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10 maggio 1977: la grande fuga di Albert Spaggiari


Dal libro di Giorgio Ballario, "Vita spericolata di Albert Spaggiari", Idrovolante edizioni

 «Sono quattro mesi e dodici giorni che sono stato arrestato», riflette Spaggiari in uno degli ultimi capitoli del suo libro. «Ogni mercoledì sera la stessa angoscia mi stringe in cuore: verrà, non verrà... Ora non ne posso più. Ne ho abbastanza, ne ho fin sopra i capelli. Quindi è ovvio che quel giorno là, mercoledì 9 marzo 1977, ho toccato il fondo di questa faccenda. Sono sedici giovedì, eliminando quelli in cui non sono andato, che esco dalla prigione alle 14 per il Palazzo di Giustizia: ha avuto abbastanza tempo per prepararsi e per decidersi. Non vale la pena di sognare, vuol dire che è cotto! Non verrà più, ora... Ho quarantaquattro anni e malgrado non abbiano alcuna prova contro di me - solo la mia deposizione - ne avrò per quindici o vent’anni. Quindici o vent’anni! No, signori, ci sono già passato, non mi va di ricominciare».
Giovedì 10 marzo è in programma un nuovo interrogatorio. Nel corso del trasferimento dal carcere di Nizza al Palazzo di Giustizia, Bert nota chiaramente un motociclista affiancare il cellulare della polizia e fargli un impercettibile cenno d’intesa.
Dietro la visiera del casco integrale l’ex parà riconosce gli occhi di un vecchio camerata e capisce subito che il blitz è programmato per quel giorno. Nel racconto romanzato del furto e della successiva evasione, Spaggiari non si dilunga su questi particolari, ma è chiaro che con il misterioso intermediario si è parlato anche del sistema più idoneo per scappare: troppo difficile provarci dal carcere, inutile durante il trasferimento all’interno del cellulare (i detenuti sono incatenati), rischioso mentre viene scortato dai poliziotti fino all’ufficio del giudice È lì, seduto davanti alla scrivania di Bouazis, l’unico momento in cui Albert gode di un minimo di libertà. Soprattutto se il giudice istruttore tiene gli agenti fuori dalla porta, com’è già successo alcune altre volte. Quindi non c’è alternativa: Spaggiari deve scappare dalla finestra, facendo ricorso ai vecchi insegnamenti da paracadutista. Con un simile salto c’è
il rischio concreto di rompersi una gamba, se non la testa, ma il fotografo non è mai stato un fifone ed è
disposto a correre il pericolo.
L’evasione è fissata per le cinque, ma quel giorno il giudice Bouazis appare stranamente nervoso. Anche stavolta ha fatto allontanare gli agenti di polizia, ma tiene Spaggiari sotto pressione. Il ladro tenta di alzarsi, con la scusa di mostrare meglio certi particolari di una cartina che lui stesso ha disegnato per illustrare al magistrato le modalità del “colpo” alla Société; ma Bouazis gli intima seccamente di rimanere seduto. Il tempo trascorre, ma Bert non intravede nessuna possibilità di avvicinarsi alla finestra. È pallido, suda, finge di avere mal di denti. Un paio di volte sente provenire dalla strada il rombo di una moto di grossa cilindrata, sa che gli amici lo stanno aspettando.
Alle 17,05 il giudice sta per chiudere la deposizione. Chiede alla segretaria di rileggere le ultime frasi verbalizzate, prima di far firmare il documento all’indagato. Spaggiari tenta il tutto per tutto: «Signor giudice, ci sono dei dettagli che non può capire nella piantina... È in tre parti».
«Oh! Vuole darmi delle precisazioni?». Bert si alza, gira intorno alla scrivania e si posiziona alle spalle di Bouazis. Fornisce un paio di spiegazioni confuse sui condotti usati per arrivare alla banca e sulla galleria scavata a fianco del caveau, intanto cerca di intuire qual è il momento più propizio. Sente di nuovo una moto che sgasa, mentre Bouazis annuisce e si appresta a chiudere l’interrogatorio.
«Faccio un respiro stanco mentre lui ripiega i tre fogli per metterli in una cartellina. Io giro lentamente su me stesso per ritornare verso la sedia. Arrivato all’angolo del tavolo... balzo verso la finestra, faccio saltare la spagnoletta, apro i due battenti in un solo movimento, scavalco il davanzale: subito il motore di una grossa moto si è messo a scoppiettare. Un centesimo di secondo mi basta per mettere a punto la caduta. “No! Questo no!” urla Peyrat dietro di me. Forza! Salto nel vuoto. Rimbalzo prima sullo stretto cornicione del portone e da lì sul tetto di una R6 e sulla strada. Il tutto non è durato più di otto secondi».
Bouazis e Peyrat, affacciati alla finestra, hanno solo il tempo di vedere Spaggiari che salta sulla sella della Kawasaki, dietro al motociclista, e li saluta con la mano. Un istante più tardi la grossa motocicletta è già lontana tra i vicoli della Vecchia Nizza. Molti anni dopo, grazie a ricostruzioni giornalistiche, si verrà a sapere che la moto con Spaggiari a bordo farà poca strada, fino a un parcheggio sotterraneo in Place Masséna. Lì dentro li attende un’automobile, Bert viene fatto entrare nel bagagliaio e poi trasferito nella zona del porto vecchio, dove i complici hanno da tempo preso in affitto un alloggio.
È un tragitto piuttosto breve, poco più di un chilometro e la vettura riesce a filtrare attraverso i posti di blocco che la polizia sta ancora allestendo nei punti nevralgici della città. Mentre in città regna il caos più completo e centinaia di agenti cercano il super-evaso all’imbocco delle strade di uscita della città, all’aeroporto, alla stazione ferroviaria e tra gli yacht ormeggiati nel porto turistico, Albert Spaggiari è nascosto nel bagagliaio di un’anonima vettura parcheggiata in una tranquilla stradina nei pressi del porto vecchio. I suoi amici attendono che diventi buio, poi gli danno il via libera e lo fanno salire nell’appartamento. La prima parte dell’operazione è perfettamente riuscita.
Passato il pericolo, almeno per il momento, Albert e i suoi salvatori si abbracciano e ridono come bambini. Ma chi sono i due misteriosi complici che hanno pianificato e reso possibile “l’evasione del secolo”? Nei suoi libri Spaggiari manterrà sempre il riserbo, per non compromettere chi ha rischiato la galera per lui. Ma molti anni dopo, quando Albert è ormai scomparso e il reato prescritto, ai due soggetti viene dato un volto e un nome: Robert Desroches e Michel Brusot detto “le Toc”, due ex militari e attivisti dell’OAS che con Spaggiari avevano condiviso la cella nel carcere della Santè a Parigi, all’inizio degli anni Sessanta. Certi legami, cementati dall’esperienza estrema della galera, rimangono saldi anche nel corso del tempo.
Alcune settimane più tardi lo sfortunato proprietario della Renault 6, rimasta ammaccata nel corso dell’evasione, si vedrà recapitare un assegno di tremila franchi. Lo spedisce un certo Albert Mandrino, che altri non è che Spaggiari: fedele al suo ideale di ladro gentiluomo, che ruba ai ricchi e non ai poveri, ha voluto risarcire i danni provocati dalla sua fuga rocambolesca.

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