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Dugin riprende la parola: in videoconferenza con Modena

 


Daniele Dell'Orco
per “Libero quotidiano

Usa la prima plurale Aleksander Dugin, mentre in collegamento da Mosca con le sigle italiane del Movimento eurasiatista ricorda sua figlia, Darya, rimasta uccisa il 20 agosto su un'autobomba che le intelligence russe e americane concordano essere stata preparata da infiltrati ucraini in Russia.

«Darya era una dei nostri», dice Dugin, comprendendo idealmente anche il centinaio di persone in ascolto da Modena (insieme ai relatori Fabio De Maio, Lorenzo Maria Pacini, Eduardo Zarelli e Luciano Lago). Visibilmente commosso in quella che è la sua prima conferenza live in assoluto da quella notte di agosto in cui egli stesso, secondo le ricostruzioni, si sarebbe potuto o dovuto trovare in trappola con sua figlia, il filosofo definito «l'ideologo di Putin« contrappone alla prima plurale la terza plurale: loro.

Quelli che chiama «il male assoluto», ossia gli esponenti della «dittatura liberale» basata sull'unipolarismo e sul «pensiero dominante nichilista e satanico». Questo passaggio fa il paio con quello di Vladimir Putin che il 30 settembre al Cremlino annunciando l'annessione alla Russia di quattro regioni dell'Ucraina ha parlato di Occidente satanista. E come per la verità lo stesso Dugin aveva già ripetuto più volte già nelle prime settimane di conflitto.

In questo scontro teologico tra bene e male, Dugin ritiene che sua figlia sia stata «uccisa per le sue idee, per le sue posizioni morali metafisiche e religiose perché sognava un mondo multipolare più giusto». La sua uccisione sarebbe così una manifestazione del Kali Yuga, l'epoca oscura delle Sacre Scritture induiste molto spesso citata in Italia da Julius Evola: «Hanno voluto uccidere l'incarnazione fisica di un'idea. È stato un atto simbolico con cui il globalismo ha inaugurato la guerra del terrore contro la Russia dentro la Russia. L'obiettivo non era solo Darya ma le persone dotate di intelletto».

«Ed è simbolico- aggiunge Dugin- che Darya sia stata uccisa al ritorno dal festival che si chiama Tradizione, dopo una lezione sulla metafisica del tempo». Con quell'atto sua figlia sarebbe morta fisicamente ma diventata idea immateriale, un simbolo in tutta la Russia: «Nelle città russe ora ci sono vie che portano il suo nome, sculture col suo volto, coscienze risvegliate. Il nemico ha ottenuto l'effetto contrario. La sua morte è diventata simbolo del risveglio».

Un simbolo che Dugin sostiene, o probabilmente auspica, possa sconfinare anche nei vari Paesi occidentali, dove le coscienze dovrebbero lottare a loro volta «dall'interno» contro «il globalismo, la cancel culture, la civilizzazione satanica».

Insomma, per Dugin quella in Ucraina è sì una guerra orizzontale tra eserciti, ma soprattutto una ramificazione di un conflitto ben più ampio di carattere "verticale", tra dominati e dominatori, tra popoli ed élite, tra Cristo e Anticristo: «Darya era la luce. Noi siamo insieme la grande forza della luce contro il dominio assoluto della notte storica.

Questa è una lotta per l'uomo e per Dio. L'uomo senza Dio è posseduto dal demonio. Senza verticalità l'uomo è un subumano. E invece l'uomo deve diventare angelo, come Darya».

La sua caduta «non richiede rappresaglie o vendette, non esiste una risposta simmetrica. L'unica vendetta è la nostra vittoria: il risveglio delle esistenze autentiche dei popoli e il successo finale dei "nostri"». Il nuovo umanesimo, secondo Dugin, ha la sua base operativa a Mosca, si sta imponendo in Ucraina e ha il viso di sua figlia: Darya Dugina.

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