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Sul 12 marzo e il '77 Sergio Calore dà i numeri

Sergio Calore, insieme all'altro pentito Aldo Tisei (morto d'overdose una ventina d'anni fa) sfugge alla cattura insieme a Concutelli per un pelo. Il comandante di Ordine nuovo clandestino ha fondati sospetti che sia stato proprio Calore a “venderlo” o a “mollarlo” – allontanandosi all’ultimo minuto da via dei Foraggi senza avvertirlo - e contesta la ricostruzione che Calore fa durante un processo, per avvalorare la tesi che era stato deciso di mollare il covo, diventato insicuro dopo l'arresto di un altro dei "vivandieri", Paolo Bianchi.

Calore su quella vicenda si gioca tutta la credibilità. Appena ne ha l’occasione ci prova a rilanciare e costruisce la storiella di un Concutelli scoppiato che si era lasciato catturare per stanchezza psicologica, rivelando però qualche problema di memoria, imprevedibile per chi aveva saputo fare proficuo mercato della capacità di “ricostruire” in grandi affreschi più di dieci anni di eversione nera.
La sua decisione di collaborare era stata una manna per i giudici, abituati alle scarne liste della spesa dei pentiti neri, banditi seriali: rapina, formazione del gruppo di fuoco, armi usate, bottino, via un altro; agguato, autori, complici, lui mi ha detto, quell'altro mi ha raccontato... Poco più che modesti contabili del crimine, gente che politica ne aveva fatta pochissima e aveva cominciato subito a menare le mani, o a sparare - questione di generazioni - ragazzi che avevano più confidenza con il salto del bancone che con le pagine di un libro. Calore, invece, era stato uno dei migliori quadri politici prima in Ordine nuovo clandestino e poi nella frazione dello spontaneismo armato che spingeva per l’oltrepassamento dell’esperienza fascista: anche avversari e nemici gli riconoscevano preparazione culturale e qualità intellettuali.
La prima volta che aveva provato a sporcarsi le mani con la critica delle armi, lo avevano beccato appena aveva fatto ammazzare un disgraziato per sbaglio. E quindi è bizzarro un grossolano infortunio, proprio sul suo terreno, collaborando come fonte diretta a un gruppo di ricerca sul vissuto dei terroristi. Un tale S.C. (dirigente ordinovista di Tivoli e attendente di Concutelli), racconta che “Lillo” era crollato psicologicamente e attendeva solo l'arresto.
La prova: “Concutelli era a via dei Foraggi, una stradina alle spalle del Campidoglio. A piazza Venezia (quindi a poca distanza) si svolgevano le manifestazioni dell’Autonomia. Passavamo di là mentre erano in corso gli scontri e dicevamo soltanto: “guarda che gente c’è qui; si rischia che un giorno o l’altro viene fatta un’azione poliziesca e ci arrestano”” . E aggiunge che, quando si viene a sapere del rilascio di Bianchi, erano nello studio dell' avvocato Arcangeli e lui aveva proposto di abbandonare il rifugio ma Concutelli aveva deciso di andarci a dormire lo stesso perché era stanco. Solo che la polizia irrompe a via dei Foraggi il 13 febbraio, e l'unica manifestazione violenta era stata, il 2 febbraio, la sparatoria sotto le finestre della Repubblica (ad alcuni chilometri da via dei Foraggi) tra due “autonomi” e una squadra speciale che aveva attaccato la coda di un corteo antifascista. Un banale errore di datazione, non verificato per sciatteria dal ricercatore (che non si prende neanche la briga di sfogliare una collezione di giornali e quindi sposta la manifestazione preinsurrezionale del 12 marzo, la cui “straordinaria bellezza ” è un topos nelle ricostruzioni del ’77 al 23 marzo)? Niente affatto. Perché intorno all'arresto di Concutelli, all'identità del traditore si gioca un’estenuante partita, che Calore combatte colpo su colpo per evitare di essere inchiodato al ruolo d’infame, per non vedere macchiata dal marchio di Giuda l'occasione che lo proietta, dopo anni di laboriosissimo cursus honorum, alla ribalta, non più grande spalla ma finalmente protagonista. Rivelando una formidabile improntitudine, nel corso della stessa intervista, afferma che l’assalto all’armeria di Ponte Sisto, durante gli scontri del “23 marzo"

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