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24 giugno 1982: i Nar all'assalto dell'Olp. No, solo un disarmo sbagliato



Sordi e i suoi boys preparano nuovi disarmamenti di poliziotti. Inizialmente il colpo è stato pensato insieme a Soderini e Belsito, ma il «Roscio», come viene chiamato Sordi, è un tipo fumantino, e un paio di giorni prima litiga con entrambi. Così chiama a raccolta i suoi ragazzi e chiede aiuto a Cavallini, che non si tira indietro.
La scelta ricade su una coppia di agenti in divisa che stazionano sempre in via Val di Cogne 22, zona Montesacro. I Nar non si preoccupano neppure di informarsi sul motivo per cui quegli agenti stiano lì, né di capire chi o cosa stiano presidiando. Sarà un errore fatale. Nel tardo pomeriggio del 24 giugno si parte: l’appuntamento è davanti al bar Motta di viale Libia. Su un Vespone 125, appena rubato, arrivano due boys scelti da Sordi per partecipare all’azione, una sorta di premio sul campo. Si tratta di Vittorio Spadavecchia e Pierfrancesco Vito. Poco dopo, su una Golf, arrivano Sordi e Cavallini. L’auto è quella che da mesi utilizza Roberto Nistri. Qualche giorno prima Zani, che in questo periodo è a Roma, gli ha chiesto di prestargliela. Nistri si è raccomandato: «Non usarla per qualche azione perché mezza Roma sa che la uso io». Zani lo rassicura, ma poi, quando Cavallini gliela chiede, non sa dirgli di no.
I quattro si scambiano i mezzi. Sordi e Cavallini montano sul Vespone, Vito e Spadavecchia sulla Golf. I due boys resteranno di copertura, mentre i due Nar disarmeranno gli agenti.
Arrivati davanti ai due poliziotti, Sordi, che è alla guida, rallenta, Cavallini scende e si avvicina agli agenti, mentre il «Roscio» prosegue per parcheggiare la Vespa. Poi raggiunge Cavallini.
Comincia l’azione. Sordi tira fuori una 357 Magnum e intima ai poliziotti di non muoversi. Ma questi hanno una reazione imprevista e si mettono a correre in due direzioni diverse. L’agente Antonio Galluzzo, purtroppo, va proprio verso Cavallini, che gli spara contro sei colpi, uccidendolo, mentre Sordi fa fuoco contro l’altro agente, Giuseppe Pillon, colpendolo al gluteo.
Ma non è finita. Perché, mentre Cavallini si impossessa dell’M12 di Galluzzo, dal bar di fronte si è subito affacciato un altro agente, Giuseppe Crisci, che aveva appena staccato ed era stato sostituito da Galluzzo. Crisci si rende immediatamente conto di quello che sta accadendo e spara contro Cavallini e Vito, che nel frattempo è sceso dalla Golf. L’agente spara dieci colpi, ma Cavallini gli risponde con l’M12 di Galluzzo e lui è costretto a ripararsi nel locale.
A questo punto accade un altro imprevisto. La postazione presidiata dagli agenti, infatti, è in realtà la sede diplomatica dell’Olp in Italia. Così, dagli uffici del primo piano, le guardie del corpo palestinesi si affacciano alle finestre e cominciano a sparare a loro volta contro i Nar. Vito punta l’M12 contro di loro e fa partire una raffica, mentre Sordi e Cavallini salgono sul Vespone e scappano. Intanto Spadavecchia, preso dal panico, si toglie i pantaloni restando in mutande e si mette a correre, senza agitarsi, spacciandosi per un passante che fa jogging. A quel punto, Vito rimonta sulla Golf e scappa via a sua volta. Ancora una volta un disarmamento è finito in tragedia.
Per di più con risvolti di politica internazionale, perché tutti – polizia, magistrati e giornalisti – crederanno che i Nar fossero a conoscenza del fatto che gli agenti presidiavano l’ambasciata dell’Olp e che quindi abbiano at-taccato questa postazione perché antipalestinesi e amici degli israeliani e dei falangisti libanesi, dai quali, peraltro, alcuni di loro, a cominciare da Sordi, si erano addestrati l’anno prima. Addirittura si ipotizzerà che i Nar volessero uccidere Nemer Hammad, l’uomo di Arafat a Roma, magari su incarico di mandanti internazionali...
E invece, come abbiamo visto, niente di tutto questo. Tanto che due giorni dopo i Nar saranno costretti a precisare, in una telefonata alla redazione milanese dell’Ansa:
Nella mattinata in cui vengono celebrati a Roma i funerali dell’agente Antonio Galluzzo, i Nar rivendicano ufficialmente l’attentato. Non vole-vamo assolutamente colpire il rappresentante dell’Olp. La vendetta per il camerata Vale continua.
Ma la Golf usata per l’azione, come temeva Nistri, è un segno troppo evidente per passare inosservato. Così la Digos fa due più due e i primi di luglio lo arresta insieme a Mario Zurlo. A casa gli trovano le chiavi della Golf. Ormai è in trappola. Per i Nar è un’altra mazzata.
FONTE: Nicola Rao, Il piombo e la celtica

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