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Letti da noi 8/ Francesco Storace, la prossima a destra


(G.p)Per troppo tempo la parola "destra" ha puzzato di cose vecchie, di storie del passato, di personaggi tramontati da tempo, di comparse con la pretesa di occupare le prime pagine della Storia. Nell'Italia pesantemente sconfitta dalla seconda guerra mondiale, con una sanguinosa guerra civile combattuta tra italiani, evocava un mondo di fascisti sconfitti, di neo fascisti minoritari, uniti in unico grande partito il Movimento Sociale Italiano.
Su la Destra ancora troppo poco si è scritto e si è detto. Forse perché scontra il peccato originale di essere considerati figli e nipoti del Duce. A parziale compensazione di ciò arriva il libro di Francesco Storace, la Prossima a destra, edito da Minerva Edizioni, che viene recensito, dal collega Adriano Bonanni sulle colonne de il Tempo, storico quotidiano romano.
Recensione che rilanciamo volentieri per intero


Quella della destra in Italia è una storia poco scritta e ancor meno letta. Scontare il «peccato originale» di essere o esser considerati figli o nipotini del Duce e, poi, il ventennale sodalizio con Berlusconi hanno cancellato, di fatto, un pezzo del Paese dalle riflessioni e dagli studi. A parziale compensazione, arriva il libro di Francesco Storace, «La prossima a destra» (Minerva Edizioni, 160 pagine, 15 euro) nel quale l’ex Governatore del Lazio ed ex Ministro della Sanità racconta quattro lustri di storia di destra, con le sue evoluzioni, involuzioni, scatti in avanti e marce indietro. Un volume agile nel quale Storace, oltre che disegnare un percorso tortuoso come quello della destra nelle ultime due decadi, traccia una rotta per i politici di domani. Con un’avvertenza chiara: la politica corrompe e occorrono degli anticorpi forti per evitare di essere travolti. Anticorpi che si formano con i valori, che vanno sempre, per Storace, anteposti al potere, e con la gavetta. Scorrendo le pagine del libro, si incontrano tre figure fondamentali per la destra e per Storace. La prima, quella di Giorgio Almirante, padre fondatore della moderna destra democratica, quasi un nume tutelare per Storace. La seconda è Gianfranco Fini, l’uomo che ha guidato la destra dagli angusti spazi del Movimento Sociale, eterna forza di opposizione, in Alleanza Nazionale, forza di governo, fino al baratro del PdL e dello smembramento in mille rivoli. L’ultima figura, è quella di Gianni Alemanno, per lungo tempo l’altro uomo forte, insieme allo stesso Storace, della cosiddetta «destra sociale». Verso Fini e Alemanno i giudizi sono netti: Storace ne pone in luce i meriti ma anche gli errori. In sottofondo, scorrono gli elementi autobiografici. Dalla cravatta mancante durante un Consiglio dei Ministri che fruttò a Storace una scatola di cravatte di Marinella, dono di Berlusconi e a Berlusconi la battuta fulminante di Storace in replica: «Domani vengo nudo»; alla sigaretta malandrina fumata, da Ministro della Salute, nella stanza appena sgomberata dal predecessore di Storace al Ministero, Girolamo Sirchia, l’uomo che proibì il fumo negli uffici pubblici. C’è la storia tragica della custodia di un paio di occhiali da sole che Storace usò, da giovane militante del Msi, per salvarsi da un assalto dei compagni, spacciandola per una pistola. E quella del siparietto con Berlusconi: Storace, in piena vertenza con il Governo, va da Berlusconi e se lo vede camminare letteralmente sulle ginocchia mentre, a mani giunte, Silvio apostrofa Storace «potente signor Governatore del Lazio». In mezzo a questi aneddoti, infine, si intravede la speranza per un futuro in cui il mondo di destra ritrovi l’unità.

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