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19 maggio 1974, Brescia: salta in aria con l'ordigno che trasporta Silvio Ferrari

  La notte del 19 maggio 1974, a Brescia, salta in aria per l'esplosione di un ordigno che trasportava sulla sua vespa, Silvio Ferrari, militante della rete clandestina ordinovista. Alla sua morte e ai collegamenti ipotizzati con la successiva strage di Brescia ha dedicato un'approfondita inchiesta Nicola Rao. A partire dalla testimonianza di Andrea Arcai, il figlio del magistrato che sarà arrestato con l'accusa di concorso in strage.

La sera del 18 maggio convinco un mio amico che ha la macchina ad andare al lago, dove, oltre a Sofia [una giovanissima amica malata di leucemia, ndb], c’è anche la mia ragazza di quel periodo, Patrizia Motta. Lui dice: «Ok, andiamo». Arriviamo in villa e troviamo anche altri gruppi di ragazzi che avevano avuto la nostra stessa idea e vogliono salutare Sofia. Tra questi anche Nando e Silvio Ferrari, che erano molto amici. Prima decidiamo tutti di andare in un locale, ma è strapieno, allora torniamo in villa. Nel frattempo si è fatta mezzanotte. La mia sfiga di quel giorno è che mi perdo il ragazzo con cui ero andato in villa e mi ritrovo improvvisamente senza un passaggio per tornare a casa. Intanto l’atmosfera nella villa si è riscaldata. Cominciamo a cantare tutti insieme. Si parte con un classico del periodo: Battisti. E si finisce con le canzoni del Ventennio. E poi c’è sempre il solito cazzone che si mette a declamare i discorsi del Duce. Insomma, l’atmosfera è questa. Intanto il tempo passa. Si fa tardi. Sempre più tardi. I primi che si alzano per andare via sono proprio Nando e Silvio Ferrari, che sono arrivati qui con la Mini-Minor di Nando. Non ho molta confidenza con loro, perché sono più grandi. Ma non so come fare, così mi faccio coraggio e chiedo loro un passaggio per Brescia. Ma sì, mi dicono, non c’è problema. Vieni con noi. Ma prima, mi dice Nando, dobbiamo accompagnare a casa Silvio, che è ubriaco. Silvio si siede a fianco di Nando e io dietro. Nando guida veloce e Silvio è quasi senza forza. Completamente ciucco. Tanto che nelle curve oscilla pericolosamente e io, da dietro, gli tengo la testa ferma perché ormai non controlla più i movimenti... Per me è andato... Ma invece di accompagnare prima Silvio, Nando cambia idea e mi lascia giù per primo. Li saluto e vado a dormire...

L'esplosione nel cuore della notte
Risultati immagini per silvio ferrari bresciaNando accompagna a casa anche Silvio. Chiacchierano un po’, poi si salutano. Silvio arriva nella sua stanza e si stende sul letto. Vestito. Sono le 2 di notte del 19 maggio 1974. Un’ora dopo il centro della città è svegliato da un botto. Un botto forte e secco. C’è un metronotte, in piazza Mercato, che sente l’esplosione. Si volta verso la zona da cui proviene il rumore e vede del fumo e una Vespa incendiata. Si avvicina e scopre a qualche metro il cadavere di una persona, saltata in aria e dilaniata: Silvio Ferrari. La scena è raccapricciante per il corpo dilaniato del giovane, mentre la moto è spaccata in due tronconi che distano tra loro una quindicina di metri... Per terra è una pistola calibro 7,65 a tre metri dal cadavere, con il caricatore innestato e il colpo in canna, altro caricatore vuoto e cinque copie del giornale Anno Zero [nuovo nome di Ordine Nuovo, dopo lo scioglimento d’autorità del Movimento Politico Ordine Nuovo avvenuto nel novembre del ’73, N.d.A.]. 
Ecco come è avvenuta l’esplosione: il giovane era seduto sulla motoretta con i piedi per terra al momento dell’esplosione, con la mano sinistra che non doveva essere sulla manopola, dal momento che questa era stata investita in pieno mentre la mano era solo lacerata. L’ordigno era sulla pedana e tranciò gli arti inferiori, lasciando indenni i piedi che erano al di sotto della stessa, perché sul terreno. Il giovane aveva ingerito alcool. Sull’ordigno, la polizia precisa che trattatasi di sostanza esplosiva (tritolo ad alto punto di fusione) con innesco ad orologeria (sveglia tipo «europa» del 1968). Circa le cause dello scoppio, si asseriva che esso non era attribuibile a cause accidentali ma a un macroscopico errore di puntamento della sveglia e al fatto che il trasportatore non era a conoscenza dell’ora dello scoppio. Insomma, Ferrari torna a casa e si butta sul letto, vestito. Dopo un’ora esce, prende la Vespa del fratello Mauro e arriva in piazza del Mercato, dove salta in aria sulla bomba che trasportava. Torneremo sulla dinamica di questa strana morte. Ma facciamo prima un salto in avanti di due giorni e occupiamoci dei funerali del camerata Ferrari. 

I rapporti con Ordine Nuovo
Sentiamo ancora Andrea Arcai:
La mattina dopo scopro che Silvio è morto per l’esplosione di una bomba. Mi rendo conto di essere uno degli ultimi ad averlo visto vivo e lo dico a mio padre. Lui chiama subito il pm titolare delle indagini, che si chiamava Giannini, e gli riferisce la cosa. Ma è domenica e Giannini vuole andare alla partita. Morale della favola: verrò sentito dieci giorni dopo. Torniamo a Ferrari... Intanto, Silvio era un bombarolo, ma nessuno di noi lo sapeva. Forse Nando... Poi scopriamo che mentre a Brescia non è che avesse tutti questi rapporti, fuori dalla città aveva molto seguito. E ce ne accorgiamo il giorno dei suoi funerali, perché da Verona arriva un casino di gente. Con cortei di fiori e un’enorme corona a forma di ascia bipenne, il simbolo di Ordine Nuovo. Sono tutti inquadrati. Lo salutano romanamente all’uscita dalla chiesa. Poi decidono di spostarsi, per portare questa corona in piazza Mercato, dove è avvenuta l’esplosione. Ma la piazza è presidiata dai compagni. La polizia cerca di impedirlo e scoppiano incidenti. Insomma, uno che per me era uno dei tanti di destra di Brescia, in realtà metteva le bombe e dietro di lui aveva un casino di gente. Gente abituata allo scontro, come questi camerati che vengono dal Veneto...
Ecco riapparire i veneti, gli ambienti veneti di Ordine Nuovo. È un passaggio molto importante per ricostruire i rapporti di Silvio Ferrari. Ma non è l’unico: Il martedì 21 maggio hanno luogo i funerali, ai quali partecipano anche alcuni amici di Silvio che fanno pervenire una corona con la scritta i camerati di anno zero. Altri cinque giovani appartenenti al disciolto Ordine Nuovo giungono a Brescia, ma vengono sorpresi dalla polizia in possesso di armi e munizioni e arrestati. Tra gli arrestati anche gli ordinovisti veronesi Arianna Avogaro, Alberto Romanelli, Giuseppe De Filippi Venezia e Franco Francescon. Il giorno seguente, mercoledì 22 maggio, ha luogo presso il cimitero un rito funebre promosso dagli appartenenti al Fronte della Gioventù, presenti una quindicina di persone tra i quali Fernando Ferrari, Arturo Gussago [il miglior amico di Silvio, N.d.A.], Marco De Amici [un milanese della Fenice che studia in un collegio sul lago di Garda, N.d.A.], Livio Barucco, Giusy Marinoni, Maria Grazia Veschetti e Mario Labolani [...] La cerimonia comprese un minuto di raccoglimento con l’appello al camerata Silvio Ferrari e il gruppo che risponde «Presente!» con il saluto romano. Poi un breve discorso di Nando Ferrari che, secondo la Marinoni, espresse propositi di vendetta, peraltro decisamente negati dal Ferrari medesimo. Il giorno ancora successivo, giovedì 23 maggio, il comitato antifascista, i partiti di centro e di sinistra e i sindacati indicono per martedì 28 maggio una grande manifestazione contro il terrorismo e contro il fascismo. Che si terrà in mattinata in piazza della Loggia, in pieno centro. 
Subito dopo l’incidente la polizia cerca di capire cosa possa essere successo a Silvio Ferrari. Vengono interrogati parenti, amici e camerati; il 19 maggio gli agenti dell’Ufficio politico della Questura compiono una perquisizione a casa sua ma non trovano niente. Ci tornano i carabinieri venti giorni più tardi e scoprono, nascosta in un armadio del seminterrato, una busta con un candelotto di esplosivo e mezzo chilo di tritolo a saponette, insieme a un pezzo di miccia. Negligenza della polizia? Bravura dei carabinieri? O semplicemente qualcuno, cercando di sbarazzarsi dell’esplosivo, lo ha nascosto tra la prima e la seconda perquisizione in casa Ferrari? Ma vediamo cosa salta fuori dagli interrogatori degli amici e dei camerati di Silvio. Ovviamente il primo a essere interrogato è Nando, l’ultimo che lo ha visto vivo. L’amico ricostruisce la serata a casa della giovane Sofia Chizzolini, poi dice qualcosa di interessante. 

Gli interrogatori di Nando Ferrari
Ai magistrati che gli chiedono dove pensa che Silvio possa aver recuperato la bomba, Nando risponde così:
Al mattino del 19 seppe per telefono dall’amica Patrizia Truzzi della disgrazia e pensò che lo stato di leggera ebbrezza e la poca esperienza di guida (la motovespa era del fratello Mauro) avevano provocato una caduta e lo scoppio dell’ordigno. Fernando Ferrari non sapeva donde provenisse l’ordigno, ma pensava che Silvio l’avesse procurato a Milano, ove saltuariamente si recava. 
Due giorni dopo, in un nuovo interrogatorio, Nando aggiunge altri elementi: 
Aggiungeva che Silvio aveva subito in collegio, a Salò, l’influenza di chi lo spinse verso l’estremismo di destra, mostrando passione ed esperienza con le armi. Silvio gli aveva anche confidato che a Milano aveva contatti con appartenenti al gruppo di piazza San Babila, che era «gente in gamba». Tra questi aveva conosciuto tale «Marco» [De Amici? N.d.A.] e anche Nico Azzi, Giancarlo Rognoni e altri.
Insomma, Silvio a Brescia non sarà stato un elemento di primo piano, come assicura Andrea Arcai, ma fuori città era ben introdotto. Con gli ordinovisti veneti e con quelli milanesi della Fenice. Proprio i due gruppi sospettati della strage di piazza Fontana... Sentiamo ancora Nando Ferrari:
Piuttosto caricato e proiettato verso la rivoluzione, Silvio gli era parso da qualche tempo, dal marzo, alquanto calmo e non più propenso all’azione. Aveva anche iniziato a lavorare col padre, lasciando l’università di Parma, dove era iscritto a Farmacia. Gli aveva confidato anche di aver lanciato una molotov contro il corteo in favore dell’anarchico Marini. Nelle successive dichiarazioni, però, Nando riferiva al giudice istruttore un altro particolare: la notte del 19, quando rientrarono dalla villa Chizzolini, Silvio gli confidò che aveva del tritolo in casa del quale voleva disfarsi, trattandosi di esplosivo «confezionato», e domandò se la sede bresciana del Corriere della Sera era un buon obiettivo. Nando aveva obiettato che era troppo al centro della città e vi era pericolo di incontrare dei metronotte. Silvio aveva risposto che avrebbe atteso fino alle 4 della notte, quando non passava nessuno. Che aveva fatto altri attentati alla sede del Psi, alla Cisl (solo deposto l’ordigno) e che gli aveva fatto capire di aver commesso anche l’attentato alla Coop. Avrebbe effettuato peraltro l’attentato che aveva in mente solo se – rientrato in casa – si fosse sentito meglio nel giro di qualche ora.


Tante domande, nessuna risposta
Da queste rivelazioni a puntate, è evidente che Nando Ferrari sa più di quel che vuol mostrare. E non è credibile che l’amico, ubriaco e barcollante, possa aver raccontato tutte queste cose proprio la sera prima di morire, in quei dieci minuti di colloquio precario in macchina. Probabilmente Silvio si era confidato ben prima di quella sera con l’amico e camerata Nando, che verrà inguaiato da altre testimonianze. Come quella della cameriera della tavernetta che lui e Silvio frequentavano spesso: Ombretta Giacomazzi, che accuserà Nando ed Ermanno Buzzi (un ricettatore, trafficante di quadri rubati, che ha tatuate sul braccio le rune delle SS) di aver volutamente ucciso Silvio, modificando l’ora dello scoppio della bomba, per liberarsi di un testimone «scomodo». O come quella di un ragazzo presente quella sera a Villa Chizzolini che, più semplicemente (e più realisticamente), confesserà che Nando e Silvio avevano confezionato insieme la bomba, che l’esplosivo lo aveva portato Silvio da Milano e che insieme avevano deciso di far saltare la sede del Corriere. Ma al di là del coinvolgimento di Nando Ferrari nel maldestro attentato al Corriere che costerà la vita a Silvio, le domande da porsi sono altre, visto che proprio da questo episodio nascerà la decisione di indire la manifestazione del 28 in piazza della Loggia e visto che tutti legano in maniera indissolubile questi due fatti. E cioè: che tipo di rapporti aveva Silvio Ferrari con gli ambienti veneti e milanesi? Chi gli forniva l’esplosivo? Perché decise di far esplodere la bomba davanti alla sede del Corsera, nonostante fosse ubriaco? Forse perché l’ordigno era già stato innescato, magari nel tardo pomeriggio prima di andare a villa Chizzolini, e non sapeva come disinnescarlo? O forse il suo stato di ubriachezza lo portò a confondere o a non ricordare l’ora esatta dell’innesco? O qualcuno volutamente glielo comunicò sbagliato? Tutte domande destinate a restare senza risposta.
FONTE: Nicola Rao, Il sangue e la celtica

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