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Giacinto Reale: al funerale del Comandante Delle Chiaie per continuare a combattere la comune battaglia

Giacinto Reale, vecchio dirigente del Movimento Sociale Italiano a Bari, autore di interessanti saggi sullo squadrismo tra cui ricordo "Racconti Squadristi", se non ci conoscete, di cui consiglio una attenta e approfondita lettura, prezioso collaboratore di questo blog ha partecipato alla cerimonia funebre in onore di Stefano Delle Chiaie che si è svolta oggi a Roma.
In un lungo post pubblicato sulla sua pagina Facebook intitolato esserci non solo per testimoniare ma per "cameratismo" spiega il perché di questa sua presenza, nonostante fosse stato sempre e solo missino nelle sue varie declinazioni: il continuare a combattere la comune e buona battaglia politica. Post che pubblichiamo per intero.

ESSERCI, NON SOLO PER “TESTIMONIARE”, MA PER “CAMERATISMO” (e scusate la lunghezza)
1. PREMESSA
Non sono mai stato un aderente ad Avanguardia Nazionale, ma sempre e solo missino, nelle varie declinazioni (Giovane Italia e poi Fronte della Gioventù, FUAN, Raggruppamento Giovanile Studenti e Lavoratori, Partito).
Ho però sempre avuto un rapporto di considerazione con gli esponenti di Avanguardia che ho conosciuto a Bari (tra il 1966 e il 1976 diciamo). Credo ricambiato, come dimostra il fatto che, ad aprile del 1968, convocato da Giorgio “il Greco” (i baresi sanno di chi parlo) nella insolita location del sagrato della basilica di san Nicola (ma loro amavano queste cose un po’ “misteriose”), fui invitato –su mandato di Tonino Fiore- a partecipare al viaggio in Grecia –poi destinato a diventare famoso- dei quadri di quella Organizzazione.
Mi presi qualche ora per decidere, ma dovetti rinunciare, chè una prolungata –e ingiustificata- assenza avrebbe compromesso la mia posizione in famiglia (ero pur sempre un ragazzo “di casa”) già traballante per esami non dati all’Università, vita “sregolata” e qualche convocazione giudiziaria.
Il fatto, però, che l’invito fosse stato rivolato ad uno “scafesso” come me, mi è sempre fatto dubitare sui pretesi, sofisticati obiettivi “di infiltrazione e provocazione” di quel viaggio.
Cmq, dicevo, i rapporti con quelli di Avanguardia erano sostanzialmente buoni, e se una doglianza avevo nei loro confronti, era per la scarsa considerazione che dimostravano per la “praticaccia” di comizi, assemblee, attacchinaggi e giri in provincia che costituivano pane e companatico per noi missini.
Ce la cavavamo bene lo stesso, anche nelle occasioni più “critiche”, ma “insieme” eravamo veramente un blocco temibile, come dimostrò il combattivo corteo unitario (c’erano anche i “molesi”) che impedì a Trentin il comizio all’Università.
Forse, con minore “rigidità” da parte loro, avremmo potuto fare di più, e, soprattutto, con più costanza...
C’era anche, aldilà di questo “spicciolume”, qualche abbozzo di “ideologica” (parola, grossa) polemica. Borghese, Franco (e poi qualche epigono sudamericano) lasciavano perplesso il sottoscritto, forse incapace a valutare nei suoi giusti termini quella che era una lotta –veramente “mortale e mondiale”- per la sopravvivenza.
Sbagliavo, con l’ardore dei vent’anni e -lo ammetto- lo spirito di fazione che, sia pur mugugnando, mi avrebbe fatto accettare il sodalizio con i monarchici e le candidature di Miceli e Birindelli.
Intemperanze giovanili, che, cmq, dimostrano, che siamo stati “vivi e vitali”, in un mondo che ci voleva cloroformizzati.
2. FATTO
Dopo aver indugiato un po’ in questi ricordi, di primo pomeriggio sono andato al Verano per la cerimonia funebre di Stefano Delle Chiaie, pur consapevole di essere lì un “ospite”, ma comunque sicuro di essere un “camerata tra camerati”. E questo era ciò che contava...
Solo soletto, ho reso omaggio alla salma, senza platealità, e poi mi sono mischiato ai presenti, cercando volti conosciuti tanti anni fa (ripetendo qui l’errore che faccio ogni volta che vado a Bari: cerco i volti giovanili che ricordo, quasi per loro il tempo non sia passato) o diventatimi noti successivamente.
C’era davvero tanta gente, e di tutte le età.
Senza fatica, immaginavo i miei coetanei, o quasi, nelle nostre scarrellate sedi, con due sedie, un tavolo e un ritratto di Lenin a fare da sputacchiera, come nel primo Fascio fiorentino raccontato da Banchelli, sognare la Rivoluzione, promettersi eroismi, commuoversi ai racconti di storia “nostra”, come quando Angelo Apicella (che poi sarà dirigente di Avanguardia) venne alla Giovane Italia a raccontare a noi sedicenni della battaglia di Berlino...ed avevamo tutti gli occhi lucidi.
Anche oggi, al Verano, c’è stato un momento di particolare commozione, quando, nel Tempietto Egizio, Adriano, che è un fine intellettuale, ha intonato –da solo, perché così doveva essere- l’inno di Avanguardia, battendo il tacco nei momenti canonici, come l’ultimo degli attivisti.
3. CONCLUSIONI
Ho trascorso, insomma, qualche ora da “camerata tra i camerati”, perché ciò che ci fa “diversi” è proprio l’attaccamento che abbiamo a questa parola e la fierezza che proviamo nel pronunciarla, anche nel senso più ampio, come non ho remore a fare io.
Mi capita, per questo, di subire critiche, con riferimento a fatti della cronaca –anche recente- che non ho bisogno di citare, e perfino sul piano storico, quando parlo di personaggi come Carità, o, prima ancora, Dumini.
Perché io conosco la categoria dei “camerati che sbagliano”, ma in questa definizione l’aggettivo fa premio, fin quasi a vanificarlo, sul verbo.
Mai potrò giustificare il comportamento –raccontato da Costa, ma anche da altri- di Decumani, SS italiane, GNR che, in prigionia, chiedevano la separazione dai “politici” delle Brigate Nere.
Finchè avrò forza, la penserò così, e non tradirò chi, foss’anche solo per un periodo della sua vita, ha vissuto –e poi non rinnegato- gli stessi miei ideali e i miei stessi propositi.
Figuriamoci chi, magari anche con enfasi giovanile, ha fatto, a suo tempo, scelte di schieramento “parallele” e poi ha dimostrato, non di rado più e meglio di me, coerenza con quelle scelte, nella scia di un “combattente di razza” come Stefano delle Chiaie, che non può non restare esempio ...per tutti.
4. AMMAESTRAMENTI
Secondo lo stile espositivo al quale ho improntato queste righe, dovrei ora passare al punto finale, che le conclude e trae le deduzioni utili per l’avvenire.
Ma qui, oltre a quello della fedele coerenza a se stessi e ad un’idea, usque ad finem, ci sono pochi ammaestramenti da trarre...e poi, forse, per quel che mi riguarda, manca anche il tempo per porre in essere i comportamenti conseguenti.
Una cosa però voglio dirla: la presenza mia (e degli altri) oggi al Verano non voleva essere una “testimonianza” (che in sé ha un forte connotato di inutilità), ma una “manifestazione”, di volontà, che, nonostante l’anagrafe, non è ancora doma, e ha la stessa ostinazione dei vent’anni che furono, quando “uniti anche se separati” si combattè una comune battaglia. Il fine è quello di trasmettere ai giovani nuova linfa vitale, per dare una speranza a loro e agli altri, nel segno di una continuità che è la migliore garanzia.
Solo così, quando in tempi speriamo lontani e diversi, ci troveremo, separatamente, davanti a quel signore sulla nuvoletta, che deve decidere la nostra ultima destinazione, ognuno potrà dire, come lo squadrista di Gallian: “Eccomi, sono fascista, dove vado?”
E, dovunque sia, tra le fiamme o tra le beatitudini, saremo tutti insieme, “camerati” anche oltre la morte

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