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A destra scoppia la guerra del Nord

(G.p)Il 22 ottobre in Lombardia ed in Veneto ci sarà il referendum consultivo per l'autonomia di queste due regioni. Un successo scontato per il si. Un tema, quello dell'autonomia, tema che, se non gestito con criterio, è destinato ad aprire a destra un fronte polemico pericoloso in vista delle politiche, con Matteo Salvini preoccupato per un ritorno al Carroccio in stile bossiano, come ci racconta con un interessante, pubblicato da Il Tempo, storico quotidiano romano, il collega Antonio Rapisarda.
Articolo che riportiamo per intero.

 



Se con l'indicazione unitaria di Nello Musumeci in Sicilia, estremo Sud e luogo mitologico del 61 a 0, come ha notato Il Tempo, è rinato il centrodestra, al Nord – fatalmente – rischia invece di rinascere una “questione settentrionale” la quale, proprio a ridosso dell'appuntamento siciliano e in vista delle Politiche di primavera, se non gestita bene rischia di ripresentare le stesse fratture che la storia (politica) sembrava avere sepolto. Il 22 ottobre, infatti, Lombardia e Veneto – le regioni del “Legaforzismo” governate da Roberto Maroni e Luca Zaia - celebreranno il referendum che chiederà più autonomia fiscale e amministrativa dal governo centrale, ossia da Roma.
Torna il rischio dell'Italia spaccata e dell'utopia secessionista? Non esattamente. Che i tempi, rispetto ai primi anni '90, siano profondamente cambiati lo dimostra il fronte del “sì”, per lo meno tra la dirigenza locale dei partiti: di fatto tutto l'arco parlamentare, dalla Lega Nord (scontato) a Fratelli d'Italia e Fi, dal Movimento 5 Stelle al Pd, incluso il sindaco di Bergamo Gori che andrà a sfidare Roberto Maroni come prossimo governatore lombardo. Segno, questo, che il tema della “prossimità” delle risorse, con la corrispondente assunzione di maggiori oneri, è trasversale alla società del lombardo-veneto, non è più l'obiettivo di un “partito di scopo” come è stato il Carroccio di Bossi.
Il punto, dunque, non è “se” passerà il referendum (la vittoria dei promotori è scontata, anche se le opposizioni potrebbero non recarsi alle urne per non favorire l'effetto plebiscito “pro domo Lega” anche nell'affluenza) ma i toni e i temi che accompagneranno la sortita fino alle Politiche di primavera, dove il centrodestra unito ha l'ambizione di ritornare a palazzo Chigi e dove, nella stessa Lega Nord, esiste per la prima volta un esponente come Matteo Salvini che intende candidarsi alla guida dell'Italia intera.
Proprio qui, se vogliamo, iniziano i grattacapo per il leader leghista ma anche per l'alleato generazionale, Giorgia Meloni, e per quello strategico, Silvio Berlusconi. Come assicurano i bene informati, infatti, esistono sfumature diverse all'interno degli stessi partiti. Se il grosso della dirigenza locale di Forza Italia e di FdI è allineata e concorde con i desiderata automistici dei rispettivi governatori Maroni e Zaia, è tra Roma ed Arcore che le segreterie nazionali non hanno ancora sciolto tutte le riserve riguardo la gestione successiva all'appuntamento del 22 ottobre; mentre nella stessa Lega è il segretario Salvini a dover gestire una consultazione che non nasce dalla sua agenda (e che invece è rilanciata in pompa magna dalla minoranza interna bossiana) e a doverla ricondurre nella sua proposta “nazionalizzata”.
Davanti a questa incognita i partiti, almeno per il momento, hanno scelto l'ordine sparso. Forza Italia, che con Giovanni Toti in Liguria compone con il Carroccio l'asse del Nord, ha scelto di utilizzare l'appoggio al referendum per cercare di esportare analoga proposta autonomista nel Sud Italia, proprio dove il Carroccio fatica e il partito di Berlusconi conserva la sua golden share. Il tema lo ha rilanciato Mara Carfagna, punto di riferimento azzurro nel Mezzogiorno: «Il regionalismo differenziato può rappresentare uno strumento per colmare il gap, purtroppo aumentato, tra il Nord ed il Meridione».
Se Fi, come exit strategy, pensa a un «nuovo meridionalismo», per FdI, il partito che in questo frangente può rivendicare maggiore coerenza sulla questione nazionale rispetto all'alleato leghista, le perplessità sul post-referendum riguardano il percorso di maggiore autonomia “scaglionato” in cui ogni Regione procede con un proprio modello. Il partito di Giorgia Meloni, invece, preferirebbe una riforma organica, anche per non far apparire la vittoria dei governatori del 22 ottobre come una punizione verso il Sud del Paese. Proprio per questo motivo due anni fa FdI ha presentato una proposta di legge per il superamento di province e regioni e la creazione di 36 dipartimenti: il cosiddetto federalismo municipale, quello legato all'identità italiana delle città e dei “campanili”.
E la Lega di Salvini? Sulla carta avrebbe tutto da guadagnare da una vittoria dei suoi due governatori. In realtà, però, il messaggio che potrebbe arrivare dalle due regioni più produttive del Paese è di alterità e disunione rispetto il resto dell'Italia: di fatto il leit motiv della Lega “sindacato del Nord” generata da Bossi e oggi incarnata da Maroni e Zaia. Un passaggio complesso per Salvini nel momento in cui intende porsi come portabandiera di tutto il centrodestra alle Politiche. Proprio per questo il segretario vuol far coincidere l'appuntamento annuale di Pontida del 17 settembre – dedicato non a caso al referendum autonomista, tema che non vuole lasciare alla mercé dei governatori e dell'opposizione interna - con l'annuncio della “nuova” Lega (qualcuno la chiama post-Lega): quel soggetto che guarda «al Nord e al Sud» e che ha, come obiettivo, quello di rifare l'Italia sul modello del buongoverno dei suoi governatori nordisti. Sempre che questi non si facciano prendere troppo la mano con la conquista dell'autonomia...

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