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Il cardinal Martini: l'uomo a cui consegnarono le armi i guerriglieri

(umt) Nel (quasi) generale compianto in morte di Carlo Maria Martini, emerge la figura del cardinale come uomo dei tanti dialoghi: ecumenico, interreligioso, politico, filosofico ed etico, anche sui temi più scabrosi della bigotteria vaticana. Una identità forte testimoniata anche nella prassi, nella scelta finale di rinunciare alle cure inutili che altri suoi sodali pretenderebbero di imporre a perenne inveramento della cultura del valore salvifico della sofferenza. Nel nostro piccolo, nell'oggetto delle nostre fissazioni, la cosa è di tutta evidenza. Anche negli anni del dopo-terrorismo la differenza di fondo tra Curia romana e vescovato ammbrosiano fu evidente. Mentre nella Capitale alcuni religiosi si affannavano vorticosamente a organizzare la raccolta di informazioni sul caso Moro e a farsi garanti di benefici giudiziari e benevolenza penitenziaria, a Milano il cardinale divenne il riferimento per la più forte delle operazioni simboliche di chiusura degli anni di piombo: la consegna delle armi. 
Per quel che mi riguarda, data la crescente caduta degli standard professionali, non mi meraviglia la sciatteria con cui i principali quotidiani, dal Corriere della Sera al Sole 24 ore, abbia ricostruito la vicenda, trasformando l'ex seminarista Ernesto Balducchi, il protagonista dell'episodio, in un brigatista rosso. E quindi ci affidiamo alla ben più precisa ricostruzione del periodico dei francescani:
 Balducchi, arrestato il 20 dicembre 1980 con l’accusa di partecipazione a banda armata, detenzione di armi da guerra, rapina e concorso morale nel ferimento di un dirigente della Breda, è uno dei leader storici dei CoCoRi, i Comitati Comunisti Rivoluzionari, una delle più combattive formazioni degli anni di piombo.Dopo quattro anni di prigione, il 27 maggio 1984 scrisse dal carcere di San Vittore una lettera al cardinale Martini, allora arcivescovo di Milano, preannunciando la consegna dell’arsenale militare che stava nelle mani dei CoCoRi. Pochi giorni dopo, la mattina del 13 giugno, un giovane bussa alla porta dell’Arcivescovado in piazza Fontana e consegna al segretario del cardinale tre borse piene di pistole, bombe a mano, kalashnikov e persino un razzo per bazooka. «Chiamai il prefetto, che ebbe paura che tutto quell’esplosivo potesse far saltare il palazzo – ricorderà dopo molti anni il cardinale –. Invece era un segno forte di resa». Un segno anticipato dalla lettera di Balducchi e condiviso da molti detenuti politici che volevano dissociarsi dall’utopia rivoluzionaria di stampo leninista pur restando distanti dai lidi del pentitismo. I terroristi scelgono di rivolgersi al capo della Chiesa ambrosiana, considerato come un interlocutore attento dell’universo carcerario, in particolare di coloro che vogliono chiudere una stagione di sangue e aprire un nuovo rapporto con lo Stato. «Questo è il segnale – si legge nella lettera indirizzata a Martini – che affidiamo alle sue mani per la ripresa del dialogo, interrotto dalle nostre gesta nel clima di scontro degli anni scorsi, tra tanti giovani e le ’forze per la vita’ di questa città. Siamo certi che sarà in buone mani». Balducchi conclude firmandosi «suo in Cristo attraverso l’uomo». «Non era una boutade: mai rinnegate le mie radici cattoliche – spiega oggi –. Mi sono fatto pure cinque anni al seminario minore del Pime di Milano, poi la vita mi ha portato per altri sentieri. Ma in quegli anni ero convinto di fare la cosa giusta. Una convinzione che si è arresa nell’impatto con la realtà che andava in una direzione diversa da quella che avevamo immaginato. Non c’è da dire altro: abbiamo sbagliato
Meno nota è la vicenda analoga che interessa uno dei leader della destra armata milanese, che alla scelta di Balducchi si ispira. Nel dicembre dello stesso anno, alla vigilia del processo Nar 1 a Roma, Mimmo Magnetta, il responsabile della rete clandestina di Avanguardia nazionale in Italia, avverte i magistrati incaricati delle inchieste sull'eversione neofascista, Macchia e Calabria, che una persona aveva lasciato una borsa contenente armi davanti all'abitazione del parroco di Casal dei Pazzi, a meno di un chilometro dal carcere di Rebibbia nella cui area omogenea era detenuto. Gli agenti della Digos trovarono una valigia di pelle contenente due pistole automatiche, una rivoltella 357 magnum, un mitra e un centinaio di cartucce. Il sacerdote era stato avvertito della presenza dell'insolito "dono" con una telefonata anonima. Magnetta, attraverso i suoi avvocati, accompagnò il gesto con un appello alla dissociazione dalla lotta armata: poche settimane prima, in un conflitto a fuoco, erano stati uccisi alle porte di Alessandria due guerriglieri neri di Torino, tra cui Diego Macciò, già dirigente del Fronte della gioventù milanese

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