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Settant’anni «dalla parte sbagliata» Istantanee dal Movimento sociale


(G.p)Oggi presso la sala convegni de il Secolo d'Italia in via della Scrofa 73 a Roma si inaugura Nostalgia dell'avvenire mostra sui 70 anni di storia del Movimento Sociale Italiano principale partito di destra nel panorama politico italiano. Una mostra ideata dal collega Marcello Veneziani e curata da Giuseppe Parlato fortemente voluta dalla Fondazione Alleanza Nazionale per mostrare come era il Movimento Sociale nella memoria collettiva degli italiani. Di questi settanta anni vissuti dalla parte sbagliata ci parla, con un interessante articolo Pierluigi Battista sul Corriere della Sera. 
Articolo che riportiamo per intero.



Chissà se domani, giovedì, all’apertura a Roma della mostra dedicata alla storia del Movimento sociale nato settant’anni fa, Gianfranco Fini e i suoi colonnelli dell’ex An saranno capaci di non guardarsi in cagnesco, almeno per una volta. Se sapranno riconoscere in quei settant’anni di fotografie, di volantini, di manifesti, di prime pagine delle riviste (quasi cento, tantissime) e dei giornali esposti nella mostra voluta dalla Fondazione Alleanza nazionale e ideata da Marcello Veneziani, le ragioni di un passato comune. O almeno di un’appartenenza a una comunità che nel frattempo si è spaccata con un’animosità rancorosa senza pari, di radici che affondano nella profondità temporale di biografie oramai divise. Difficile, molto difficile. Anche perché la stessa storia di un partito, come dice il curatore della mostra Giuseppe Parlato della Fondazione Ugo Spirito-Renzo De Felice, che ha vissuto prevalentemente sulla coesione di un sentimento, non è fatta per addolcire le asprezze di una rottura personale prima ancora che politica.

Le icone

Eppure è la prima volta che le icone missine vengono messe in mostra per illustrare il senso di una storia. Con il rischio della museificazione, come l’interno della tipica sezione del Msi ricostruita a grandezza naturale sin nei dettagli in questa mostra per rievocare anche fisicamente un carattere e un’atmosfera. Ma un rischio che forse vale la pena correre per conoscere un pezzo importante della vicenda politica italiana repubblicana. Certamente, però, un «come eravamo», per quelli che si sono riconosciuti nella storia oramai conclusa del Movimento sociale, che non potrà forse più declinarsi in un «come saremo», in una comunità sentimentale oramai dilaniata.


La traiettoria

Ha un senso, oggi nel 2016, restituire visivamente la traiettoria di un partito che è stato in tanti decenni la cornice emotiva di circa due milioni e mezzo di italiani che, ostinatamente, testardamente, sentimentalmente come sostiene appunto Giuseppe Parlato, si sono riconosciuti in un simbolo, la fiamma tricolore, in un linguaggio, in un concerto di voci talvolta dissonanti, in una ritualità che oggi è più difficile decifrare. Facile dire: i fascisti, o i neofascisti. Il Msi, alla sua nascita, fu il rifugio dei vinti, di chi era dalla «parte sbagliata» e che voleva continuare ad esserlo. Poi fu un modo, come scrive Marcello Veneziani nella prefazione al ricco catalogo curato da Simonetta Bartolini, di «voltare le spalle» al pensiero dominante, «mainstream» come si direbbe oggi, giocando con la marginalità, con l’esilio in Patria, con il recinto infetto, in un’opposizione sentimentale e morale prima ancora che politica al «sistema» che poi sarebbe l’Italia «nata dalla Resistenza».



L’inno

Le prime parole dell’inno missino del 1946 suonavano così: «Siamo nati in un cupo tramonto». In questo paradosso, in questo nascere, che dovrebbe essere l’alba, subito piegato al tono lugubre e triste del tramonto, della fine, della sconfitta, della morte, c’è tutta la febbrile sentimentalità di un partito che in questa mostra fa riaffiorare un ribollire di passioni, tutte espresse e frustrate dentro un «ghetto» infrequentabile dal mondo della «parte giusta», sempre sotto il segno della contraddizione. «Nostalgia dell’avvenire» è il titolo di questa mostra che riprende un celebre slogan di Giorgio Almirante, sentimentalmente e iconograficamente la figura centrale di questi settant’anni messi in mostra. Una contraddizione, l’ennesima. Ma quante contraddizioni in un partito in cui i tradizionalisti si mischiavano ai rivoluzionari, i clericali reazionari ai libertini trasgressivi, i fautori nientemeno che di un sistema di caste ai sindacalisti che invocavano le radici di sinistra del fascismo per una completa «socializzazione» dell’economia.


Le piazze

Ed ecco allora in questa mostra in cui il Msi tutto «legge e ordine» si mischia con i moti di Reggio Calabria, le battaglie di strada per «Trieste italiana» con i giochi di palazzo con la Dc voluti dalla segreteria di Arturo Michelini ma frustrati dai moti antifascisti del luglio ’60 per il congresso del Msi a Genova. Ecco le piazze piene dei comizi dei leader che raccontano di un’Italia in cui i partiti, e anche il partito che della «nostalgia dell’avvenire» aveva fatto una bandiera, riempivano le piazze di un popolo che non c’è più. Ecco lo sguardo rivolto all’indietro, con le celebrazioni della nascita di Mussolini e le peripezie del corpo tumulato del Duce e gli scontri interni tra le componenti, con le scissioni negli anni Cinquanta dell’«Ordine nuovo» di Pino Rauti (in una dicotomia mai sciolta tra «almirantiani» e «rautiani», un po’ come quella tra «amendoliani» e «ingraiani» in un grande partito altrettanto ideologico come il Pci), e quella degli anni Settanta di «Democrazia Nazionale». Ecco gli anni Settanta, con i morti e lo scontro duro con i «rossi», e il progressivo assottigliarsi della classe dirigente con la morte di Almirante e di Pino Romualdi. E l’astro nascente di Fini con il sostegno della vecchia guardia di Pinuccio Tatarella. E i volti dei dirigenti che compaiono nel filmato curato da Mauro Mazza. E le prime pagine del Secolo d’Italia conservate dai missini come reliquie di un mondo che si sentiva assediato e che oggi appare sepolto, con gli eredi che dopo l’epoca di Fiuggi e di An, si barcamenano tra le sigle per lo più ridotte a minoranza di testimonianza o poco più, con rapporti umani sempre più deteriorati. Con molta nostalgia, certo. Ma quale avvenire?

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