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Riciclaggio, chiesto il rinvio a giudizio per Gianfranco Fini, i Tulliani e Corallo

La Procura della Repubblica di Roma ha chiesto il rinvio a giudizio per l'ex presidente della Camera dei deputati, nonché ultimo presidente di Alleanza Nazionale Gianfranco Fini, la sua compagna Elisabetta Tulliani, con il fratello Giancarlo ed il padre Sergio: rischiano tutti di finire sotto processo per riciclaggio.Oltre all'ex leader della destra di governo che fu ed ai membri della famiglia Tulliani, il pubblico ministero Sargenti ha chiesto il processo pure per 
l'imprenditore catanese del settore delle slot Francesco Corallo. 
I fatti oggetto di indagine risalgono al lontano 2008 e nel fascicolo si parla di un giro di riciclaggio di oltre 7 milioni di euro.
 A tanto ammontano, secondo gli inquirenti, i profitti illeciti accumulati da Sergio e Giancarlo Tulliani, insieme alla moglie dell’ex presidente della Camera. 

I Tulliani dopo aver ricevuto, attraverso le loro società offshore, enormi trasferimenti di denaro disposti da Francesco Corallo, privi di qualsiasi causale o giustificati con documenti contrattuali fittizi, avrebbero trasferito e occultato, con frazionamenti e movimentazioni ad hoc, il profitto illecito dell’associazione utilizzando conti accesi in Italia e all’estero.
Il procedimento nasce nell’ambito di una inchiesta della Dda capitolina proprio sugli affari di Corallo che il 13 dicembre del 2016 aveva portato all’arresto dell’imprenditore e di Giancarlo Tulliani, il cognato di Fini (attualmente libero su cauzione a Dubai). Dieci le persone coinvolte nella vicenda, tra cui anche l’ex parlamentare Amedeo Labocetta, storico sodale di Gianfranco Fini.


 Secondo la Procura di Roma l’organizzazione di Corallo&co riciclava in tutto il mondo i proventi del mancato pagamento delle imposte sul gioco on-line e sulle video-lottery. I soldi, oggetto di riciclaggio, una volta depurati, secondo chi indaga sarebbero stati impiegati da Francesco Corallo in attività economiche e finanziarie, in acquisizioni immobiliari, e destinati anche ai membri della famiglia Tulliani.
È negli atti dell’inchiesta che venne svelata anche la storia della casa di Montecarlo, che nel 2010 creò non pochi imbarazzi a Fini che interpellato all’epoca  dai principali quotidiani italiani aveva dichiarato di essere “un coglione, ma non un corrotto”. 

La vicenda nasce nel  lontano 2008 quando l’immobile di boulevard Princesse Charlotte, 14, di proprietà del partito Alleanza Nazionale (lo aveva ricevuto come donazione dalla contessa Annamaria Colleoni) viene venduto alla offshore Printemps, società che – si leggeva nell’ordinanza – è “riconducibile a Giancarlo Tulliani, che ha abitato nell’appartamento in questione e ha lì trasferito la sua residenza il primo gennaio 2009.
Tulliani, del resto, risulta iscritto all’Aire-Ambasciata d’Italia Monaco, proprio dal primo gennaio 2009, con l’indirizzo “BD Princesse Charlotte 14 – Montecarlo(Principato di Monaco)”.
 Pochi mesi dopo, l’immobile viene nuovamente venduto, dalla Printemps alla società caraibica Timara: “Il prezzo di quest’ultima compravendita veniva fissato in 330mila euro (330mila euro e costi di 30.100), vale a dire proprio la cifra bonificata dal conto caraibico di Corallo”.

 Già anni fa la procura di Roma aveva indagato sul prezzo della vendita tra An e e Printemps, archiviando il fascicolo. In questa vecchia indagine c’è anche una nota dell’allora Ministro degli Affari Esteri, Franco Frattini, indirizzata al Procuratore di Roma, “con la quale veniva trasmessa una missiva del Primo Ministro di Saint Lucia (EE) King Stephenson, datata 2010, nella quale, il Primo Ministro affermava che Tulliani Giancarlo era il titolare effettivo delle società Printemps Ltd, Timara Ltd e Jaman Directors Ltd”. La stessa lettera poi è stata ritrovata nell’ufficio di Corallo nella sede dell’Atlantis Casino, a Sint. Maarten, durante una perquisizione.
Una storia che aveva convinto il gip a firmare, lo scorso maggio, anche un provvedimento di sequestro nei confronti di Fini inquadrandolo non come vittima di una manovra ai suoi danni, ma consapevole di chi fosse Francesco Corallo “titolare di un’impresa eminentemente criminale”. Anzi: nella vicenda Fini avrebbe avuto una “centralità progettuale e decisionale”.

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