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3 giugno 1978: un ricordo di Riccardo Manfredi

3 Giugno 1978. In ricordo
di Riccardo Manfredi

Militante di Avanguardia Nazionale a Milano fu considerato uno dei principali esponenti del cosiddetto “Gruppo Sempione” e di “Piazza San Babila” negli anni dopo il 1972. Riccardo Manfredi, noto per la sua forza fisica e soprattutto per la sua generosità, fu protagonista di numerose iniziative politiche e non, insieme ad altri militanti neofascisti, come Rodolfo Crovace, Gianni Nardi, Giancarlo Esposti e Marco Pastori.
Fisici slanciati e muscoli sempre allenati. Spesso gli iscritti del Movimento Sociale Italiano si avvalevano dell’aiuto dei Sanbabilini per formare il servizio d’ordine e per le affissioni dei manifesti durante le campagne elettorali.
Arrestato più volte dalla polizia per reati comuni insieme a Giovanni Ferorelli, il 3 giugno del 1978, Riccardo Manfredi, prima di raggiungere il Palazzo di Giustizia di Milano per essere processato, tentò di evadere durante una traduzione carceraria, gettandosi da un treno in corsa morendo sul colpo. Solo dopo la sua morte, alcuni pentiti lo accusarono di aver ferito un carabiniere durante un conflitto a fuoco nella stazione ferroviaria di Bologna nel 1978. Ma Riccardo Manfredi, durante il processo non fu mai accusato da nessun Giudice di essere il protagonisti di quell’azione. Ironia del caso, Giovanni Ferorelli, con gli stessi capi di imputazione di Riccardo Manfredi, al termine del processo fu assolto. Probabilmente anche per Riccardo Manfredi si prospettava lo stesso verdetto.
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(umt) Così, nove anni fa, il portale d'area "A tutta destra" ricordava Riccardo Manfredi, uno dei tanti protagonisti dell'epopea sambabilina, morto tragicamente. Come Giancarlo Esposti, come "Mammarosa" Crovace, come Salvatore Vivirito. La sua vicenda è ben presente nel romanzo di Alessandro Preiser (nome d'arte dell'ex pentito nero Alessandro Danieletti) "Avene selvatiche" come nel volume di Rao "Il piombo e la celtica". Il pentito che lo accusò della sparatoria alla stazione di Bologna era stato proprio l'autore del romanzo, che con Ferorelli e Manfredi faceva parte dei numerosi sambabilini usciti da poco, all'inizio del 1978,  dal carcere e che avevano partecipato al dibattito sullo spontaneismo armato che di lì a poco - con la mite sentenza dei giudici bolognesi al processo bolognese contro Ordine nero - avrebbe messo capo al progetto editoriale e politico di "Quex", la rivista prodotta da Fabrizio Zani per accreditarsi, spendendo, presso la nuova generazione dei ribelli armati, il nome e il rispetto guadagnato da prigionieri politici del calibro di Mario Tuti, Maurizio Murelli, Edgardo Bonazzi.

Nella sua fondamentale "Trilogia della celtica" Nicola Rao ci offre la testimonianza di altri due camerati milanesi:
Riccardo Manfredi. Alto, aitante, pronto allo scontro fisico. Corteggiatissimo. Viene arrestato per una serie di scontri e portato a San Vittore. Esce e dopo un po’ finisce di nuovo nei guai. Nel febbraio 1974, con Michele Rizzi, altro camerata di Avanguardia, e con Fernando Molina spara contro un gruppo di compagni che stazionano davanti all’VIII Liceo scientifico di via Cesariano. Ma i tre sbagliano mira e colpiscono a una gamba Giancarlo Hu, di origine giapponese. Così Manfredi finisce di nuovo dentro. Poi di nuovo fuori. Arrestato dopo qualche anno per reati comuni, viene accusato da diversi pentiti di aver ferito un carabiniere durante un conflitto a fuoco a Bologna nel 1978. Qualche tempo dopo, durante il trasferimento da un carcere all’altro, cerca di fuggire dal treno, ma cade e muore.
Manfredi è ricordato con nostalgia da tutti i suoi ex camerati. Per esempio da Murelli:
Io conobbi Manfredi, che era più giovane di me, a San Vittore, dopo il mio arresto. Era un militante di Avanguardia. Ma non molto politicizzato. Audace e istintivo. Di una grande forza fisica. Alto, magro, fisico scolpito. Grande amico di Fernando Molina, che era un figlio di diplomatici peruviani, discendenti da un’antica famiglia di conquistadores spagnoli. Molti ministri nell’albero genealogico. Fernando, così come Riccardo, entrava e usciva dal carcere. Alla fine i genitori si stancarono, lo misero su un aereo e lo riportarono in Perù.
Murelli ha un ricordo ironico dell’episodio che coinvolse Manfredi e Molina:
Nel ’74 i due vanno davanti a una scuola per sparare ai cinesi, come all’epoca chiamavamo i compagni, e finiscono per colpire l’unico vero cinese che c’era allora a Milano. Andassero oggi in via Farini dove c’è la colonia di cinesi più folta della città per sparare a un cinese, probabilmente colpirebbero l’unico milanese di quella via... Le cose andavano anche così, con la sorte che ci prendeva per i fondelli...
Di Manfredi il suo camerata avanguardista Magnetta ha un ricordo analogo:
Riccardo stava con Avanguardia, ma frequentava spesso San Babila. Era un armadio. Molto dotato fisicamente. Dal punto di vista fisico era una specie di animale. Abitava in una zona pesante come quella dove abitavo io: stava a San Siro, e aveva a che fare ogni giorno con la malavita dura. Era rispettato e temuto.

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