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Chi custodisce il segreto sul nome dell'autore della strage di Brescia? /1

"Per la strage di Brescia Affatigato è convinto che Mario Tuti conosca la verità, lo ha ribadito anche ieri in aula, confermando quanto rilasciato in un'intervista a Panorama nel '93. «Ermanno Buzzi aveva scritto un memoriale, una sorta di lettera in cui aveva messo nero su bianco il nome dei responsabili della strage di piazza della Loggia. Ho saputo che il foglio è finito nelle mani di Tuti. Chi accusasse Buzzi non lo so, ma doveva esserci qualche verità se è stato ucciso nel carcere di Novara proprio da Tuti e da Concutelli»".
Così il quotidiano Brescia oggi, il giorno dopo la deposizione in aula del neofascista lucchese all'ultimo processo per la strage (settembre 2009).

Ma questa del nome scritto in un foglio custodito da Tuti è una storia antica, che si trascina da più di vent'anni. E siccome gli aspetti grotteschi, dal mio punto di vista prevalgono, pur in presenza di una sostanza assolutamente tragica della vicenda, ho scelto di dare a questo post, e ad altri che seguiranno per sviscerare il tema, un titolo wertmulleriano.
Il primo a rendere pubblica la diceria è Vincenzo Vinciguerra, l'unico reo confesso di una strage nella storia del terrorismo italiano (una strage anomala quella di Peteano, un'autobomba contro i carabinieri e non rivolta a fare morti nel mucchio.
Lo fa in un libro autobiografico "Ergastolo per la libertà", pubblicato da una casa editrice fiorentina nel 1989 e zeppo di riferimenti criptici, sorta di avvertimenti e di messaggi nella bottiglia lanciati alla fascisteria prima dello strappo definitivo che lo porterà a una anomala collaborazione giudiziaria. Una scelta di totale rottura con l'ambiente che produrrà scarsi esiti processuali, nessun beneficio per lui ma la formazione di una solida vulgata storica nella ricostruzione della "strategia della tensione" come pratica di "destabilizzazione (dell'ordine pubblico) per la stabilizzazione (dell'ordine sociale)". Alla fine di un lungo percorso Vinciguerra trasformerà la disperata solitudine della sua cella da ergastolano in una fantasmatica torre d'avorio dove continua la sua battaglia di "rivoluzionario fascista" contro i tanti traditori al soldo della repubblica democratica e dell'atlantismo.
Intanto nel suo libro, farcito di risentimento contro i tanti che in qualche modo gli si erano messi di traverso, attribuisce a Fabrizio Zani, suo compagno di cella per un breve periodo a Porto Azzurro, la storia del nome affidato a Tuti. Ma, come vedremo nel prossimo post, Zani, pupillo di Ignazio La Russa nella Giovane Italia, poi avanguardista e infine (nella prima vita militante) portavoce e addetto stampa di Ordine nero, il nucleo d'acciaio dei bombaroli milanesi a metà degli anni '70, racconterà tutt'altra storia... (1-continua)

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