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6 ottobre 1972. Vinciguerra: a dirottare l'aereo eravamo in 4


 Si era appena conclusa la tragica vicenda dell’attacco alla delegazione israeliana alle olimpiadi di Monaco di Baviera, che poche settimane dopo fu di nuovo nella regione al confine orientale d’Italia che si verificò un grave fatto di terrorismo. 
È il 6 ottobre 1972 quando, all’aeroporto di Ronchi dei Legionari, Ivano Boccaccio, ex paracadutista ventunenne, aderente ad Ordine nuovo di Udine, diretto da Vincenzo Vinciguerra, rappresentante di libri della casa editrice di Franco Freda, con un paracadute nella valigetta e in tasca una pistola, datagli da Carlo Cicuttini, 400 lire dell’epoca e una bomba a mano, si imbarca sul ‘Fokker’ dell’Ati decollato poco dopo le 17 per Ancona-Bari. 
Durante il volo entra in azione, penetra nella cabina di pilotaggio, minaccia i piloti, li costringe a invertire la rotta e a rientrare a Ronchi. Per liberare i sette passeggeri del volo chiede 200 milioni e un aereo per fuggire a Il Cairo. È stato ipotizzato, ma non provato, che ci fosse anche l’intenzione di chiedere la liberazione di Franco Freda, allora in carcere per la bomba di piazza Fontana. 
Verso sera, mentre Boccaccio accetta di scambiare la vita dei passeggeri con il pieno di carburante, con uno stratagemma scendono tutti dall’aereo, insieme con l’equipaggio. Rimasto solo a bordo, viene ucciso dalla polizia, che si avvicina all’aereo e apre il fuoco. Nell’episodio rimase ferito un agente, colpito alla mano dall’unico proiettile, che gli inceppò la pistola, esploso dal dirottatore, il quale con sé aveva una calibro 22, la stessa utilizzata cinque mesi prima per sparare contro i vetri della Fiat 500 di Peteano. 
Il Sid aveva però fatto sparire i bossoli, come sappiamo, così il collegamento fra i due fatti rimase a lungo sconosciuto. Il dirottamento di un aereo è operazione complessa, che non si improvvisa, né si compie isolatamente. È necessario avere qualche complice, e forse anche qualche precedente. 
Infatti fin da subito si sospettò un collegamento con Peteano credendo di riconoscere in quella di Boccaccio la voce della telefonata fatta per attirare i carabinieri. A telefonare era stato invece Carlo Cicuttini, al quale si risalì nei giorni immediatamente successivi al dirottamento perché era stato lui a portare a piegare il paracadute all’Aeroclub di Udine, come constatarono gli inquirenti. Cicuttini si rese subito latitante. Sulla stampa uscì in quell’occasione anche il nome di Vincenzo Vinciguerra.

Ivano Boccaccio, che aveva quindi dei complici, entrò però in azione da solo. Fu la prima, o la seconda, vittima dei centonovanta dirottamenti compiuti fino ad allora nel mondo, di cui cinque in Italia. La conferma della presenza di complici è venuta recentemente da Vinciguerra, che così ricorda l’episodio nel suo scritto La faida del 30 novembre 2012.

La testimonianza di Vinciguerra

Il 6 ottobre 1972, all’aeroporto di Ronchi dei Legionari Ivano Boccaccio tenta di dirottare un aereo civile delle linee aeree interne per ottenere un riscatto di duecento milioni di lire a titolo di autofinanziamento. Non disposto a mettere a repentaglio la vita dei pochi passeggeri, Ivano li fa scendere e non si rende conto che i piloti riescono a fuggire da una finestra apribile all’interno della cabina di pilotaggio, la cui esistenza era stata tenuta segreta, così che rimane solo all’interno dell’aereo. A questo punto, dopo avergli intimato inutilmente la resa, alcune centinaia fra agenti di Ps e carabinieri assaltano l’aereo fermo sulla pista. 

Ivano si difende lanciando una bomba a mano che provoca la ritirata fulminea degli attaccanti, meno due che riescono a nascondersi sotto l’ala dell’aereo da dove sparano contro Ivano Boccaccio ben visibile all’interno della cabina di pilotaggio, che risponde al fuoco ma viene raggiunto da un colpo di mitra alla tempia che ne provoca l’immediato decesso. Seguo via radio quanto accade e comprendo subito che il silenzio di Ivano Boccaccio è dovuto alla sua morte. 

Rimando a casa i due elementi che erano con me, mai identificati con buona pace dello scopritore del nulla Felice Casson, e accompagno Carlo Cicuttini a Padova dove incontro Massimiliano Fachini che, informato brevemente dell’accaduto, lo accompagna a Roma da Paolo Signorelli che, a sua volta, lo indirizza a Mauro Meli a Genova, che gli fornisce le indicazioni per recarsi in Spagna, a Barcellona. Il 7 ottobre 1972, quindi, Paolo Signorelli informa Pino Rauti in merito al dirottamento aereo e all’attentato di Peteano di Sagrado. Mi dirà successivamente che «a Pino sono venuti i capelli grigi», e sarà quest’ultimo ad informare Giorgio Almirante.

Con gli ultimi due eventi di San Dorligo e Ronchi, avvenuti nel giro di due mesi, sembra che i fatti di terrorismo accaduti in regione abbiano assunto una modalità di operazione inconsueta per il terrorismo italiano, certamente più vicina a quella del terrorismo internazionale e nella fattispecie mediorientale. Dopo il dirottamento di Ronchi, la cui logica era quella dell’autofinanziamento, il gruppo ordinovista udinese si diede alla latitanza. La maggior parte dei suoi componenti si rifugiò in Spagna. Fino al 1974 non ci furono nuovi episodi in regione.

FONTE: Enrico Petris, Rosso, nero, Pasolini

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