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12 marzo 1980: quarantaquattro anni fa l'omicidio di Angelo Mancia



Angelo Mancia era un militante del Movimento Sociale Italiano, segretario della sezione Talenti che lavorava come fattorino al giornale del partito, il Secolo d’Italia. Il 12 marzo del 1980, quando aveva 27 anni, venne ucciso con sette colpi di pistola davanti al portone di casa, in via Federico Tozzi 10, nel quartiere Talenti a Roma.




I killer arrivarono in via Tozzi nella notte, a bordo di un pulmino Volkswagen di colore azzurro chiaro. Erano in due, armati di pistole calibro 7,65, con indosso camici bianchi, come quelli degli infermieri. Restarono nascosti dentro il pulmino fino al mattino, senza perdere di vista il portone del civico 10, in particolare il quarto piano. Nell’appartamento tenuto sotto controllo viveva la famiglia Mancia: il padre e la madre, titolari di un negozio di alimentari, e i tre figli.
Angelo era il primogenito, un ragazzone di otto anni più grande dei fratelli. Agli studi aveva preferito l’attivismo politico, nel partito di Almirante, frequentava la sezione di Talenti. Ogni giorno, in sella al suo motorino Garelli, recapitava le copie del Secolo d’Italia in Tribunale e in Procura. Quel 12 marzo Angelo Mancia si svegliò alle 7.30. I genitori erano al lavoro, i fratelli a scuola.
Alle 8.30 aprì il portone e si incamminò lungo il vialetto, verso il suo motorino. Dal pulmino saltarono fuori i due uomini coi camici bianchi e iniziarono a sparare. Mancia venne colpito. Tornò indietro, cercando rifugio nel portone di casa, muovendosi a fatica. Uno degli assassini lo raggiunse e gli sparò un ultimo colpo alla nuca. Nel frattempo arrivò una Mini Minor rossa, con alla guida un terzo complice che raccolse i due killer e si allontanò. Poche ore dopo l’agguato, alle 11.05, arrivò al quotidiano ‘La Repubblica’ una telefonata di rivendicazione: “Qui compagni organizzati in Volante Rossa abbiamo ucciso noi il boia Mancia. Siamo scesi da un pulmino posteggiato lì davanti".

Le recenti indagini sull'omicidio Verbano hanno visto il Ros dei carabinieri lavorare senza esito su una lunga sequenza di colpo su colpo a Roma Nord-Est, in cui l'omicidio di Verbano e di Mancia sono stati la drammatica conclusione. L'ipotesi era stata così raccontata da Carlo Bonini nel 2011.
Uno scenario "complottista" con un ruolo essenziale dei servizi segreti, pur nel collegamento tra i due delitti, era stato invece costruito da Sandro Provvisionato.


La testimonianza di Francesco Storace


Francesco Storace, in Cuori Neri, il libro di Luca Telese, edito da Sperling & Kupfer, che dal rogo di Primavalle alla morte di Ramelli rende onore e memoria a 21 delitti dimenticati degli anni di piombo che hanno avuto come vittime militanti di destra ci parla di Angelo Mancia.

Angelo non era uno che si può raccontare con le categorie di oggi. Era uno unico, diverso, un camerata che non aveva paura di nulla, ma non certo un insensibile. Ricordo come ieri l'ultima sera in cui ci andai a cena insieme, due o tre giorni prima che gli sparassero. Avevano ammazzato Verbano, e avevano già deciso che quello da far fuori era lui. La sezione era stata letteralmente ricoperta di scritte, insulti, minacce di morte, di cui la più tenera era qualcosa del tipo : MANCIA E' GIUNTA LA TUA ORA, TI AMMAZZEREMO COME UN CANE.

Io ero preoccupato davvero e gli dissi: ma che fai, ti proteggi? Stai attento? E lui: "mannò, non è niente. Io nun c'ho paura". Finché dopo due o tre bicchieri e dopo molte mie insistenze, invece di tranquillizzarmi, mi guardò con un sorriso, una strana luce negli occhi e mi fece: "ma tu che dici, Francé? Noi fascisti, quando moriamo dove annamo a finì? All'inferno o in paradiso?

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