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7 aprile 1973: la bomba sul treno e l'arresto di Nico Azzi

loi,-azzi,-murelli

Veniamo, dunque, al fatidico 7 aprile 1973, in cui il sanbabilino Nico Azzi, numero due della Fenice, si fa cogliere con le mani nel sacco. Il treno è il DD 603, da Torino a Roma. Alle 11.30 ha appena lasciato la stazione di Genova-Brignole, direzione Nervi. Nella carrozza numero 5 si sente un’esplosione. Dalla toilette esce del fumo, tanto fumo. Ma esce anche una persona: un giovane, annerito e insanguinato, che corre verso la carrozza ristorante e chiede dell’acqua. Dice di essersi fatto male mentre cercava di salire sul treno in corsa. I bigliettai lo invitano a scendere alla fermata seguente per farsi medicare, ma lui nicchia, dice che deve arrivare fino a Santa Margherita Ligure dove lo aspetta la madre. Nel frattempo, però, la situazione si fa più chiara; così, appena arrivato a Santa Margherita, il giovane viene arrestato dalla polizia, che lo identifica e scopre il suo nome: si chiama Nico Azzi, è di Milano e ha ventidue anni. Lo ricoverano in ospedale, in stato di arresto. È ferito alla mano destra, all’avambraccio sinistro e alla parte interna di entrambe le cosce. La polizia entra nel bagno dove è avvenuta l’esplosione. Ed ecco cosa trova: Spezzoni di filo di rame, ricoperto di plastica, un rottame di alluminio «sfrangiato», un frammento di fascetta per filo elettrico, frammenti di tritolo (2 grammi), un pannello di ottone per regolazione di lancette di orologio, frammenti di nastro adesivo e di stoffa scura.

I MATERIALI LANCIATI DAL TRENO Gli agenti ripercorrono il tragitto del treno anche da terra e scoprono nel tratto tra il chilometro 3,850 e il chilometro 4,5 (dopo la stazione di Genova-Brignole) frammenti di due «saponette» scheggiate di tritolo, per un peso complessivo di kg 0,900, di una pila elettrica piatta da volt 4,5, di un orologio a sveglia «Blessing» (mancante del pannello di blocco della soneria, del pannello a incastro per la regolazione delle lancette e di una lancetta), con un filo di rame legato al manico, un piccolo perno in metallo, penetrante nel vetro di protezione all’altezza della quinta ora e fissato nel quadrante con nastro adesivo. Al chilometro 4,500 veniva altresì rinvenuta una borsa di plastica nera, sporca di sangue, contenente un rotolo di nastro adesivo simile a quello usato sulla sveglia, un fazzoletto, pezzi di spago e foglietti di carta bianca. Un secondo sopralluogo (eseguito il 13 aprile su segnalazione di uno sconosciuto) portava successivamente al rinvenimento, sulla medesima strada ferrata, in corrispondenza della parte terminale, a levante, del marciapiede numero 4 della stazione Genova Brignole (binario n. 9) di un detonatore, pieno di esplosivo e collegato con micro-lampada allacciata con fili elettrici e di pezzi di nastro adesivo.
Insomma, Azzi, dopo essersi ferito nel maldestro tentativo di collocare la bomba nel bagno del treno, per salvare il salvabile ha buttato dal finestrino tutto quel che ha potuto, a cominciare dalla saponetta di quasi un chilo di tritolo.

LE ACCUSE DI ZANI (...) Azzi, nei suoi incontri carcerari, come abbiamo visto, attribuisce a Rognoni un ruolo di «basista» nella strage di piazza Fontana e dice chiaramente ai magistrati (come Marzorati e De Min, del resto) che l’attentato al treno Torino-Roma, dimostrativo o reale che fosse, doveva essere attribuito all’estrema sinistra. Ritorna dunque la linea degli anni precedenti, tutta concentrata ad alleggerire la posizione della cellula veneta nell’inchiesta su piazza Fontana. Anche perché Azzi fece un’altra confessione a Fabrizio Zani, che non ne aveva mai parlato prima. Ecco cosa mi ha detto Zani: 
Nico mi rivela – siamo sempre a San Vittore, sempre intorno al ’75 – che l’attentato del 7 aprile 1973 è organizzato in stretta collaborazione con il capitano Labruna. Lui lo scopre perquisendo di nascosto la giacca di Labruna, a casa di Rognoni, che glielo presenta come un «camerata di Roma». Vede il suo tesserino da ufficiale dei carabinieri, ne parla a Rognoni che lo tranquillizza: è dei nostri, assicura. Nonostante questa scoperta e nonostante Nico non fosse certo un sanguinario, non fa una piega quando riceve l’ordine, per così dire, di servizio. E tranquillamente innesca la bomba. Lui mi assicura che all’ultimo momento ha pensato: «Ma cosa sto facendo?» e che decide di strappare i fili. Per questo il detonatore gli sarebbe scoppiato tra le gambe. 
IL RUOLO DI LABRUNA - La rivelazione di Zani è molto importante. Se fosse vero che dietro l’attentato del 7 aprile c’era Labruna, questo significherebbe una sola cosa: che in quella primavera del 1973 è ancora in corso il tentativo del Sid di salvare Ventura e, con Ventura, Giannettini. E che l’accusa di stragismo rivolta all’ultrasinistra fa parte di questo piano, per mostrare che i magistrati milanesi che accusano la cellula veneta si sbagliano e che le stragi le fanno i compagni e non i fascisti. Tra l’altro, stando sempre alle rivelazioni fatte da Azzi a Bonazzi e Zani, Rognoni sarebbe personalmente interessato a questo depistaggio, visto il suo coinvolgimento negli attentati del 12 dicembre. Facendo sempre delle ipotesi, potremmo anche immaginare altro. E cioè che, una volta fallito il tentativo di accollare alla sinistra la bomba sul treno del 7 aprile, il Sid capisce che ormai Ventura non ha più nessun motivo per non «cantare» e che da un momento all’altro potrebbe fare il nome di Giannettini, sperando di salvarsi. E allora due giorni dopo, il 9 aprile, fa espatriare Giannettini alla volta di Parigi.

FONTE: Nicola Rao, Il sangue e la celtica

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