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Rischia il carcere. Lady Golpe minaccia di lasciarsi morire

“Riaprite il mio processo o mi lascerò morire. Ho già pagato tanto le mie colpe, e in carcere non entro”. E’ l’appello disperato di Donatella Di Rosa, quasi 62 anni, 37 chili di peso a causa dell’anoressia, ma più conosciuta da tutti come Lady Golpe. Nel 1993, infatti, l’ex modella parlò di un presunto colpo di Stato progettato tra gli anni Ottanta e Novanta da alcuni militari, tra i quali l’allora suo marito, Aldo Michittu, colonnello della Folgore: dichiarò pubblicamente di aver partecipato ad alcune riunioni di alti ufficiali italiani finalizzate appunto all’organizzazione di un golpe. Un tocco di opera buffa nel fosco dramma della fine della Prima Repubblica tra stragi mafiose, retate giudiziarie e suicidi eccellenti. 
Di Rosa e il marito furono arrestati (23 giorni di carcere) e processati: le accuse di eversione non vennero mai dimostrate, ma rimasero quelle di calunnia, in particolare ai danni del comandante della Folgore, Franco Monticone, del quale Lady Golpe era diventata anche l’amante, estrocendogli qualcosa come 800 milioni. Tra le tante storie, partendo dalla vecchia relazione tra suo marito e la madre di Gianni Nardi, tirò in mezzo il sanbabilino morto in un incidente in Spagna nel 1976, indicandolo tra i protagonisti del progetto golpista 
Lady Golpe finì su tutti i giornali e in tv, scrisse un libro, posò mezza nuda su Playmen (due copertine in sei mesi), finì addirittura sul palco di un localaccio romano in cui credevano che si spogliasse e la trattarono malissimo quando rifiutò. Poi sparì, legandosi a un imprenditore toscano: "Lavoravamo insieme nel settore immobiliare, lavoravo 12 ore al giorno, ma io non dovevo figurare, usavo un altro nome. Così mi ha portato via tutto e un bel giorno ci ha messo in mezzo alla strada: io, mio figlio e il cane".
La donna venne condannata in tutto a 4 anni e 4 mesi. La pena non fu scontata, però, anche a causa della latitanza durata fino al 2015 quando, per un controllo sul figlio, venne rintracciata, arrestata e messa ai domiciliari.
“Ho fatto oltre 3 anni di detenzione domiciliare, ho avuto 2 ricoveri di un mese in ospedale- racconta Donatella Di Rosa all’agenzia Dire- Nonostante un residuo pena ridicolo non mi viene permesso di lavorare, e non posso ricevere le cure mediche-specialistiche necessarie al mio caso perché la struttura adatta non può ospitare persone in detenzione. Io ho una incompatibilità certificata al 100% con il regime carcerario, eppure ora mi vogliono portare in galera“. Questo perché Lady Golpe ha uno sfratto esecutivo (“Non potendo lavorare non ho neanche più potuto pagare la casa”), e per lei, in assenza di altri posti dove scontare i domiciliari, è stato disposto il carcere. Per quanto non si sa.
“C’è un mistero anche su questo- dice- A me risulta una pena residua di 7-8 mesi, ma secondo gli atti dovrebbe essere di 1 anno e 4 mesi. Ho già chiesto il riconteggio”. Comunque, lei dice che il portone di una casa circondariale non lo varcherà: “Sono libera di rifiutare una vita fatta di torture, umiliazioni, pressioni e quant’altro, e non permetterò né a un magistrato o poliziotto di uccidermi dentro una galera che non merito più: non ho più voglia di alimentarmi, peso 37 chili, e nessuno potrà obbligarmi. Perché dovrei lottare per sconfiggere l’anoressia e poi vivere così?”.
Lady Golpe si è affidata con una lettera all’avvocato Luca Di Carlo, celebre con lo pseudonimo ‘L’avvocato del Diavolo’, esperto in diritto penale e internazionale, noto per avere difeso Ilona Staller nel processo internazionale che l’ha vista opposta all’ex marito Jeff Koons. E’ a lui che adesso si appella: “La supplico, anche se dovessi morire domani- scrive in un documento inviatogli- faccia riaprire in qualche modo quel maledetto processo che mi ha condannata trasformando il tutto in uno strumento di distruzione, anche a distanza di 30 anni. Faccia istanza per la riapertura di tutto il processo”. Il primo passo del legale, comunque, sarà presentare una domanda di grazia. Forse già lunedì. “Poi dicono che in Italia non c’è la certezza della pena- conclude Donatella Di Rosa- Io sono invece l’esempio che la certezza della pena, e pure di più, c’è per chi vogliono”.

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