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Giacinto Reale: tra saluti romani e finte diaspore della destra resto me stesso


Giacinto Reale vecchio dirigente del Movimento Sociale italiano, autore di interessanti saggi sullo squadrismo tra cui ricordo Racconti squadristi di cui consiglio una attenta ed approfondita lettura, editorialista di questo blog interviene su due avvenimenti relativi al mondo missino e post fascista accaduti negli ultimi giorni: la riapertura  della cripta Mussolini a Predappio domenica 28 luglio e la fine della diaspora della destra missina e post missina ritornata .unita sotto la guida di Giorgia Meloni.



Negli scorsi anni, alle canoniche ricorrenze del 28 aprile, 29 luglio e 28 ottobre, venivo ogni volta trascinato nelle polemiche facebookiste sul “folclore” dei raduni reducistici a Predappio.
La mia posizione, molto in controtendenza, era sostanzialmente assolutoria nei confronti di quanti si mettevano quel giorno in camicia nera (e magari anche qualcosa di più), e, di tasca loro, con commovente entusiasmo (“fede” non usa più) intraprendevano il viaggio, si schieravano sul piazzale a sentire padre Tam, e non riuscivano a nascondere qualche lacrima.
Fuori da questo discorso erano, evidentemente gli esibizionisti, e il mio pensiero andava piuttosto ai nipoti dei garibaldini in camicia rossa a Caprera, ai pronipoti napoleonici in divisa di grognard a Les invalides, e via discorrendo.
E, si badi bene, io sono uno che in vita sua –anche da ragazzo- la camicia nera l’ha messa pochissimo, di saluti romani ha fatto uso molto oculato, ed è stato sempre parco di “cameraterie” varie, proprio per il valore “sacrale” che ha sempre attribuito a tutto questo.
Avrà inciso anche il fatto di aver letto qualche libro, che, come tutti sanno, tarpa un po’ la “spontaneità”.
Non per questo, però, mi sono mai dato a giudizi “intellettualistici”, con la puzza sotto il naso di tanti, dell’ “area”, sempre col ditino pronto ad indicare al pubblico vituperio chi non la pensi come loro.
Il contadino di Minervino Murge (e io ne ho conosciuto veramente  uno) che il 27 ottobre salutava la famiglia, si metteva in camicia nera e prendeva il pullman, rinunciando a un mese di sigarette, l’ho sempre giudicato –comunque- più degno e più “camerata” del tastierista di FB.
E’ per questo che mi ha intristito leggere che, due giorni fa, davanti alla cripta di M, non so chi ha detto ai presenti, più o meno: “Camerati, a fare il saluto romano si rischia, lo faccia chi se la sente”....manco si trattasse di andare all’assalto di una trincea nemica “pugnal fra i denti e bombe a mano”.
Ma siamo matti ? Buttare così alle ortiche (peggio, nel secchio della spazzatura) tutto ciò che siamo stati e dovremmo essere? E   fascismo e postfascismo sono stati anche liturgie, canti, labari e ...saluti
Basta dirlo, e faccio il “democristiano di destra”.
E qui vengo al secondo motivo di “tristezza” odierna.
Dal 1994 non voto, e non ho alcuna simpatia per alcun partito oggi esistente (anzi, per qualcuno a trazione padana ho dichiarata antipatia), compreso quello meloniano.
Leggere oggi, nell’artico di Antonio Rapisarda sul  quotidiano Libero che “a destra è finita la diaspora” perché è stata trovata: “una causa (credo fosse “casa”, benedetto proto) a chi condivide la nostra visione del mondo”, e, a seguire trovare il nome, come neo inquilini meloniani –senza fare pelose analisi del DNA agli altri- di Raffaele Fitto, democristiano d’antan, erede (anche elettorale) di un democristiano di lungo corso...mi ha fatto rabbrividire.
Altro che “lasciare la casa del padre”. Il percorso iniziato a Fiuggi ha deviato per un viottolo che ormai va nel senso contrario.
Buon proseguimento del viaggio a chi   è rimasto. Io, come detto, sono sceso proprio nel 1994, e respiro più respirabili aure.
Anzi, ora che ci penso, la prossima volta che vado giù. Mi “allungo” a Minervino Murge e vado a trovare il vecchio camerata contadino. Lo saluterò romanamente (me la sento, me la sento....) e canteremo insieme una delle nostre vecchie canzoni

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