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Pierluigi Arcidiacono ci racconta l'epopea dei sanbabilini

Venerdì 12 gennaio con inizio alle ore 18,30 presso lo Spazio Ritter verrà presentato il nuovo libro di Pierluigi Arcidiacono intitolato Sanbabilini, letture, storie e ricordi edito da Settimo Sigillo. 

A dialogo con l'autore ci saranno Marco Battara e Maurizio Murelli.
Poche ore prima della presentazione del libro intervisto Pierluigi Arcidiacono al quale pongo alcune domande su cosa è stato realmente il fenomeno di piazza San Babila a Milano ed i suoi giovani militanti denominati con l'appellativo sanbabilini.



1) Quando comincia la storia di San Babila? Chi erano i primi sanbabilini?
San Babila è come se nascesse due volte: una prima volta quando nel 1967 viene aperta in corso Monforte – strada che sbuca proprio in piazza San Babila – una sede della Giovane Italia; lì si raduno i giovani fascisti davvero spavaldi e goliardici (cantano canzoni fasciste, indossano le camicie nere...). La violenza, però, cresce in città – dilaga – e le organizzazioni comuniste (specialmente quelle extra-parlamentari come il Movimento Studentesco), piano piano, si impossessano di scuole e università. Allora, quasi spontanea, nasce la decisione di “difendere il territorio”: a San Babila e nelle vie limitrofe i “rossi” (i “cinesi” come li chiamavano allora) non possono circolare. Purtroppo nel 1970 i Dirigenti del Movimento Sociale Italiano decidono di chiudere quella sede; anche perché non riescono a controllare quei ragazzi, ormai cresciuti. Così come cresciuta è la violenza. La maggior parte dei giovani segue il partito nella sede di via Mancini, ma alcuni decidono di non andare via dalla propria Piazza. Ci sono addirittura dei comunicati alla Questura dove è scritto: Giovane Italia, sede provvisoria Portici di corso Monforte. Il termine “sanbabilini” nasce nel 1973, lo utilizza un giornalista de “IL GIORNO”, prima nessuno li aveva mai chiamati così. Quindi direi che, se proprio dobbiamo scegliere: i “primi” sono stati i ragazzi di corso Monforte della Giovane Italia, ma i “veri” quelli di loro che si sono fermati in Piazza dopo la ciusura della sede.

2) Quando piazza San Babila diventa la trincea nera?
Difficile identificare una data o un periodo preciso, ma possiamo affermare che tra il 1969 e il 1973 questa idea era ben affermata. Nel 1973 ci sarà la sparatoria davanti all’Harry’s Bar, in corso Europa, dove una dozzina di Sanbabilini; di cui alcuni armati di pistola (ma solo tre spareranno) ricacceranno indietro un attacco di “compagni” proveniente dall’Università Statale di una migliaio di attivisti...

3) Quali erano i requisiti necessari e sufficienti per essere sanbabilini?
Io ne identifico quattro: 1) Essere fascisti (o almeno anticomunisti). 2) Essere coraggiosi. 3) Frequentare la Piazza. 4) Aderire (più a meno) a una certa moda (ma questo solo nella seconda parte di questa storia, cioè, dal 1970 in poi. 
Va considerato che attorno a quelle poche decine di ragazzi che erano davvero fascisti e coraggiosi (e di piazza San Babila fecero la propria casa), c’era un corollario di qualche centinaio di giovani che aderirono più all’idea dell’essere Sanbabilini che alle idee (fasciste) e al coraggio degli stessi.

4) Che rapporti c’erano tra i sanbabilini, il Movimento Sociale Italiano e la Maggioranza Silenziosa?
Cordiali con il partito, ma sino a un certo punto. Questo perché tra camerati il vincolo è forte. I ragazzi del Fronte della Gioventù, ogni tanto tornavano in San Babila, così come i Sanbabilini ricambiavano la visita. Ma dopo il 1973 tutti i giovani fascisti capirono che anche del loro partito di riferimento ci si poteva fidare sino a un certo punto. Cito una ragazza molto giovane di allora (Françoise Roger) che per un po’ di tempo frequentò anche il Fronte della Gioventù: «...poi stracciai la tessera sulla scrivania di Franco Servello. Era uno capace di mandarti a fare una azione e poi chiamare la Questura»... La Maggioranza Silenziosa, in verità, fece una sola manifestazione e i Sanbabilini fecero parte del Servizio d’Ordine. Già la seconda manifestazione venne vietata.

5) Il 12 aprile 1973, conosciuto come il “giovedì nero”, dove tragicamente trova la morte l’Agente di Polizia Antonio Marino, di anni 22, è da considerare un episodio legato alla storia di piazza San Babila o riguarda specialmente il Movimento Sociale Italiano?
Fu proprio questo l’episodio che allontanò molti giovani dal M.S.I..
Assolutamente sbagliato, dal punto di vista storico, attribuire questo tragico evento alla storia di piazza San Babila. Come ho scritto: I primi responsabili sono coloro che la manifestazione l’hanno indetta... (...) in piazza c’erano davvero tutti i giovani della Destra milanese e molti parteciparono ai disordini... (...) Da molto tempo, più di un anno e mezzo, il M.S.I. non “scendeva in piazza” a Milano. I dirigenti del partito decisero di organizzare un comizio che si sarebbe tenuto, ad ogni costo... (...) Questa era la “parola d’ordine” del M.S.I. in quel momento. 

6) Nel 1973, anno in cui venne coniato ufficialmente il termine sanbabilini, inizia il declino, quali furono i motivi?
Principalmente vi fu un accanimento ottuso nei confronti di quei ragazzi: fuori e dentro dalle prigioni per ogni occasione. Alcuni ne furono fiaccati. Il gruppo dei più duri e coraggiosi (ma anche convinti delle proprie idee) si frammentò, ma poi rafforzarono i prorpri legami da detenuti. Intanto, San Babila si riempiva sempre di più di ragazzi e ragazzine che – come abbiamo accennato – erano soltanto emuli dei ragazzi della Giovane Italia degli ultimi Anni Sessanta o dei Sanbabilini dei primi tre Anni Settanta. Così si creò quella che viene definita la terza generazione: fascisti sì, ma poco coraggiosi e sempre più appariscenti dal punto di vista estetico: Ray Ban piegati sugli zigomi, scarpe a punta sempre più a punta... Basette tagliate a zero.

7) Sul mito di San Babila il regista Carlo Lizzani girò anche un film: San Babila ore 20, un delitto inutlile; che giudizio dai al film?
Si tratta di una visione molto molto parziale e confusa e – in ogni caso – riferita ai Sanbabilini che frequentavano la piazza dopo che il fenomeno (in verità) era già al termine. Non si può negare che, effettivamente, dopo il 1975, in piazza San Babila vi fossero elementi come quelli descritti nel film, ma il regista li presenta come se fossero dei leader, mentre i veri Sanbabilini dei ragazzi così li avrebbero presi a calci nele sedere e di persone così non si sarebbero mai fidati; né compiendo un’azione, né durante una manifestazione con i conseguenti scontri con “cinesi” o Forze dell’Ordine.

8) Dopo la “vostra San Babila” arrivano gli anni ’80, l’individualismo edonistico della Milano da bere che si porta via la stagione delle ideologie. A parlarne oggi in molti dicono che sia stato un bene. Ma tra gli “Anni di Piombo” e dell’impegno politico e l’attuale menefreghismo individualista delle giovani generazioni esiste una via di mezzo? È possibile provare a costruire un altro mondo in modo non cruento?
Si potrà solo in modo non cruento, ma voi mi fate una domanda davvero difficile. Davvero, non voglio fuggire, ma per rispondere a questa domanda dovrei scrivere un altro libro (o almeno un articolo). Cominciamo col dire che speriamo e preghiamo che non vi siano più anni come quelli di cui si parla nel mio libro. Solo Mario Capanna può definirli: “formidabili”. Ecco le cifre pubblicate dal “Corriere della Sera” del 28 Gennaio 1988 sulla base di dati ufficiali resi noti dal Ministero dell’Interno: «Nei quindici anni che vanno dal 1969 al 1984 gli attentati (di qualsiasi natura o entità) sono stati 14.495 di cui 343 con morti e feriti. Pauroso il conto delle vittime accertate in quei 15 anni: 394 morti e 1.033 feriti...». Uno di questi morti fu Sergio Ramelli: massacrato a colpi di chiave inglese in un modo così barbaro che non se ne ha memoria nemmeno in episodi legati all’antichità.
Sul giorno d’oggi il discorso è lungo. Il rincoglionimento dei nostri giovani è voluto. Programmato...

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