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8 gennaio 1984: a Monaco di Baviera l'ultima strage di Ludwig


di Eike Sanders e Thomas Porena  
per Nsu Watch, sito tedesco di controinformazione 
Nel 1980 una bomba mise fine alla vita di dodici visitatori dell’Oktoberfest di Monaco. In quella occasione lo Stato tedesco fece di tutto per non far trapelare un dettaglio importante, cioè che l’autore dell’attentato perseguisse un obiettivo politico e che facesse parte di una rete neonazista. Quello dell’Oktoberfest fu il più grave attacco terroristico di destra nella Repubblica Federale di Germania fino ad allora. Tre anni e mezzo dopo, a poche centinaia di metri, due giovani del nord Italia diedero fuoco alla discoteca „Liverpool“ nella Schillerstrasse, mettendo fine alla vita della giovane barista della discoteca, Corinna Tartarotti. 

Qualche tempo dopo, l’agenzia di stampa italiana ricevette una lettera di rivendicazione dell’all’epoca dei fatti già noto gruppo “Ludwig“, firmata come le volte precedenti con in calce l’aquila del Reich e la svastica e lo slogan „Dio con noi“ in fondo alla pagina. In essa si poteva leggere: “ Al Liverpool non si scopa più!“. L’evidente matrice di destra dell’attentato terroristico risulta definitivamente confermata dal fatto che questa azione si presentava come ultimo capitolo di una serie di efferati delitti che aveva già preso di mira gay, tossicodipendenti, lavoratrici del sesso, preti considerati “indegni” e frequentatori di cinema e discoteche a luci rosse.

La scia di terrore che ebbe inizio nel 1977, fu sistematicamente depoliticizzata da parte delle autorità italiane inquirenti, e più in generale anche dalla società italiana e tedesca. Gli omicidi e gli attacchi in nome di “Ludwig“ terminarono nel 1984 con l’arresto e la condanna di Marco Furlan e Wolfgang Abel, ma molte domande rimangono ancora oggi senza risposta.

 Il gruppo “Ludwig“ sembra essere un fenomeno marginale per gli studiosi del terrorismo di destra europeo. Riesaminando i fatti anche a quaranta anni di distanza, sorgono ancora domande pressanti in merito alla rete organizzativa e ideologica dei due colpevoli condannati: il gruppo era davvero composto da due sole persone o era collegato al neofascismo italiano, tedesco e internazionale? Cosa si evince da una contestualizzazione delle loro azioni e dai moventi ideologici all’interno dell’ambiente politico dell’Italia del Nord in quel periodo? E l’ideologia rivendicata è davvero così vaga e rozza? 

Uno sguardo critico mostra che non solo le autorità investigative e giudiziarie avevano interesse a dichiarare l’ideologia come strana, i colpevoli come „pazzi“ e il caso come chiuso, ma che ci sia alla base sia della selezione delle vittime che delle azioni delle autorità un consenso implicito e ben radicato nella società sulla inclusione/esclusione sociale, cioè sulla deumanizzazione delle vittime. Gli stereotipi legati ai ruoli di genere, la psicopatologizzazione e la depoliticizzazione si condizionano troppo spesso a vicenda. Così, anche a quarant’anni di distanza, risulta necessario fare i conti con il passato e ricordare criticamente le vittime. LEGGI TUTTO

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