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No all'accoglienza non è reato. 19 assolti a Verona

 


L'ultimo flop della legge Mancino, codificata nell'articolo 604 bis del codice penale, è targato Verona. Lì il Tribunale, ieri, ha assolto 19 imputati che rischiavano 32 anni di reclusione, rei di aver protestato contro una coop dell'accoglienza che a Roncolevà di Trevenzuolo voleva trasformare una villetta residenziale in un centro per rifugiati.

I fatti risalgono al 2017, quando due comitati di cittadini per mesi portarono avanti la loro battaglia con slogan e striscioni. «Fu un assedio», secondo l'accusa, rappresentata in aula dal procuratore Angela Barbaglio, con finalità di «odio razziale». Una contestazione pesantissima che, però, è crollata miseramente durante il processo, con le difese che hanno fatto en plein.

All'inizio gli imputati erano 22. Poi si è scoperto che uno era minorenne e, quindi, gli atti sono stati mandati alla Procura minorile. Un secondo imputato è stato prosciolto perché vittima di uno scambio di persona. Ma per gli altri 19, tra gli attivisti di «Roncolevà alza la testa» e «Verona ai veronesi», la Procura chiedeva con forza una condanna. Si è ritrovato imputato perfino un pensionato settantaduenne che con gli altri cittadini aveva manifestato il suo «no» contro le attività della coop Versoprobo.

Il Tribunale ha quindi stracciato i capi d'imputazione pieni di insulti, che non hanno trovato riscontro, agli ospiti del centro d'accoglienza: da «scimmie» a «sporchi negri». E alla rappresentante della cooperativa: «Schiavista, sfruttatrice». La pena più alta era stata chiesta per Nicola Bertozzo di «Verona ai veronesi», 2 anni di reclusione, mentre per gli altri 18 la Procura aveva chiesto una condanna a 1 anno e 8 mesi.

Bertozzo, considerato l'uomo che «dirigeva il movimento costituito per finalità di odio razziale», era accusato anche di aver pubblicato sulla sua pagina Facebook quella che la Procura riteneva un'istigazione, ovvero aveva invitato «a difendere Roncolevà dal business dell'accoglienza... la popolazione si è raccolta per contrastare il nuovo affare che specula sulla pelle dei migranti».

Non solo, l'accusa è piena di ricostruzioni di «aggressioni», «provocazioni ai richiedenti asilo e aglio operatori della cooperativa», «danneggiamenti», «lanci di luce laser» e strombazzate «di clacson». E addirittura si era ipotizzato che l'imprenditore che doveva costruire la recinzione attorno all'immobile fosse stato minacciato con queste parole: «Sappiamo chi sei, se accetti di fare il lavoro ti bruciamo il furgone».

L'indagine è partita da una segnalazione via email molto generica, mandata alle autorità da una operatrice della coop. Si è poi nutrita di alcune annotazioni di servizio dei carabinieri che effettuavano servizio sul posto. Ma le accuse sono state smontate durante le udienze dai difensori.

L'assoluzione è stata una botta pure per l'Osservatorio migranti, che con la stessa coop si era costituito parte civile. Il gruppo consiliare della Lega a Verona esprime «solidarietà ai veronesi ingiustamente attaccati». «La paura», scrivono i consiglieri leghisti, «era che quella ventina di richiedenti asilo finisse a bighellonare e vagabondare turbando la tranquillità del piccolo centro, che conta 700 anime».

«Una grande vittoria processuale con indagini alquanto lacunose, che hanno coinvolto persone, anche di una certa età, totalmente incensurate e innocenti», ha commentato l'avvocato Andrea Bacciga, difensore di alcuni imputati, che ha aggiunto: «Quella protesta non aveva alcun fondamento discriminatorio. Era nata per ribadire il fermo no al business dell'accoglienza». Una sonora sconfitta di un tentativo maldestro di applicare una legge ideologica.

FONTE: Fabio Amendolara/La verità

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