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30 marzo 1979: chi ha sparato alle gambe del compagno Ugolini?

Valerio Verbano non è una prima volta per i suoi assassini. Avevano sparato per uccidere undici mesi prima, la mattina del 30 marzo del 1979. Almeno di questo è convinto chi oggi si è rimesso a indagare. In una casa al civico 12 di via Valpolicella (nemmeno due chilometri in linea d'aria dall'abitazione di Verbano), dove cercavano Roberto Ugolini, altro militante della sinistra extraparlamentare. Anche quel giorno erano in tre. Anche quel giorno si fecero aprire la porta di casa dalla madre del ragazzo presentandosi come amici del figlio. Roberto Ugolini fu rapido a comprendere e a sottrarsi all'esecuzione. Uno dei tre fece fuoco riuscendo a colpirlo soltanto alle gambe. Erano a volto scoperto e loro descrizioni sono sovrapponibili a quelle degli assassini di Verbano. Un dettaglio, una ricorrenza. Sfuggito allora. E che ora potrebbe diventare cruciale.  
Così Carlo Bonini, in un articolo di la Repubblica, nel febbraio 2011, sulla riapertura delle indagini sull'omicidio di Valerio Verbano. La tesi più diffusa sull'episodio ne attribuisce la responsabilità alla struttura illegale di Terza Posizione (tesi da me condivisa).

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Il Nucleo operativo di Terza Posizione, sotto la guida di Roberto Nistri, entra in azione la prima volta nel marzo 1979. Nel quartiere Trieste opera il nucleo più numeroso di Tp: il Comitato Rivoluzionario Quartiere Trieste, guidato da un enfant prodige del movimento: il diciassettenne Fabrizio Mottironi, figlio di un giornalista reduce della Rsi e fascista «di sinistra». Mottironi, detto «il Roscio», imprimerà una forte collocazione sociale e popolare al suo nucleo, entrando in rotta di collisione con i compagni che vengono soprattutto da Montesacro e da San Basilio. Danno fastidio sia la forza numerica di Tp sia i suoi slogan, considerati «terceristi» e terzaforzisti, giudicati dall’estrema sinistra provocatori e ambigui. Terreno di numerose scazzottate, il liceo classico del quartiere: il Giulio Cesare. Ma una notte di marzo i compagni alzano il tiro e mettono una bomba sul pianerottolo dell’appartamento della famiglia Mottironi. Solo per caso non ci scappa il morto. 
Il Nucleo operativo del movimento conduce una veloce controinchiesta per scoprire i responsabili dell’attentato ed è certo di averne individuato uno. Si chiama Roberto Ugolini, ex militante del collettivo di Lotta Continua di Roma Est. Anche lui, come Mottironi, figlio di un giornalista: un redattore di Paese Sera. Il commando del Nucleo entra in azione alle 9.30 del mattino del 30 marzo. In tre suonano alla porta di casa di Ugolini. Apre la madre, loro si presentano come amici del figlio e le chiedono se Roberto è in casa. La signora, ignara di tutto, risponde di sì e lo chiama. Ma appena il giovane si presenta, in due gli scaricano sulle gambe cinque colpi di pistola, poi la fuga. 
La scarna rivendicazione arriva di sera, con una telefonata al Messaggero: 
Stamane, alle ore 9.30, è stato punito Roberto Ugolini. Siamo il commando di Lotta e Vittoria. Roberto indossava un maglione nero a collo alto e la madre una vestaglia a fiori. Commando Lotta e Vittoria. 
[Dottrina aria di lotta e vittoria è lo smilzo volumetto pubblicato in quegli anni dalle Edizioni Ar con il testo di una conferenza di Julius Evola sulla visione tradizionale dell'arte della guerra, ndb] 

Stessa ora, altra telefonata, stavolta al centralino dell’altro quotidiano romano, Il Tempo: 
È un comunicato. 
Dunque, stamani alle 9.30 abbiamo punito Roberto Ugolini, organizzatore di violente aggressioni negli ultimi periodi nei confronti di studenti rivoluzionari. Firmato: Commando di Lotta e Vittoria. 
Non se ne saprà nulla, fino a quando Valerio Fioravanti, nel suo contestatissimo percorso di ricostruzione della violenza nera a Roma, parlando con i magistrati padovani subito dopo essere stato ferito e catturato, il 10 febbraio 1981, dirà: 
La prima azione illegale di Tp fu [...] costituita dall’azzoppamento di un compagno nel quartiere Talenti o in quello di Montesacro a Roma. Era aprile del ’78 o forse del ’79 [...] Non so chi materialmente eseguì l’attentato che venne rivendicato con la sigla «asce della Vandea» o qualcosa di simile.
Undici giorni più tardi Fioravanti tornerà sull’episodio, aggiungendo: 
L’attentato a Talenti, per quanto io ho capito parlandone nell’ambiente di Tp e leggendo le cronache dei giornali, era la risposta che Tp fu costretta a dare sul piano militare ad una serie di attentati perpetrati dai compagni contro suoi numerosi aderenti. 
Ma a entrare nel dettaglio sarà un altro ex di Tp finito male: Walter Sordi. Tra gli ultimi killer dei Nar, prima di essere arrestato nel settembre ’82 e diventare il principale pentito nella storia dello spontaneismo armato. Ecco cosa dirà l’11 ottobre 1982 al giudice istruttore romano: 
Mi risulta che da parte di elementi di Tp venne compiuto il ferimento di un giovane di sinistra, figlio di un giornalista di Paese Sera, certo Ugolini. A seguito dell’attentato subito da Fabrizio Mottironi nella cui casa, innanzi alla soglia, venne collocata una bomba. Si pensò di fare un’azione analoga ai danni di Ugolini, che veniva sospettato di far parte dei Nuclei per il Contropotere Territoriale e quindi, in qualche modo, collegato all’azione di cui si tratta. Per certo so che fu Francesco Buffa a dire che bisognava attaccare Ugolini. A compiere l’attentato furono Vale, Roberto Nistri e Claudio Lombardi, mentre Nanni De Angelis aspettava di sotto. 
Nei successivi interrogatori Sordi confermerà le sue accuse, precisando che a sparare materialmente furono Nistri e Vale. Nistri ha sempre respinto queste accuse e alla fine la Corte d’Assise dichiarerà comunque il non doversi procedere per lui e altri dirigenti del movimento relativamente all’accusa di lesioni volontarie aggravate, perché il reato era ormai prescritto dall’amnistia del 1981. 

FONTE: Nicola Rao, Il piombo e la celtica

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