padre non lo tenne in carcere perché era esageratamente severo: anzi ti assicuro che a livello personale era molto turbato da questo fatto, dal tenere in carcere persone in attesa di giudizio, ma era costretto ad attenersi alle leggi dei tempi. 
Essendo pure io figlio di un magistrato penale, posso capire la situazione meglio di altri, ti assicuro. Secondo te invece che cosa può insegnare ad un giovane di oggi la storia della vita e della morte di tuo padre? E a proposito di insegnamento, dopo il tuo racconto tuo figlio ha rivisto le sue idee sulla pena di morte? 
Mio figlio assolutamente sì. Parlando degli insegnamenti, credo che siano tanti, alcuni della vita altri della morte. Della vita, che un magistrato deve sempre cercare di ricostruire la verità nei suoi tanti contorni senza pregiudiziali ideologiche. Lui credeva davvero nel suo lavoro, era mosso da grande passione e sapeva che non bisognava accanirsi sugli imputati. La sua storia insegna anche il valore della competenza: ai tempi non c'era internet, non ci stavano database delle informazioni, le indagini andavano tutte costruite con la propria mente, era difficile ricostruire, articolare ogni passaggio. Mi hanno insegnato molto sia la sua grande onestà che il suo profondo turbamento, la sua rabbia e sconcerto quando si rendeva conto dei depistaggi. Per quanto riguarda la morte invece, a me personalmente ha insegnato ad elaborare un sentimento di pietas, perché questi terroristi non meritano facili perdoni o condoni, però sono pur sempre persone che si sono da sole distrutte la loro stessa vita. Non bisogna con loro ragionare da Far West, metterli in cella e buttare via la chiave, no. Lo Stato deve dimostrarsi realmente democratico. Se ci pensi, lo Stato ha retto al violentissimo attacco del terrorismo, senza trasformarsi per non essere sconfitto, come si rischiava, in uno stato di polizia totalitario e liberticida. Ha subito perdite gravissime, il sacrificio di tanti, ma alla fine è riuscito a rimanere una democrazia. E' stata una prova atroce, tra terrorismo e poi mafia martellante, che ha distrutto i migliori cervelli, eppure la democrazia la ha superata. 



A questo punto mi viene da chiederti: ormai difficile che capiti perché per gravi ragioni di salute Concutelli da tempo ha perso gran parte della lucidità mentale, ma se facesse autocritica e ti chiedesse perdono, tu glielo daresti? 
Sì, glielo darei. Sicuramente. Mi avrebbe fatto tanto piacere un gesto in questa direzione da parte sua. In tantissimi casi c'è stato un gesto di questo tipo: pensa al caso Moro, ed al rapporto delle figlie con ad esempio la Faranda ed altri. Agnese con alcuni degli assassini del padre va a cena, a colazione, è amica. Lei è molto motivata anche religiosamente e tutto questo è molto bello ed ammirevole e non mi sarebbe dispiaciuto accadesse pure nel mio caso. Molti ex terroristi sono davvero intimamente pentiti e cambiati ed è giusto perdonarli allora. Noi siamo esseri umani, la pietas è un valore bello, tipico dei migliori di noi, come l'odio lo è dei peggiori. Purtroppo finora non c'è stato da parte di Concutelli nessun segnale, qualche vaghissimo passaggio in un paio di interviste che ha fatto, che però poi si è praticamente rimangiato subito. Sembrava lui stesso un po' confuso, con del rimorso ma purtroppo schiacciato da un forte orgoglio da combattente che gli impediva di farlo davvero emergere. Mi ha ricordato quei giapponesi nella giungla a continuare a combattere anche a guerra finita, scollegati dai cambiamenti della realtà. E' una cosa che posso capire, anche a livello psicanalitico, a volte è difficile venire a patti con la propria umanità più profonda, soprattutto se nella vita hai scelto di considerarti un guerriero. 
Umberto Baccolo/Spraynews

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