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La morte di Di Nella. Quando Alemanno e Rampelli dissero no alla vendetta


Il 9 febbraio 1983, dopo una settimana di coma irreversibile, si spegne al Policlinico di Roma Paolo Di Nella. Due compagni lo avevano colpito violentemente alla nuca con un tondino di ferro, mentre una sera attaccava manifesti ambientalisti vicino casa, in viale Libia.
Vent’anni, militante del Fronte della Gioventù del quartiere Africano, Di Nella è uno storico attivista della federazione giovanile provinciale di via di Sommacampagna, che da un anno è guidata da un suo grande amico: Gianni Alemanno. Come per tanti, troppi morti degli anni di piombo (soprattutto di destra), il suo omicidio resterà impunito. Verranno indagati e arrestati alcuni autonomi della zona di Roma Nordest, che poco dopo saranno scarcerati per mancanza di prove.
Ma questo accadrà qualche mese dopo. A poche ore dalla morte di Paolo, scatta il vecchio animal spirit. I compagni hanno ricominciato, bisogna rispondere subito, dichiarano i più giovani e arrabbiati. Un nucleo «in sonno» di reduci degli anni di piombo si presenta ai dirigenti del Fronte: c’è Gianni Alemanno, c’è Fabio Rampelli (che da un paio di anni ha «rilevato» la guida del nucleo giovanile della storica sezione di Colle Oppio), ci sono altri camerati. «Siamo pronti», dicono. «Abbiamo già individuato uno dei compagni che potrebbe aver partecipato all’uccisione di Paolo. Lo faremo fuori.»
«No», urlano i dirigenti del Fronte, «ora basta. Basta con le vendette reciproche. Basta con la guerra per bande. Basta con nuove morti. Questa folle guerra finisce qui. Con la morte di Paolo.»
Il Nucleo operativo torna al suo letargo. Una nuova tragedia è stata evitata.
Ma la morte di Di Nella provocherà reazioni violente, non solo a Roma. A Trieste un gruppo di giovani di destra assalta a colpi di molotov la sede dell’Arci.
A Bologna alcuni camerati se la prendono con i cassonetti della spazzatura e ne incendiamo sette in diverse parti della città. Poi la rivendicazione: «Siamo i Nuclei sconvolti per la sovversione urbana e rivendichiamo l’incendio dei cassonetti per vendicare Paolo Di Nella».
Fin qui, niente di particolarmente grave.
Più pesante la situazione a Torino, dove alcuni neofascisti incendiano il circolo Arci di via Montevideo e poi, per rivendicare l’azione, rispolverano nientemeno che una sigla storica del terrorismo nero: «Qui Ordine Nero, rivendichiamo l’assalto all’Arci. Vendetta per il camerata Paolo Di Nella».
Restiamo a Torino e ascoltiamo sia l’allora segretario provinciale del Fronte, Nello Gatta, sia Beppe Franzo, anche lui militante storico della destra cittadina. Entrambi oggi si trovano in una sorta di «terra di nessuno», fuori dal Pdl, ma «distinti e distanti» anche dagli altri partiti e movimenti della galassia nera. Animano un centro, L’Araldo, che come il «cugino» romano Raido punta soprattutto sull’aspetto storico e culturale, prima ancora che su quello strettamente politico.
Ma torniamo con la memoria a quell’inizio del 1983. Franzo:
Comincio a fare politica l’anno prima, nel 1982. Ho diciassette anni e mi avvicino al Movimento di Iniziativa Tradizionale, composto da fuoriusciti del Fronte e da qualche reduce del Fronte Popolare di Riscossa Monarchica. Ma in quel periodo il vero collante della militanza di destra, qui a Torino, è lo stadio. Nascono, sia nella curva torinista sia in quella juventina, gruppi fortemente di destra.Io ne fondo uno, tra gli ultrà della Juve, gli Indians, che era rivale soprattutto di un gruppo omologo di fede granata: i Granata Korps, ancora fortemente legati, a differenza nostra, al Fronte della Gioventù. Gli Indians erano tanti. Soprattutto la domenica durante la partita. Ma la nostra militanza nel gruppo era totale. Parlo di noi venti-trenta «soci fondatori», diciamo. Vivevamo una dimensione comunitaria ed eravamo in dichiarata polemica con il Fronte guidato da Gatta. A riunirci è la morte di Paolo Di Nella. In quel momento la voglia di menare le mani e di vendicarlo prevale rispetto alle rivalità di piccolo cabotaggio. La tensione a Torino era già alta da mesi. Io ero stato aggredito un paio di volte poco tempo prima. Dal solito gruppo guidato da Steve Della Casa e che nel 1977 aveva assaltato l’Angelo Azzurro. 
Ma torniamo alla reazione per Di Nella. I due gruppi, gli Indians e il Fronte, si incontrano. Non io, perché i dirigenti del Fronte dicevano esplicitamente ai miei camerati: «Non vogliamo vedere Beppe Franzo».
I due gruppi decidono di ricordare Di Nella secondo la maniera classica. Sentiamo Gatta:
È sabato pomeriggio. Decidiamo delle azioni dimostrative. Facciamo una cosa a gatto selvaggio. Arriviamo in via Roma e operiamo un blocco volante delle auto. Poi un veloce volantinaggio. Quindi via, di corsa. 
Fin qui le reazioni «legali» e ufficiali. Ma quella sera il gruppo decide di vendicare Di Nella con le maniere forti.
Franzo:
All’Itis Grassi era in corso una manifestazione della Fgci contro la droga e la sera era previsto un concerto. Alcuni di noi erano già passati là davanti nel pomeriggio e avevano strappato i loro striscioni. Per la sera decidiamo il raid. Alle 22.30 arrivano in quindici, armati di mazze, spranghe e bastoni. Entrano nella palestra della scuola dove ci sono oltre un centinaio di compagni che stanno assistendo al concerto. E cominciano a picchiare all’impazzata: casse acustiche, strumenti musicali del palco e suppellettili vengono sfasciate. Ma qualcuno viene anche colpito alle braccia e in testa. Poi via di corsa, con tre auto che aspettano fuori. 
In meno di ventiquattr’ore vengono quasi tutti arrestati. A cominciare da Gatta e Franzo, passando per gli altri componenti del commando. In quindici finiscono al gabbio. Poi il processo per direttissima, e il 25 febbraio le condanne. Per un mas-simo di un anno e mezzo di carcere. Ma a tutti, essendo incensurati, viene concessa la condizionale, e così lasciano il carcere. Ormai la rottura tra il gruppo guidato da Gatta e la linea ufficiale del Msi è consumata. Per mesi, nella federazione provinciale di corso Francia, saranno presenti due realtà distinte e distanti, di fatto separate in casa. Fino al big bang finale.

FONTE: Nicola Rao, Il piombo e la celtica

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