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Omicidio Verbano: interrogato il figlio di Bruno Giudici

Verbano, spunta una nuova pista
«Fu ucciso per una vendetta»

Il pm: un legame tra l'omicidio e una lite in un bar del quartiere - Il giovane di sinistra aveva raccolto dossier sui neofascisti  di Martina Di Berardino
fonte: Il Messaggero
ROMA - Adesso sembra davvero a un passo la svolta decisiva nell’inchiesta sull’omicidio di Valerio Verbano, il giovane attivista di sinistra ucciso in casa sua nel quartiere Montesacro il 22 febbraio 1980. Perché ieri il pm Erminio Amelio, titolare del fascicolo, ha imboccato con decisione la pista della vendetta politica. Cioè dell’omicidio premeditato, studiato a tavolino. E portato a termine in quella logica del «colpo su colpo», che ha caratterizzato la contrapposizione politica giovanile degli anni di piombo.
In quest’ottica, ieri mattina, è stato interrogato per tre ore, Enzo Giudici, un militante della destra di allora, coinvolto in un altro tragico episodio, avvenuto davanti al Bar Urbano, nel quartiere Talenti, punto di ritrovo dei giovani neofascisti di quegli anni e poco distante da casa di Valerio.
Giudici, secondo le indiscrezioni trapelate dalla procura, avrebbe ripercorso le ore calde del pomeriggio del 30 marzo del 1975 [in realtà era il 1977, ndb], quando fu aggredito da due militanti della sinistra extraparlamentare, Massimo Di Priamo e Carlo Cantinieri, davanti al bar Urbano. Nella rissa aveva riportato alcune ferite. Ma la tragedia sarebbe avvenuta qualche ora dopo. Perché Bruno Giudici, suo padre, che abitava proprio sopra al bar, era sceso nel locale mentre si consumava la rissa. Lavorava in banca, come cassiere, e spesso portava un po’ di soldi spicci ai gestori del bar. Ma Bruno soffriva di cuore e quello non era un pomeriggio qualunque: suo figlio era vittima di un pestaggio. L’uomo era intervenuto ed era riuscito a portare via, Enzo. Sembrava tutto finito. E invece, poche ore dopo, quando era tornato a casa, viene ucciso da un infarto. Il dramma della famiglia Giudici si era consumato proprio nell’appartamento di fronte a quello della famiglia di Stefano Cecchetti, un’altra vittima di quegli anni. Stefano sarebbe stato assassinato qualche anno dopo, il 10 gennaio del 1979, durante un agguato, proprio mentre era seduto a un tavolino del bar Urbano. Aveva 19 anni, stesso locale, alcuni colpi di pistola e un’altra vita spezzata.
Una spirale di violenza che in quegli anni di piombo aveva trasformato i quartieri di Talenti e Montesacro in un terreno di scontro tra rossi e neri, senza esclusione di colpi. E’ in questo contesto che affonda le radici la morte di Valerio Verbano. Secondo gli inquirenti, i dossier curato dal giovane attivista, che aveva schedato con cura tutti i principali esponenti della destra estrema, sarebbe stato solo un elemento, che si aggiungeva a un progetto più ampio. Quello dei neofascisti che volevano uccidere il ragazzo del Collettivo Autonomo. Perché bisognava vendicare i militanti ammazzati. Come Cecchetti e come Francesco Cecchin, un altro giovane di destra ferito da attivisti di estrema sinistra in una notte di maggio del ’79, nel quartiere Trieste, e morto dopo diciannove giorni di coma. Finora gli inquirenti hanno ascoltato trenta testimoni. Molti verbali sono stati secretati. E anche la mamma di Valerio è stata interpellata dal pm. E’ stata testimone dell’orrore. Così il 16 marzo scorso, Carla Verbano ha esaminato trenta foto segnaletiche dell’epoca. Tra queste anche quelle dei due uomini già indiziati: l’imprenditore, che ora vive in Brasile, e un professionista, che continua ad abitare in Italia. Entrambi, all’epoca attivisti dell’estrema destra. La mamma di Valerio, che il giorno dell’omicidio di suo figlio era stata sequestrata dagli assassini, ha notato in quelle immagini un uomo con la stessa capigliatura che aveva uno degli aggressori. Gli stessi ricci biondi di quel giovane che la sorvegliava in camera da letto.
La prima rivendicazione dell’agguato in casa Verbano, era stata quella dei Nar. Ma adesso, secondo gli inquirenti, quel messaggio sarebbe stato soltanto un tentativo di depistaggio. E così, dopo più di trent’anni, la pista sembra concreta e il cerchio intorno agli indiziati si stringe.



2 commenti:

  1. singolare che il messaggero se ne esca con un articolo così il giorno dopo la commemorazione di Cecchin...

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  2. e cecchin nn andava in giro a schedare la gente.... ma perchè il ragazzo schedava i fascisti? Proviamo a rispondere?

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