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50 anni fa il golpe Borghese. Il Msi preferì restare alla finestra

 

La testimonianza di Stefano delle Chiaie sul comandante Borghese, Licio Gelli e i golpe bianchi del 1974 

Dal volume di Nicola Rao la Fiamma e la Celtica una buona sintesi sul golpe Borghese e i diversi ruoli giocati dal Msi e dalla destra extraparlamentare

 LA notte dell’8 dicembre 1970 è passata alla storia come la «notte della Madonna». Secondo alcuni magistrati, diversi neofascisti pentiti e molti giornalisti, quella notte ci fu nel nostro Paese un tentativo di colpo di Stato militare, guidato dal principe Junio Valerio Borghese. Si è parlato di un assalto alla armeria del Viminale, nel corso del quale alcune armi sarebbero state rubate e successivamente rimesse al loro posto, si è vociferato di un gruppo di allievi sottufficiali delle guardie forestali diretto a via Teulada per occupare la Rai, si è ipotizzato un coinvolgimento della mafia siciliana, si è detto di golpisti riuniti in alcuni punti della città in attesa del segnale, di un placet degli americani, e di un misterioso e improvviso contrordine giunto ai congiurati che avrebbe fatto rientrare l’operazione.

Per tre mesi non se ne sa nulla, fino al marzo 1971, quando appaiono le prime indiscrezioni giornalistiche sulla vicenda e scattano i primi fermi. Uno degli arrestati, Remo Orlandini, braccio destro di Borghese, rivela i retroscena del golpe. I principali imputati, Borghese e Stefano Delle Chiaie, ritenuto il responsabile militare dell’operazione, sono latitanti in Spagna. Si va a un processo, dove il Pm, Claudio Vitalone, pronuncia una durissima requisitoria. Ci sono delle condanne, ma dopo molti anni la Cassazione stabilirà che quel tentato golpe in realtà non ci fu.

In questa sede non interessa (né avremmo le possibilità di farlo) riaprire il caso Borghese o riscrivere la storia giudiziaria del presunto golpe. Preferiamo riportare le testimonianze e i ricordi di chi in quel periodo visse in una atmosfera di imminente colpo di Stato e di chi fu accusato di aver tentato di realizzarlo.

Partiamo dal contesto in cui il golpe sarebbe stato deciso. Un contesto di contrapposizione violenta tra Usa e Urss, che si combattono indirettamente, appoggiando rivoluzioni e controrivoluzioni in tutto il mondo: dalla Grecia a Cuba, dal Vietnam alla guerra arabo-israeliana. In Italia è presente il più forte partito comunista dell’Europa occidentale. Gli Usa temono che i comunisti un giorno prendano il potere, costituendo così un pericoloso precedente per i propri omologhi francesi e spagnoli. In questo clima, soprattutto dopo il colpo di Stato greco, la suggestione golpista attraversa senza ombra di dubbio vasti strati della nostra società: da settori neofascisti ad ambienti monarchici e democristiani, fino a reparti militari. Pino Rauti ha già spiegato l’innamo-ramento per i militari statunitensi, francesi e greci. Ora aggiunge:

In quel contesto storico e politico era per noi inevitabile cedere a suggestioni golpiste. Ma non avemmo comunque alcun rapporto con Borghese. Certo, ricordo che in un certo periodo si diffuse la voce che Borghese, figura leggendaria ai tempi della Rsi, con un passato missino, popolarissimo in tutta la destra, si stava dando da fare perché aveva in mente qualcosa. Io conoscevo Borghese. Ci andai a parlare e gli dissi che volevo saperne di più sul suo progetto. Per questo inviai da lui una delegazione di tre elementi, guidata da Clemente Graziani. La nostra delegazione frequentò il Fronte Nazionale e i suoi dirigenti per una set-timana. Quindi venne a riferire. Graziani mi delineò un quadro negativo. Mi disse: non si sa cosa ne può nascere, ma certamente è un progetto conservatore, dietro il quale ci potrebbero essere anche settori della Dc. A quel punto rompemmo i rapporti con Borghese, in maniera cortese ma ferma, dicendo che la cosa non ci interessava.

A conferma delle perplessità ordinoviste verso quel tentativo e, più in generale, verso un golpe militare nel nostro Paese, può essere utile conosce-re la posizione del Movimento Politico Ordine Nuovo, gli ultrà guidati da Graziani contrari al rientro nel Msi, che, nei «Documenti del Movimento Politico Ordine Nuovo» (aprile 1972), dopo aver professato una solidarietà d’ufficio verso Junio Valerio Borghese («Si sa bene come l’incriminazione del comandante Valerio Borghese e di altri cinque ex ufficiali sia il risultato di un’assurda e ridicola montatura commissionata da ben individuati ambienti politici, una montatura che ha suscitato ilarità e scherno da parte di tutta la stampa estera...»), scrivevano: «Ciò malgrado, influenzati evidentemente dal battage che la stampa antifascista è stata costretta a mettere su per dare credibilità al ‘golpe del principe nero’, non sono pochi coloro, tra le nostre stesse file che, ritenendo la cosa tecnicamente possibile, vedono proprio in un intervento golpista delle forze armate la soluzione ottimale di tutti i nostri problemi politici. A sostegno di questa tesi si porta avanti il colpo di Stato dei colonnelli greci, classificandolo, molto superficialmente, come un fatto nazionalrivoluzionario [...] Anche ammettendo, dicevamo, che in Italia sia tecnicamente possibile l’effettuazione di un colpo di Stato militare, resta sempre da esaminare se tale accadimento possa inquadrarsi in una logica rivoluzionaria. Sarebbe sufficiente, dunque, porsi il problema in questi termini per constatare immediatamente come il colpo di Stato militare sia sempre un fatto controrivoluzionario».

Torniamo al golpe Borghese. Questa la testimonianza di Stefano Delle Chiaie, accusato di aver guidato, la notte del golpe, un blitz dentro l’armeria del Viminale:

Certo, ero molto legato al comandante Borghese. La nostra amicizia risaliva alla fine degli anni Cinquanta, quando ero ancora in Ordine Nuovo. Il nostro gruppo, in accordo con il comandante, diede vita alle organizzazioni giovanili delle «fiamme bianche».1 Tutti noi in quel periodo confluimmo nella sede della Federazione Combattenti della Rsi, che si trovava a piazza Venezia, che era un po’ la «base» del comandante, nel cui ambito elaborammo una serie di iniziative politiche molto interessanti. Quando nacque il Fronte Nazionale, nel 1968, lo ritenemmo un momento di unità di tutte quelle forze antagoniste che esistevano nell’area neofa-scista e che non si riconoscevano nel Msi di Michelini. Non è vero, come sostengono molti, che Borghese si fece portatore di un progetto di tipo conservatore. Anzi, era un convinto sostenitore della partecipazione nel campo economico e produttivo. La verità è che si è trovato in un contesto storico in cui era inimmaginabile muoversi con l’appoggio soltanto dei «fedelissimi», ma in cui era necessario, direi giocoforza, aprire a un mon-do più vasto. Per cui, se è vero, come dicono, che lui voleva realizzare un intervento «tecnico», cioè un golpe, è evidente che questo fatto «tecnico» non poteva compiersi attraverso una formulazione precisa delle proprie intenzioni politiche. Del resto le trasformazioni e le rivoluzioni culturali e politiche non nascono durante gli eventi «tecnici», ma dopo che questi eventi si sono compiuti.

Insomma, per tradurre il linguaggio un po’ ermetico di Delle Chiaie, Borghese, per assicurarsi l’aiuto degli imprenditori, dei circoli conservatori e dei militari nella realizzazione del golpe, avrebbe «mascherato» il vero progetto politico che aveva in mente, presentandosi ai loro occhi non come un fascista rivoluzionario, ma semplicemente come un anticomunista e un uomo d’ordine.

Su una sua presunta partecipazione al golpe, Delle Chiaie si limita a dire:

Posso dire con assoluta certezza che nel dicembre 1970 ero da diversi mesi in «esilio» in Spagna. Non posso essere quindi stato presente a Roma in quei giorni. E anche vero che ciò non diminuirebbe la mia responsabilità morale e politica in relazione al golpe, se mai ce ne fu uno... In ogni caso vorrei smentire la tesi di chi sostiene che il «comandante» era vicino alla Cia e che quindi questo presunto golpe sarebbe stato attuato e poi sospeso per ordine degli americani. La verità è che la Cia da tempo aveva avvertito i nostri servizi segreti di tenere sotto controllo il Fronte Nazionale, proprio perché temeva azioni sovversive, altro che collaborazione. Così come è falso che Borghese ebbe rapporti con il ministero dell’Interno o con i servizi. È anzi vero il contrario: del resto, nel marzo 1971, dopo le indiscrezioni giornalistiche, il Viminale procedette subito all’arresto di persone implicate nel presunto golpe. Non vedo quindi dove fosse questa «collaborazione» o «protezione».

Insomma, il golpe Borghese resterà probabilmente uno dei tanti misteri della Repubblica. Ma è indubbio che in quei giorni anche negli ambienti missini si fosse al corrente dell’agitazione di Borghese. Ernesto De Marzio, all’epoca presidente dei deputati missini, rivela un episodio sconosciuto:

Nell’autunno 1970 ci incontrammo a cena io, Almirante, Borghese e un altro dirigente del Msi di cui preferisco non fare il nome. Il «comandante» ci disse: «I comunisti si stanno facendo sotto. Occorre fare qualcosa. Il partito è con me?» Almirante rispose: «Comandante, se parliamo di politica, e tu sei dei nostri, devi seguire le mie direttive, ma se il terreno si sposta sul campo militare, allora saremo noi ad attenerci alle tue indicazioni». Questo non significa che il Msi avesse aderito pienamente e organicamente al tentato golpe, è però indubbio che non potevamo ignorare quanto stava accadendo.

Che negli ambienti missini e non solo si parlasse del golpe liberamente, lo conferma anche Teodoro Buontempo:

Alla fine del 1970 ero già a capo del movimento giovanile della Capitale. E lo ero sul serio. Nel senso che avevo un autentico consenso da parte dei ragazzi e riuscivo così a captare tutto ciò che si muoveva nel nostro ambiente. Quando cominciai a vedere cose «strane», per esempio abboccamenti tra alcuni camerati e uomini delle forze dell’ordine, misi in allarme tutti i dirigenti giovanili, dicendo che stavano accadendo cose equivoche, e proposi a tutti di prendersi venti giorni di vacanza. Quel golpe, infatti, al di là della buona fede di qualcuno, non poteva essere sentito come qualcosa di nostro. Anzi, era un disegno per colpire la destra: si doveva coinvolgere qualcuno facendogli credere che era possibile fare il golpe, poi lo si fermava all’ultimo momento, infine si gridava al tentato colpo di Stato da parte della destra e la si reprimeva. Del resto le cose andarono esattamente così. Questo pericolo Almirante lo avvertì. Escluderei quindi che in quel golpe ci fosse un coinvolgimento del Msi. 
Probabilmente, come è naturale, Almirante stette alla finestra, per cercare di capire cosa stava succedendo. Ma torniamo alla mia esperienza personale. Qualche giorno prima della data indicata nell’ambiente come quella di un possibile golpe tornai in Abruzzo, nel mio paese natale. E ci tornai nella maniera più visibile: in pullman. Proprio per dimostrare a tutti la mia estraneità a cose che si stavano preparando e che non solo erano preoccupanti ma non appartenevano alla mia cultura. Ero convinto infatti che la nostra partecipazione a un golpe costituisse un colossale errore. Arrivai a Ortona a Mare intorno alle 16 del pomeriggio. Il pullman si fermò in piazza della Repubblica, la piazza principale, dove ci sono il municipio e il Bar Sport, allora frequentato dai militanti della sinistra, sia quelli del Psiup che quelli del Pci. Appena sceso dal pullman queste persone mi dissero: «A camera’, ma che cavolo ci fai qui? A Roma c’è il golpe e tu vieni a Ortona?» Ciò dimostra che del golpe ne parlavano tutti.

Anche Cesare Mantovani fornisce un ricordo analogo:

In quel periodo andavo a farmi i capelli da un barbiere che stava in via Quattro Fontane, vicino alla direzione del Msi. Ebbene il barbiere mi chiedeva: «A dotto’, allora lo famo ’sto golpe?» Sempre a questo proposito ricordo un altro episodio. Avvenuto diverso tempo prima. Ero in rotta con il partito dopo i fatti del ’68, diciamo pure che ero un «cane sciolto». Un giorno Orlandini, il braccio destro di Borghese, mi fece chiamare. Lo incontrai insieme ad altre persone dell’ambiente. Ci disse: «Il ‘comandante’ sta preparando l’insurrezione nazionale, ne faranno parte le ‘forze sane’ della nazione e delle forze armate». Quindi ci lesse il proclama che Bor-ghese avrebbe dovuto leggere agli italiani e ci disse che questo proclama sarebbe stato distribuito con dei volantini lanciati da aerei su tutto il territorio nazionale. Ci guardammo tutti in faccia: come può essere una cosa seria, ci dicemmo, un golpe che, invece di affidarsi alla radio o alla televisione, bombarda di volantini dal cielo una intera nazione? Capimmo che Borghese il golpe non sarebbe riuscito a realizzarlo mai. Dicemmo quindi a Orlandini di salutarci il «comandante» e di rifarsi vivo quando l’insurrezione nazionale sarebbe scoppiata...


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