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Terni, la storia mutilata della guerra civile

Marco Petrelli, un militante con la passione per la storia e il giornalismo, è molte cose. Tra le altre è anche uno dei tanti che arricchiscono questo blog con segnalazioni e note connesse alle sue attività di dirigente forzanovista e di animatore del Centro studi Nadir. Mi ha così trasmesso un lungo articolo sul convegno revisionista da lui organizzato sabato scorso a Terni, e che era stato come al solito oggetto di polemiche antifasciste.

Cosa è assente dalla storia delle nostre terre, ovvero le province di Rieti, Terni e Perugia? Quale tassello manca al mosaico tragico della guerra civile italiana?
“La Storia Mutilata – la rimozione della memoria come strumento politico”  ha cercato di dare una coerenza agli avvenimenti che interessarono Umbria ed alto Lazio tra l’8 settembre 1943 e il 13 Giugno 1944, quando Terni fu occupata dalle avanguardie dell’ VIII Armata britannica.
Marco Petrelli, curatore del Centro Studi Nadir (organizzatore dell’evento), ha introdotto la conferenza ricordando come la storiografia resistenziale abbia taciuto ed ignorato eccessi delle formazioni partigiane comuniste ai danni di civili, sovente inermi, denunciati come spie tedesche ed epurati,  con lo scopo finale di giustificare una presenza sul territorio in realtà limitata, sia a livello numerico che organizzativo.
Nel corso della presentazione Petrelli ha citato alcune righe scritte da Rutilio Sermonti con le quali il professore marchigiano sottolinea il grave atteggiamento di quegli studiosi che, abbandonata la metodologia di ricerca ed analisi  scientifica delle fonti, hanno seguito un iter apologetico in funzione meramente ideologica.
Marco Petrelli non ha mancato di ricordare i grandi assenti della storia post bellica, a partire dai soldati del sud, caduti a Cefalonia, Montelungo e Porta San Paolo, dimenticati per il fatto che non fossero ideologizzati e indossassero una divisa.
A Rutilio Sermonti e a Vincenzo Pirro è stata dedicata La Storia Mutilata; la presentazione si è chiusa con un minuto di silenzio in memoria del Maestro prof. Pio Filippani Ronconi.
Ha ottantadue anni il prof Stelvio Del Piaz e, malgrado l’età, una mente molto lucida e una grande capacità di sintesi. E proprio la sintesi delle vicende armistiziali che condussero progressivamente il Paese sull’orlo della guerra civile, trova riscontro reale nel ruolo avuto dalla Massoneria nel pianificare la caduta del Fascismo e la scelta di Pietro Badoglio quale successore di Benito Mussolini.
Il professore aretino, nel volume La sconfitta necessaria  (La Biblioteca di Babele Edizioni, Modica, 2004), propone le Sette Direttive del Grande Oriente Universale (1935-’36) [1], ovvero una raccolta di decreti del G.O. miranti, di fronte ad una guerra imminente, ad indebolire la forza del regime fascista, dal sabotaggio degli apparati militari (con il beneplacito dei ‘confratelli’ in divisa) al razionamento sempre più pesante dei generi alimentari, al fine di accrescere l’avversione della popolazione contro i governanti.
Badoglio, nel cosiddetto ‘armistizio corto’ (3 Settembre 1943), avrebbe garantito agli alleati la consegna dei militari tedeschi presenti in territorio italiano e fatti giungere dallo stesso capo del governo durante i quarantacinque giorni; in cambio gli anglo americani si sarebbero impegnati ad occupare l’intera Penisola in pochi mesi. Fiduciosi di poter concludere la guerra, gli alleati si scontreranno però con la dura realtà di venti mesi di combattimenti senza quartiere.
Antefatto importante che apre l’intervento di Pietro Cappellari, ricercatore e storico di Nettuno, membro insieme a Dal Piaz dell’ Istituto Storico Fondazione RSI.
Autore di alcuni volumi inerenti la battagli di Anzio - Nettuno, Cappellari è da anni impegnato nell’analisi della realtà Umbra e reatina nel periodo della guerra civile. Il professore laziale ha rinvenuto, alcuni anni fa, una fossa comune nei pressi di Leonessa, aiutando così le autorità a ricostruire le ultime ore di vita di quattro militi della RSI scomparsi in  circostanze misteriose e, fino ad allora, mai più ritrovati.
Cappellari ha rivelato come, nelle prime ‘ore’ della guerra civile, nella province di Terni e di Rieti, i primissimi nuclei resistenziali fossero costituiti da ufficiali del Regio Esercito riparatisi in montagna in attesa dell’arrivo degli alleati. Di fronte alla necessità di dover contrastare la rinascita del fascismo e la presenza dei tedeschi, gli ufficiali avevano dato alla luce piccole unità di guerriglia che operavano in zone franche. Attraverso un tacito accordo, i tedeschi non intervenivano in queste  aree, a patto che la resistenza non colpisse reparti germanici, concentrandosi invece sui repubblichini.
Tale accordo è destinato a naufragare, poiché nei pressi di Piediluco (TR) un ufficiale medico tedesco, curatore di un ospedale da campo aperto ai civili, viene assassinato da uomini della brigata “Antonio Gramsci”. E’ l’inizio della fine per i civili italiani che si ritrovano in balia di tedeschi furibondi: il 12 Aprile del 1944 (Operazione Osterei) 296 ostaggi fucilati in seguito a rastrellamento.
La formazione comunista “Antonio Gramsci” è costretta alla fuga, con la popolazione disperata e sfiduciata dall’operato dei partigiani, rei di avere provocato l’inutile rappresaglia.
Qui subentra il PCI che, con precise disposizioni[2], ordina alle formazioni della “Gramsci” (a Rieti operava la banda ‘Manni’) di catturare ed uccidere spie tedesche, riversando su esse la responsabilità della rappresaglia Come distinguere una spia da un comune cittadino? Iolanda Dobrilla, 16 anni, di Capo d’Istria, sapeva parlare il tedesco. Ciò bastò per una esecuzione che la vide dapprima dilaniata da una granata, poi arsa in una carbonaia. I resti divorati da animali.
Saranno decine le vittime di un terrore cieco che, nell’immediato dopo guerra, verrà debolmente affrontato dalla magistratura, sino all’amnistia del 1952.
Nel corso del convegno entrambi i relatori hanno ricordato come, nel lavoro della Fondazione RSI di recuperare nominativi e storie di ex appartenenti alle forze armate repubblicane, si siano spesso imbattuti in vere e proprie rimozioni del passato familiare da parte dei parenti delle vittime che, a fine guerra, avevano indicato congiunti della RSI come caduti partigiani. Ne è un esempio la lapide che ricorda, a Terni, i caduti della “Gramsci”: alcuni di essi (il cappellano della Brigata ad esempio) erano completamente estranei alla Resistenza; altri avevano indossato l’uniforme fascista prima e dopo l’8 Settembre.
La rimozione della memoria non era avvenuta solo per mano di familiari, ma anche di partiti politici desiderosi di cancellare passati a loro parere poco gloriosi e scomodi.
A confermare ancor di più la tesi della ‘rimozione’ è l’ultimo intervento di Cappellari, realtivamente al libro La memoria come arma. Scritti sul periodo clandestino e sulla Resistenza, (Editoriale Umbra, Foligno 1996) , in merito all’esperienza partigiana di Bruno Zenoni. Al di là del titolo del libro, che sintetizza un uso non proprio ortodosso della storia, Cappellari fa riferimento alla trascrizione delle memorie di Zenoni, esecutore a sangue freddo di fascisti e ‘presunti tali’.
Lo Zenoni, (in una lettera che alleghiamo a questo articolo), il 6 Giugno del 1939 scriveva a Mussolini da detenuto[3] delle carceri speciali chiedendone il perdono, assicurando di avere rinnegato il passato antifascista, esaltando la figura del Duce, implorando di fornire mezzi di sostentamento alla famiglia e all’anziano padre[4].
I lavori si chiudono con l’auspicio che conferenze come La Storia Mutilata abbiano seguito, al fine confrontare e dibattere della storia locale, raccontando momenti drammatici, resi ancor più amari da silenzi scellerati che inquinano e macchiano la dignità della Storia e l’onore delle vittime.
Marco Petrelli ringrazia i relatori e il pubblico, dando ai presenti appuntamento per una nuova iniziativa e narrando un’altra vicenda poco nota, quella degli internati di Hereford.
Nel frattempo il Centro Studi Nadir continuerà ad occuparsi della storia mutilata di Terni, in costante contatto con ricercatori e studiosi per restituire agli occhi della gente la realtà dei fatti.
“Sarà dura – commenta Petrelli – e la toponomastica cittadina ce lo conferma. Ma è impossibile fermarsi: il desiderio di conoscenza è legittimamente irrefrenabile”.


[1] Cfr. Piero Barone La Capitolazione di un Grande Esercito, Storia e verità, Roma Settembre – Ottobre 2000
[2] Crimini dimenticati 1944: così morì Jolanda, articolo tratto da Il Giornale del 29/11/2006, fonte online: www.lefoibe.it
[3] Lettera indirizzata da Bruno Zenoni alla segreteria ternana del PDS il 6 Giugno 1991, da ‘Profili Partigiani’, blog dell’ANPI di Marmore (TR)
[4] ACS – Tribunale Speciale per la Difesa dello Stato, b. 646

4 commenti:

  1. Ed è proprio per questo che sono nato a Bergamo e non a Terni , visto che mio nonno e suo figlio( mio padre ma allora balilla di una decina d'anni) vennero simpaticamente messi al muro un giorno si e l'altro pure dagli "eroici partigiani"......
    Andrea BG

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  2. ..hanno avuto solo quello che si meritavano gli "eroici" balilla!

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  3. non merita nemmeno di essere letta sta cosa. io sono costante nelle mie idee che, visti i fantastici risultati ottenuti nel ventennio, i fascisti stanno bene solo appesi a testa in giú

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